Prove di evacuazione

«Un uccello canta anche in un bosco di spine»
(San Francesco di Sales)
Fonte:
CulturaCattolica.it
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Non si può dire, ma a volte accade.
Non è il caso del giudice Cocilovo. L’ha detto e io gli credo.
Però ho quasi cinquant’anni, da venticinque insegno agli adolescenti e da loro ho sentito tante storie. Storie vere.
Non si può dire, ma a volte accade.
Accade che una ragazzina scopra di essere incinta e, impaurita, non abbia nessun adulto che la sostenga davvero. E allora il consultorio, i medici, il giudice tutelare magari la indirizzano verso la strada più breve. Non ho detto la più giusta. Non ho detto la più indolore. La “convincono” a decidere di far ammazzare il suo bambino. Certo non glielo dicono così brutalmente. Le spiegano che in fondo è stato un incidente e che può capitare, ma che la prossima volta dovrà stare più attenta. Le dicono che quel che ha in grembo bambino ancora non è e che dunque faccia presto. Che è meglio togliersi il pensiero subito, in fretta, prima che da fuori si veda. Da fuori. Dentro però lei la sente la vita che c’è, nuova. Vita che, quasi invisibile, sta comandando il suo corpo.
Non si può dire, ma è così.
Quel che liquidano come “grumo di cellule” è a tal punto una presenza presentissima, che ha bloccato il ciclo mestruale di sua madre. Che le ha reso il seno più turgido. Che la ha fatto venire quel po’ di nausea che sente, quel non so che...
Non si può dire, ma a volte accade.
Accade che i consultori bypassino la famiglia. Ti vergogni? Hai paura che reagiscano male? Non vuoi parlarne con i genitori? Confidarti e confrontarti con loro? Non c’è problema. Se il problema c’è, te lo risolviamo noi. Ricorriamo al giudice tutelare, lui sa. Ti dirà cos’è bene per te. Si farà aiutare dai tecnici, dagli esperti, vaglierà. Però sappi che alla fine la decisione è la tua.
Non si può dire, ma alle volte accade.
In nome della “salute riproduttiva” non è indispensabile che il bambino che hai in grembo presenti anomalie o malformazioni. Né che tu, madre, sia a rischio di morte. No.
Non si può dire, ma a volte accade.
Accade che sulla scrivania del medico arrivi la perizia-fotocopia della psicologa (sempre uguale, sempre la stessa…), che attesta “un grave disagio a seguito di una gravidanza non cercata”. E’ sufficiente per uccidere un bambino? E’ sufficiente.
Non si può dire, ma accade.
Accade che alcuni ginecologi, per il gran numero di cause intentate ai colleghi (ci sarà un motivo per cui le compagnie assicurative faticano a stipulare polizze con questa categoria di medici, che hanno la responsabilità non di una ma di due vite umane…), spaventati, quando seguono una gravidanza informino i genitori di tutto e a volte anche… di più. Che al minimo sentore di qualcosa che non va prospettino scenari apocalittici. Non sappiamo con certezza, è solo un sospetto, ma suo figlio potrebbe non essere perfetto. Ora la chirurgia neonatale fa miracoli, però l’avvisiamo…
Non si può dire, ma accade.
Io glielo avevo detto, signora. E’ stata coraggiosa, siete stati bravi a portare avanti la gravidanza comunque. Son felice che suo figlio sia sano, ma io, nel caso, l’avevo avvisata che perfetto forse poteva anche non nascere.
Se quel figlio potenzialmente “imperfetto” e invece sano è stato ucciso per eccesso di zelo, pazienza. Io gliel’avevo detto che c’erano solo delle possibilità che non fosse sano. Ha deciso lei, signora. In piena libertà. Guardi, la firma è la sua.
Non si può dire, ma accade.
Accade che i sette giorni dalla richiesta di interruzione che – previsti dalla legge – devono passare perché la donna “soprassieda”, passino. Sì. Lunedì, martedì, mercoledì… Passano. Ma senza la presenza di chi potrebbe (dovrebbe?) sostenere la donna: aiutarla a decidere con cognizione di causa, prospettandole tutte le soluzioni alternative all’aborto. Passati i sette giorni si agisce e si volta pagina. Avanti la prossima.
Mi si dirà perché, se conosco queste storie, non le ho raccontate, non ho denunciato.
Perché le carte sono a posto. Perché la legge è rispettata e le firme sono dove sono. Come quando alle scuole chiedono la prova di evacuazione. Ci sono fogli da compilare e le carte vanno timbrate e protocollate. Quando la prova viene fatta a fine maggio va bene. La legge è stata rispettata.
Ha senso una prova di evacuazione a fine anno? Si è agito per il bene e per la sicurezza di chi passa metà delle sue giornate a scuola? No. Ma le carte sono a posto.
Si agisce sempre per il bene degli interessati (la giovane mamma e il suo bambino) quando la si convince ad abortire e si fa fuori suo figlio? Quando poi lei finisce in ospedale perché è depressa o ha minacciato il suicidio? Quando in nome dell’autodeterminazione si tagliano i legami tra una figlia minorenne e la sua famiglia (è successo non a una, a tante ragazze che ho conosciuto in questi anni di insegnamento) e come in una catena di s-montaggio a queste poverette si suggerisce di dire a casa che si è ospiti qualche giorno da un’amica, si ricoverano in due, il bambino viene eliminato e tornano a casa sole?
Sole. Senza figlio e senza sostegni umani significativi.
Non si può dire, ma è così.
Bravi tutti, ma il giudice tutelare, il medico, la psicologa, gli esperti del consultorio li vedi quei giorni e non li vedi mai più. Bella roba davvero.
Non si può dire, ma sapete una cosa? Ciò che in fondo in fondo brucia, dell’articolo di Dreyfus, è la sua verità triste e drammatica. Non riguarda il giudice Cocilovo. L’ha detto e io gli credo.
Riguarda però tutti i bambini a cui si è impedito e si impedisce di nascere. Riguarda tante mamme bambine. Riguarda noi adulti.
Quell’articolo interpella tutti, in quest’epoca che non ama e non tutela la vita, ma farebbe carte false per garantire la libertà (?) di uccidere e di morire. Una morte dolce e dignitosa, sia chiaro. Data o ricevuta a seguito di consenso informato e nell’assoluto rispetto della legalità. Che però non è propriamente la stessa cosa della “giustizia”, né del “bene”.
Lo so che non si può dire. Forse è per questo che è irresistibilmente giunta l’ora di dirlo.