La donna nell’Islam
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L’approccio all’analisi della condizione della donna nell’Islam è piuttosto complesso.
Infatti, bisogna avere più punti di riferimento per spiegare a un pubblico occidentale e nella fattispecie cattolico, quale sia oggi nelle varie comunità islamiche la condizione femminile.
È necessario considerare la notevole diversità di queste condizioni nei vari paesi e nelle varie culture.
Si va dal considerare la donna come semplice strumento di riproduzione della specie e di totale servizio all’uomo come nelle culture dell’Africa orientale (Sudan, Somalia, Etiopia, Eritrea), dove alle donne viene praticata l’infibulazione come elemento della loro identità; alle culture dell’Africa del nord (Marocco e Tunisia in particolare) dove alle donne viene riconosciuta una quasi parità dei diritti.
Non avendo a disposizione un ciclo di seminari su questi aspetti, è conveniente fermarsi in prima battuta a ciò che è contenuto nel Corano riguardo alla concezione originaria dell’Islam sulla donna.
Già sono note alcune difficoltà interpretative dei testi coranici per il fatto che le Sure del Corano non sono ordinate in senso cronologico, ma esclusivamente in ordine di lunghezza del testo. Già è noto che la parola che Allah ha rivelato al profeta Muhammad è profondamente diversa tra i due periodi storici durante i quali il Profeta dettò ai suoi primi seguaci gli insegnamenti ricevuti.
Infatti, le sure che gli studiosi islamici attribuiscono al periodo “Meccano” (le prime sure in ordine di tempo ricevute a La Mecca), sono profondamente diverse da quelle ricevute nel periodo “Medinese” (a Medina si era rifugiato per fuggire alle ire della sua tribù di origine).
Mentre le prime Sure sono impostate in senso mistico e di grande ispirazione divina simile all’Antico Testamento e contengono riferimenti alla Vergine Maria e a Gesù (considerato un profeta e non figlio di Dio), le seconde, quelle di Medina, risentono di tutto l’odio possibile contro gli ebrei e contro i cristiani dell’epoca e di quella città, perché semplicemente non credevano a quanto Muhammad predicava. (Infatti furono tutti assassinati gli ebrei di Medina).
È importante ricordare che ancora oggi è fatto divieto dalle autorità islamiche, in particolare dall’Università Al Hazar del Cairo (Egitto), di procedere ad una qualunque analisi ermeneutica dei testi delle sure. Chi tenta una simile operazione, e nelle Università è la cosa più naturale che si fa, viene denunciato per apostasia e condannato a morte. Oggi è ancora così.
Ecco perché è importante sapere questi antefatti prima di procedere a qualunque conoscenza dell’Islam.
Il Corano è intangibile da mani non purificate, è scritto in arabo e si deve recitare in arabo; diversamente la preghiera non è valida.
Il Corano è stato “dettato” al Profeta attorno all’anno 620 della nostra era cristiana, e per quella cultura beduina nomadica e mercantile. Oggi dopo 1400 anni gli imam affermano che non è possibile contestualizzare quegli insegnamenti nella nostra epoca. Chi ci ha provato, o è stato assassinato, o è dovuto riparare in Europa o negli Stati Uniti.
Con una immagine molto significativa, il noto gesuita arabo Khalil Samir, afferma che mentre il Vangelo per noi cristiani è la parola (Verbo) di Dio incarnata, il Corano è la parola (Verbo) di Dio incartata. Nel senso che mentre Gesù, figlio di Dio, è entrato nella storia dell’uomo per portarlo alla salvezza e quindi si è fatto uno di noi, per l’Islam Dio non è padre né altra cosa tangibile, è parola increata, non ha nessun contatto con l’uomo, è solo lontano, inaccessibile, irraggiungibile. La sua Parola, cioè il Corano, è contenuta nella madre del libro che scolpita in parole d’oro è conservata in cielo presso Allah.
Fatte queste semplici premesse vediamo di analizzare la situazione della donna nell’Islam in una simulazione di domande e risposte, avendo come testo di riferimento il Corano e gli hadith (editti) del profeta Muhammad.
È vero che nell’Islam l’uomo viene ritenuto superiore alla donna? O è un luogo comune? Su che cosa si fonda questa affermazione?
Nel Corano viene affermata esplicitamente la superiorità dell’uomo sulla donna, ma anche il suo dovere di tutelarla. Il versetto 228 della seconda sura detta “della Vacca”, afferma che «gli uomini sono superiori alle donne» o letteralmente «sono un gradino più in alto», e il versetto 34 della quarta sura detta “delle Donne”, dice che «gli uomini hanno autorità sulle donne a causa della preferenza che Dio concede agli uni rispetto alle altre, e perché spendono per esse i loro beni». Da queste affermazioni è derivata una tradizione secolare che dà al marito un’autorità pressoché assoluta sulla moglie, confermata anche da vari hadith.
