...e se non piangi, di che pianger suoli?
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(U. Saba, Ulisse)

C’è bora, oggi, a Trieste. Per quella casa solitaria, a picco sulla costiera, il mare è un foglio azzurro; le onde, parole increspate. Grido di dolore che si infrange sugli scogli e si leva al Cielo.
In quella casa silenziosa, circondata da pini, l’altra notte si è tolta la vita una giovane, una quindicenne. Ha preso la pistola di papà e … pum… un colpo alla testa. Un boato che squarcia il torpore. E fuoco, le parole scritte a mano in quel foglio lasciato apposta perché tutti leggano. “Giorni vuoti e senza significato”. Cinque parole soltanto. Lì dentro, la sua ferita nel cuore, e le domande a cui non ha trovato risposta. E il passato e il presente di giorni che sembrano vuoti perché è vero: il cuore è fatto per l’infinito, ma ai giovani non lo dice più nessuno.
E così pensi che quella sbagliata sei tu, ché proprio non ce la fai a lasciarti incantare dai vetrini colorati che i grandi spacciano per pietre preziose. Le osservi, le indossi, ma non ti accontenti. E’ luce finta, paccottiglia.
Allora ti guardi intorno, ma dal mondo degli adulti arrivano chiacchiere che non sanno dare ragioni per cui valga la pena. O silenzi impacciati e confusi. La distrazione della pubblicità, le promesse demagogiche dell’ideologia, la calunnia che soddisfare l’istinto rende felici, che lo sballo scioglierà quel nodo maledetto che ti stringe la gola, che la trasgressione ti farà provare ebbrezza, finalmente, e i giorni non saranno acquitrino ma mare aperto. Avventura. E però nessuno, ancora, ti ha insegnato a nuotare…
Poi guardi meglio e ti accorgi che il vitalismo dopato, il piacere un tanto al chilo, le veline, i reality, i giochi a premio, la luce dei riflettori son solo lampi di luce in una cultura nera di morte. Gli spot sull’eutanasia questo raccontano: vero eroe è chi si uccide. La sua vita non è degna – questo gli hanno insegnato – e l’ha fatta finita. Coraggioso.
E così questo mondo che si crede di corsa, e invece è in fuga perenne dai problemi, dalle responsabilità, dal dolore, dalla malattia, dal sacrificio, dalla vecchiaia, dalla fatica, dall’imperfezione; questo carrozzone di frustrati cronici, indignati cronici, nichilisti cronici sta lasciando a terra cadaveri. Lezzo di morte e di putrefazione. Chi lo guida vede, sa, finge di rattristarsi poi fa spallucce. Corre. Verso dove?
Tre mesi fa, nella città giuliana, una dodicenne si è lanciata dal quinto piano di una palazzina in via Cologna. Il vuoto, ancora. E un tonfo. Un altro colpo per tutti. Due in tre mesi, solo lì.
C’è bora, oggi, a Trieste. Dalla scogliera guardo il mare: un foglio azzurro. Le onde, parole increspate. Leggo. Mani sapienti scrivono e riscrivono, senza stancarsi, frasi antiche, le stesse di sempre, oggi più accorate. Frasi di speranza che un tempo sapevamo tramandare e non ricordiamo più. Chi sa, Chi ci vuol bene scrive “coraggio!”. Ci invita a togliere l’àncora e a salpare ancora. A fare esperienza del “non domato spirito”, del gusto della vita. A provare, per lei, lo struggimento del “doloroso amore”.