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Islamizzare la modernità

Autore:
Farina, Renato
Fonte:
CulturaCattolica.it
Riportiamo questo intervento dell'O. Renato Farina in Parlamento, per la chiarezza di giudizio che offre, nella speranza di un approfondito confronto

Signor Presidente, mi dichiaro soddisfatto della risposta al nostro interpello sulla questione dei fatti accaduti di recente, specialmente riguardo alla chiarezza della posizione, che mi sembra manifestare una continuità con quella che è stata la linea di politica estera del Governo italiano da De Gasperi in poi, il quale sosteneva, come ricordo, che «bisogna costruire ponti di fiducia con i nostri vicini con i quali un accordo va sempre trovato attraverso il metodo della franchezza, della mutua attenzione e della inclusione». Cioè, includere e non escludere, non trovare mai pretesti per interrompere una collaborazione. Questa è un po’ la nostra vocazione italiana, di Paese inserito nel contesto Mediterraneo e con una responsabilità anche in quanto sede di Pietro, sede della cattolicità - del punto massimo della cattolicità - e, quindi, in questo senso anche molto esposta. 
A me, per giudicare questi eventi, vengono in mente due episodi. Il primo è quello del 1914 quando Lenin a Zurigo, pensando a come far passare la rivoluzione in un mondo che sembrava allora ostile, vede muoversi la storia e intuisce che può trasformare questo movimento della storia nella grande ruota rossa e allora sale sul veicolo della guerra per trasformare la guerra in uno strumento per l’affermazione della sua ideologia. Allo stesso modo credo sia accaduto in questi brevi anni nel nord Africa e nel Medio Oriente. I movimenti estremistici, salafiti o comunque prossimi ad Al Qaeda che adesso non si sa più bene come definire, hanno intuito queste rivoluzioni come un veicolo di comodo per islamizzare a tappe, ora morbide ora forzate, tutta la popolazione e poi investire con questa pressione l’Europa. E cosa succede? Cosa fa l’Europa? L’Europa purtroppo appare piegata nelle sue beghe intestine.
Questo sarebbe il grande momento per alzare la testa dai nostri gravissimi problemi finanziari per guardare le sfide che ci pongono i grandi accadimenti nel mondo. Purtroppo, nelle scorse settimane, partecipando ad un incontro interparlamentare a Cipro con Lady Ashton, si è visto che le posizioni della stessa Lady Ashton, con tutta la buona volontà, sono praticamente quelle di prendere dei tè e di fare degli incontri con i vari leader senza che ci sia però dietro una vera forza e una vera prospettiva di sostegno e di rinascita.

Il secondo evento che vorrei invece mettere in rilievo è la visita del Papa in Libano. Ciò non per sottolineare o parlare della missione apostolica e pastorale di Benedetto XVI, quanto per mostrare che esiste un metodo. Il metodo non per superare, ma almeno per affrontare con spirito positivo le grandi e gravissime questioni che sono poste oggi da questi tentativi di islamizzazione violenta del mondo, non è tanto quello del confronto armato o ideologico o della dialettica, ma è quello della presenza: di una presenza che sostituisca al concetto di tolleranza quello molto più profondo di rispetto.
Io ho letto tutti gli interventi, non solo del Santo Padre, ma anche dei vari leader sia politici sia religiosi sunniti e sciiti che hanno incontrato il Papa, e la parola che ritorna più spesso è la parola rispetto, è la parola collaborazione. Quello che sta accadendo - ed io faccio forza a me stesso per vincere uno spirito polemico - non è un confronto tra le religioni, tra le tre religioni peraltro (Islam, laicismo alla francese e cattolicesimo), ma è un attacco alla pace. Questa è la grande questione che insieme dobbiamo porci noi, qui, anche nell’affrontare le questioni, come ha già fatto benissimo il mio collega Pianetta. Si tratta di impostare una politica estera e una politica europea sul piano di quei Paesi che, rafforzando i processi democratici, tenda però a tutelare straordinariamente la presenza di una pluriformità di presenze che da duemila anni caratterizzano questa storia, che non vede i cristiani come ospiti e minoranze portati da chissà quali missionari, ma coessenziali all’identità di queste società e di queste civiltà.
La violenza è voler estirpare questa presenza, e violenta è anche l’imprudenza di chi, agendo in modo semplicemente militare, ha dato il pretesto per sradicare queste presenze cristiane. Questo è l’invito che io mi sento di fare al Governo italiano: di applicare una politica che intenda la libertà religiosa non semplicemente come diritto di professare la religione, ma libertà religiosa come possibilità di presenze che si rispettino. Questo è, credo, il cuore della nostra proposta, che come Italia dobbiamo fare anche all’Europa. Infatti l’alternativa non è secondo me - come bene ha detto lei, e ha detto prima Pianetta - tra una civiltà che consenta il diritto di essere spiritosi sulle religioni ed un’altra invece severa, ma è veramente in questo rispetto profondo.
Naturalmente senza essere ciechi, perché molto spesso questa sensibilità islamica è montata ad arte, come in questo caso. Il mio amico professore di arabo all’università americana del Cairo, che è stato uno dei primi a scendere in piazza al Cairo, il professor Wael Farouk, mi diceva che questo film famoso e nefasto era su Internet già dal gennaio di quest’anno e che è stata una televisione salafita dello sceicco Khalad Abdallah a trasmettere questo film; la televisione Al Nas, il 9 settembre. L’ha fatto pour cause, cioè non è stata una scelta di informazione, ma per mettere in difficoltà proprio il nuovo corso, tanto più che questo Khalad Abdallah è uno sceicco ben conosciuto per le sue relazioni con i servizi segreti egiziani e con il passato regime.

Un’altra cosa che chiedo è attenzione ai rapporti con l’Arabia Saudita. La malattia che c’è nell’islamismo, cioè nell’Islam, che lo trasforma in islamismo, parte dall’ondata missionaria ben foraggiata del wahabismo, che ha radici tra gli stessi governanti sauditi. Dunque non possiamo giocare a non vedere. E la politica dell’Arabia Saudita non è di modernizzare l’Islam, ma di islamizzare la modernità attraverso un ingresso potente, anche economico, di questi Paesi in Europa. Non dimentico che, in questa ondata, c’è anche il Qatar, che ha mosso e spostato molto queste rivoluzioni in senso estremistico, dando voce agli altri. Non dimentico anche che, di fatto espiantati dall’Afghanistan e dall’Iraq, i terroristi più veementi e più teorizzatori di Al Quaeda si sono spostati nel Mali. Il Mali è subito dietro questi Paesi e da lì partono ondate e ondate di violenza, che attraversano il sud, con la Nigeria, l’Uganda, la Somalia, e arrivano al nord fino a lambire le nostre coste.

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