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La donna nell’islam (seconda puntata)

Fonte:
CulturaCattolica.it

Un approccio corretto alla conoscenza della antropologia culturale di popolazioni diverse da quelle occidentali, deve necessariamente fare riferimento alla religione di quelle popolazioni.
La dimensione religiosa è certamente quella più importante e più pervasiva presso tutti i popoli, per l’Islam addirittura è la religione che regolamenta anche la vita civile, il diritto civile e penale, la politica.
Come avremo modo di vedere in altri articoli, la concezione occidentale dei diritti universali dell’uomo, come deliberati dall’ONU, non trova riscontro nelle legislazioni dei paesi musulmani. Tanto meno dopo le recenti rivoluzioni popolari che hanno portato al potere i partiti di ispirazione fondamentalista, rigidamente ancorati alla legislazione di derivazione coranica.
Prima di continuare nella descrizione di come la donna è vista nella religione e nella cultura islamica è opportuno illustrare, anche se brevemente, cosa si trova nei testi sacri dell’Islam, per esempio negli Hadith (sentenze) del profeta.

La considerazione di Muhammad per le donne
Dagli Hadith (Editti) del profeta.
Sahih Muslim Hadith 142, narrato da Abdullah bin Umar.
Il Messaggero di Allah osservò: “O donne, dovreste dare la carità e chiedere tanto perdono, giacché vi ho visto ammassate fra gli abitanti dell’Inferno”.
Fra le altre, una donna saggia disse: “Perché, Messaggero di Allah, saremo ammassate nell’Inferno?”
Il Santo Profeta in merito a questa domanda, osservò: “Bestemmiate troppo e siete ingrate ai vostri sposi. Non ho visto alcuno venire meno al senso logico e non rispettare la religione e, allo stesso tempo, rubare la saggezza del saggio, eccetto voi”.
La donna puntualizzò: “Cosa c’è di sbagliato nel nostro senso logico e nella nostra religione?”
Egli (il Santo Profeta) rispose:” la vostra mancanza di senso logico è confermata dall’evidenza che due donne equivalgono ad un uomo, e dal fatto che trascorriate delle notti (e dei giorni) in cui non offrite le vostre preghiere e che nel mese di Ramadan (durante il giorno) non osservate il digiuno, il che vuol dire non rispettare la religione”.
Sahih Al Bukhari, Hadith 3826, narrato da Abu Said Al Khudri
Il Profeta disse: “Non è vero che la testimonianza di una donna equivalga alla metà di quella di un uomo?”
La donna rispose: “Sì”.
Lui disse: “Il perché sta nella scarsezza di cervello della donna”.
Sunan di Dawood, Hadith 2135, narrato da Qays bin Sa’d
Sono andato ad al-Hirah ed ho visto le persone prostrarsi davanti al proprio satrapo, così dissi: “L’Apostolo di Allah (che la pace sia con Lui) ha più diritto di ricevere prostrazioni dinanzi a Lui”-
Quando venni al Profeta (che la pace sia con Lui), dissi: “Sono andato ad al-Hirah e li ho visti prostrarsi innanzi al proprio satrapo, ma tu hai più diritto, Apostolo di Allah,ad avere persone prostrate innanzi a te.”
Lui disse: “Dimmi, se ti trovassi a passare vicino alla mia tomba, ti prostreresti?”
Io dissi: “No”.
E dopo disse: “E non farlo. Se mai dovessi comandare qualcuno di prostrarsi, comanderei le donne a prostrarsi innanzi ai loro mariti, a motivo del diritto speciale datogli da Allah.
L’affermazione sulla inferiorità della donna rispetto all’uomo, ha conseguenze importanti per la vita di tutti i giorni
Non ci si riferisce qui alle disuguaglianze che possono esistere a livello sociologico tra uomo e donna, queste sono purtroppo diffuse in tutte le società, nel mondo musulmano come in altre culture o civiltà. È necessario parlare della disuguaglianza giuridica, che ha delle conseguenze durature perché è normativa, spesso impedendo o comunque ritardando qualunque adeguamento alla mentalità dei musulmani e delle musulmane di oggi.
Come ho già scritto nella prima puntata, non è pensabile in questa sede di fermarsi sui singoli paesi musulmani, la descrizione è di carattere generale ma riguarda tutti quei paesi.
1. C’è anzitutto una disparità nella possibilità di contrarre il matrimonio. All’uomo viene riconosciuta la possibilità di avere contemporaneamente fino a quattro mogli (poligamia), mentre alla donna viene negata la facoltà di sposare più di un uomo (poliandria). La poligamia legalmente sancita significa una differenza radicale tra uomo e donna. All’uomo dà la sensazione che la donna è fatta per il suo piacere e, al limite, che è una sua proprietà che può “arare” come vuole, come afferma letteralmente il Corano (sura della Vacca II, 223).
Se ha la possibilità materiale, ne “acquista” un’altra. La donna si trova in una condizione di sottomissione nel ruolo di oggetto di piacere e di riproduzione; questo ruolo è confermato dal fatto che non viene mai chiamata con il suo nome, ma sempre in relazione a un uomo: figlia di..., moglie di...,