È bene notare che nella sura delle Donne appena ricordata la superiorità maschile è legata sia alla preferenza divina, sia a una motivazione di carattere economico, anche se questo secondo aspetto viene spesso lasciato in ombra dagli esegeti e dai giuristi. In sostanza si afferma che l’autorità maschile deriva anche dal fatto che l’uomo assicura alla donna il mantenimento.
Ma è lecito chiedersi se questa autorità può ritenersi ancora fondata quando l’uomo non provvede più al mantenimento della donna, ad esempio perché, come avviene sempre più frequentemente in epoca moderna, essa lavora e quindi: è autosufficiente o, talvolta, provvede lei stessa al mantenimento del marito e della famiglia.
Ma un altro aspetto interessante è affermato, sempre nello stesso versetto 34: “… quanto a quelle di cui temete atti di disobbedienza, ammonitele, poi lasciatele sole nei loro letti, poi battetele; ma se vi ubbidiranno, allora non cercate pretesti per maltrattarle; ché Iddio è grande e sublime”.
Questo è molto importante saperlo, perché non è un semplice dato culturale legato a quel tempo, è contenuto nel sacro testo dell’Islam, è parola di Allah, e non può essere messa in dubbio: è una regola.
Da parte di molti intellettuali, anche cattolici, si ritiene ci sia una certa somiglianza tra le affermazioni coraniche che stabiliscono l’autorità dell’uomo sulla donna e alcuni passi della Lettera di Paolo agli Efesini. Cosa c’è di vero in questo?
Affermare che Paolo attribuisce all’uomo un’autorità sulla donna paragonabile a quella indicata dal Corano è frutto di una lettura scorretta del capitolo 5 della Lettera agli Efesini.
Se si esaminano i versetti 21-33, che racchiudono il testo generalmente chiamato in causa, relativo alla relazione tra marito e moglie, si trova che la struttura formale di questi 13 versetti ci indica già lo scopo di Paolo. Dapprima viene affermato un principio generale: «Siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo» (v. 21). Seguono tre versetti (22-24) che si rivolgono alle donne e altri otto (25-32) indirizzati agli uomini, e alla fine un versetto conclusivo (33) chiarisce l’atteggiamento richiesto a ciascuno dei due. Da questa struttura si deduce che il senso delle parole di Paolo è un’esortazione rivolta agli uomini piuttosto che alle donne.
Alle mogli Paolo dice di essere sottomesse ai mariti come la Chiesa lo è rispetto a Cristo. Ai mariti Paolo raccomanda di amare le loro mogli «come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei», usando cinque volte il verbo amare. Ed ecco la conclusione: «Quindi anche voi, ciascuno da parte sua, ami la propria moglie come se stesso, e la donna sia rispettosa verso il marito».
Esaminando adesso le parole nel loro contesto storico per vedere qual è la novità nell’insegnamento di Paolo, si trova che, quando parla alle donne egli non sta introducendo alcun precetto nuovo: infatti la tradizione mosaica, quella ellenistica e quella romana avevano stabilito il principio della sottomissione della donna. La novità sta nel come, e Paolo specifica che si deve prendere ad esempio la sottomissione della Chiesa a Cristo, una sottomissione d’amore, spirituale, e non quella di una schiava al suo padrone. Perciò, nella conclusione, avendo chiarito il concetto, parla di «rispetto».
Quando invece si rivolge ai mariti, li esorta ad amare le loro mogli come Cristo ha amato la Chiesa, offrendo la propria vita per lei. Probabilmente, allora come oggi, c’era un problema di mancanza di amore dell’uomo per la sua donna, e Paolo diceva al riguardo cose nuove: voi donne, che siete sottomesse ai vostri mariti, lo dovete fare come la Chiesa a Cristo, in un legame di amore; e voi uomini, imparate ad amare le vostre mogli. Si tratta di forme diverse di un unico amore.
La stessa prospettiva viene utilizzata quando Paolo dice che Cristo era sottomesso al Padre e obbediente a Lui fino alla morte e alla morte in croce. Per l’apostolo, in questa prospettiva, l’obbedienza e la sottomissione non sono un atto di inferiorità umiliante ma un atto di deferenza; prova ne è che Cristo non è affatto inferiore a Dio, ma consustanziale con Lui.
In conclusione, mentre nella concezione cristiana l’uomo e la donna sono messi su un piano di sostanziale parità, in quella musulmana si stabilisce una differenza a livello ontologico, come affermano ancora oggi gli autori musulmani che presentano il ruolo della donna nell’Islam spiegando che essa, essendo per sua natura più debole fisicamente, più fragile psichicamente e più emotiva che razionale, è inferiore all’uomo e deve sottostare a lui.