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La Chiesa non è «il re tentenna»

Fonte:
CulturaCattolica.it
«Ho sempre prestato la deferenza voluta e corretta agli imperatori, ma le cose di Dio non sono cose mie, non sono cose dell’imperatore, sono cose di Dio e devo rispettare e difendere quanto è di Dio».
(Sant’Ambrogio)

Dev’essere proprio inaccettabile, in un’epoca in cui tutto pare lecito e tutto si può vendere e si può comprare, che qualcuno, ancora, difenda tenacemente la “non negoziabilità” di certi valori e li consideri “beni indisponibili”. Indigeribile.
Così infatti esordisce Adriano Sofri oggi, su Repubblica: «In principio c’è la cortese invenzione che chiama “eticamente sensibili” i temi che riguardano il corpo e la sessualità, e assegna loro un’aiuola a parte, come un albero dal frutto proibito. A essi si riduce progressivamente la Questione Cattolica». Pur non capendo cosa Sofri intenda per “Questione Cattolica”, la puntigliosa ringrazia per le due lettere maiuscole e, prima di commentare l’affermazione di Sofri, ricorda (sennò che “puntigliosa” sarebbe!) tutti i valori che la Chiesa considera “non negoziabili”: la vita dal concepimento alla morte naturale, la famiglia, la libertà di educazione e la libertà religiosa.
Detto questo, se Sofri crede di offenderci, scrivendo che la Questione Cattolica (?) si è “ridotta” ai valori “eticamente sensibili” si sbaglia di grosso, perché l’attenzione della Chiesa, in questo modo, è concentrata sulla sostanza. Come infatti ha detto efficacemente il cardinale Angelo Bagnasco il 17 ottobre 2011 a Todi, con i beni non negoziabili «sono in gioco […] le sorgenti dell’uomo e degli altri valori». E’ esattamente questo il motivo per cui devono essere considerati gerarchicamente preminenti rispetto ad altri beni come la giustizia sociale, l’eliminazione della povertà, la solidarietà, l’accoglienza degli stranieri, la pace, eccetera… Il Papa lo ripete in continuazione, da questo sito l’eco è arrivata – credo – ai confini del mondo, eppure c’è chi ancora fa orecchie da mercante (dentro e fuori dal Tempio).
Sofri così prosegue: «Quando il Partito Democratico si impegna a fondere in una nuova e più varia formazione la sinistra comunista e il cattolicesimo popolare, una specie di accordo fra galantuomini, diciamo così, li fa accantonare (i temi “eticamente sensibili”, ndr) come di argomenti di cui non sta bene parlare in pubblico». Vero. E infatti si è vista e si è sentita, ieri, la bagarre, alla conclusione dell’assemblea nazionale del Pd, quando, sulle nozze gay, sono venute allo scoperto le diverse “anime” del partito. Il documento redatto dal Comitato dei diritti presieduto da Rosy Bindi, che fa riferimento alla sentenza della Consulta, ma che cozza con la posizione del fronte laico, che affronta il complesso dei diritti civili (dalle unioni gay, al testamento biologico, all’utilizzazione di embrioni per la ricerca…), che però cozza con le richieste dell’onorevole Concia, Ivan Scalfarotto, Pippo Civati che premono per il matrimonio gay e con Vendola che ribadisce «basta con frammenti di diritti, vogliamo diritti interi, uguali per tutti» e con l’Idv che chiede la sottoscrizione della proposta di legge per il pieno riconoscimento dei matrimoni gay, già depositata in Parlamento…
E’ chiaro – l’han fatto intendere in tanti – che i più scaltri optano (ed opteranno) per la solita politica dei piccoli passi silenziosi, con strizzatina d’occhio incorporata. Lasciate fare: diciamo sì al registro delle unioni civili e poi abbiate un po’ di pazienza. Lasciate che si calmino un po’ le acque e il resto, col tempo, verrà da sé, fino a quando si potrà dire «e vissero tutti (ma solo loro) felici e contenti». Loro. Non certo le famiglie vere, alle quali sta capitando quel che capita in spiaggia, quando fai il gioco della polenta. Una montagnetta di sabbia asciutta e un bastoncino piantato nel centro. Togli una manata di sabbia (piccola) di qua, un’altra di là e ad un certo punto il bastoncino (la famiglia) cade.
Siccome quando in Veneto ci chiamano “polentoni” non è propriamente un complimento (“polentone” è sinonimo di “tonto”), la puntigliosa, che non ha nessuna voglia di essere complice della distruzione della “polenta”, e cioè della famiglia, ha ripreso in mano un saggio di mons. Giampaolo Crepaldi, dal titolo “Il cattolico in politica. Manuale per la ripresa”, per proporne alcuni passaggi.
Lo sdoganamento dell’incesto in Parlamento, la pressione affinché si arrivi al registro delle coppie civili (e poi, magari, al matrimonio dei gay, e alle adozioni), ma anche gli altri temi su cui si sta battendo il fronte laicista e che sono, per l’appunto, i temi “eticamente sensibili”, impongono ai cattolici chiarezza di vedute e chiarezza di posizione.
Scrive mons. Crepaldi: «Il politico cattolico non deve essere un “re tentenna”, uno che prende tempo perché vuole accontentare tutti […] Non vale qui (di fronte ai valori non negoziabili, ndr) la tesi di molti secondo la quale un conto è il comportamento personale e un altro è quello dell’uomo pubblico: personalmente si è contrari ma da responsabili della cosa pubblica non si può imporre ad altri di pensarla come noi. Questo ragionamento non vale perché la prima cosa che l’uomo pubblico deve difendere è la verità naturale sull’uomo, la famiglia, la vita. Realtà che non appartengono a nessuno e proprio per questo non appartengono nemmeno a lui, che quindi non può disconoscerle. Se la politica pretende di avere la parola definitiva sulla persona, sulla famiglia e sulla vita assolutizza se stessa, fa di se stessa una religione […] Questo avviene anche quando l’uomo politico si astiene dal difendere queste verità per rispetto delle opinioni altrui. In questo caso egli assolutizza la politica, facendone qualcosa di più importante della persona stessa».
«Con Benedetto XVI – scrive ancora l’attuale vescovo di Trieste – il cristianesimo comprende che il mondo ha bisogno di Cristo come di qualcosa di indispensabile e che gli autentici diritti umani rischiano, senza di esso, di essere schiacciati sotto la dittatura del relativismo». Non serve fare esempi, perché la verità di questa affermazione è, quotidianamente, sotto gli occhi di tutti.
E allora, che fare?
Noi che politici non siamo abbiamo il dovere di rimanere desti e di sollecitare coloro che abbiamo eletto ad una presenza cristiana coraggiosa ed incisiva, che non accetti compromessi al ribasso.
I cattolici che hanno scelto di impegnarsi in politica è bene che diano una ripassatina alla Nota dottrinale della Congregazione per la Dottrina della fede del 2002 e, magari, all’enciclica Caritas in veritate. Se per caso nel tempo l’avessero dimenticato, sarebbe, questo, un bel modo per recuperare il senso (vero) del compito che sono chiamati a svolgere.

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