2. La donna musulmana non può sposare un uomo di un’altra fede, a meno che questi non si converta prima all’Islam. Il divieto è dovuto al fatto che, nelle società patriarcali orientali, i figli adottano sempre la religione del padre. Ma è anche giustificato dal fatto che il padre è il garante dell’ educazione religiosa dei figli, e quindi solo se è musulmano può assicurare la loro crescita secondo i principi islamici. Ricordo a questo proposito che i figli nati da un musulmano sono considerati a tutti gli effetti musulmani, anche se battezzati. Perciò ogni matrimonio misto (tra un musulmano e una cristiana o un’ebrea, gli unici due casi contemplati nella sharia) accresce numericamente la comunità musulmana e riduce la comunità non musulmana. Non mi soffermo in questa sede per approfondire questo argomento così tragico per le conseguenze delle mogli cristiane sposate a un musulmano. I fatti di cronaca sono lì a dimostrare quanta leggerezza, e ignoranza, ci sia da parte delle nostre donne e da parte della Chiesa cattolica nel contrarre e nel concedere la dispensa per questi matrimoni misti.
3. Il marito ha la facoltà di ripudiare la moglie ripetendo tre volte la frase «sei ripudiata» in presenza di due testimoni musulmani maschi, adulti e sani di mente, anche senza ricorrere a un tribunale. La cosa più assurda è che se il marito dovesse in seguito pentirsi della sua decisione e intendesse “recuperare” nuovamente sua moglie, quest’ultima dovrebbe prima sposarsi con un altro uomo che dovrà a sua volta ripudiarla. La donna passa in tal caso di mano in mano per rispettare formalmente la Legge. La moglie invece non può ripudiare il marito. Potrebbe chiedere il divorzio, che però diviene per lei motivo di riprovazione e la mette in una condizione sociologica molto fragile. Il ripudio è comunque vissuto come un’umiliazione per la donna e si presume sempre che lei abbia qualche problema a livello fisico o morale.
Infine, la facilità con la quale il marito può ripudiare la moglie senza dover giustificare la decisione, la rende totalmente dipendente dal suo stato d’animo, con il costante timore di essere allontanata. È come una spada di Damocle che pende sulla sua testa: se non si comporta secondo il desiderio del marito potrebbe essere ripudiata, e allora dovrà cercarne un altro che accetti di pren-derla con sé.
4. In quarto luogo c’è da considerare la facilità con cui si ottiene il divorzio, che avviene quasi sempre su richiesta dell’uomo. Tradizionalmente, non c’è neppure bisogno di andare in tribunale. È vero che un hadith di Muhammad, il Profeta, dice che «il divorzio è la più odiosa delle cose lecite», ma comunque è permesso.
5. L’affidamento della prole, in seguito al divorzio, è un altro esempio di disuguaglianza. I figli “appartengono” al padre, che decide della loro educazione, anche se sono provvisoriamente affidati alla madre fino all’ età di sette anni. Solo il padre ha la potestà genitoriale.
6. C’è poi la questione dell’eredità. Alla femmina ne spetta la metà del maschio, un provvedimento che trova fondamento nella situazione socio-economica in cui la famiglia viveva anticamente: dato che, secondo il Corano, è l’uomo che ha l’obbligo di mantenere la donna e l’intera famiglia, era logico che dovesse disporre di un piccolo fondo a cui attingere. Anche in questo caso una disuguaglianza fissata dalla legge divina aumenta la dipendenza della donna dall’uomo.
7. Una settima differenza a livello giuridico è che la testimonianza del maschio vale come quella di due femmine. Questo si basa su un hadith di Muhammad, molto diffuso negli ambienti musulmani nonostante la sua autenticità sia piuttosto discussa, in cui si afferma che «la donna è imperfetta nella fede e nell’intelligenza».
Quando si chiede ai fuqaha, agli esperti della legge, di spiegare il motivo rispondono che la donna è imperfetta quanto alla fede perché, in certe situazioni, ad esempio durante le mestruazioni, la sua preghiera e il suo digiuno non sono validi e la sua pratica religiosa è dunque imperfetta.
Riguardo la seconda parte dell’affermazione – l’“imperfezione” nell’intelligenza- forse un tempo questo poteva essere spiegato sociologicamente tenendo presente che le donne studiavano meno, che erano meno coinvolte nella vita sociale e dedite soltanto ai lavori domestici, ma da tempo tutto ciò non vale più. Eppure nella maggioranza dei tribunali dei Paesi islamici vige ancora questo principio nonostante le proteste delle associazioni femministe.
In alcuni Paesi i fondamentalisti chiedono anche che alle donne sia vietato di fare da testimoni nei processi in cui sono previste le pene coraniche.

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