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“Ho avuto due gemelle con la mia compagna”

Fonte:
CulturaCattolica.it

Fecondazione eterologa: realtà e interpretazione (politicamente corretta)
Questi i fatti: il 3 maggio, a seguito di fecondazione eterologa, all’ospedale Niguarda di Milano sono venute alla luce le gemelle Nina e Cloe. La madre è Francesca, 37 anni, primogenita di Roberto Vecchioni, nata dal suo primo matrimonio. Francesca da cinque anni ha una compagna, Alessandra Brogno, e, per la fecondazione assistita, insieme si sono recate in Olanda.
Questa, invece, l’interpretazione della realtà (politicamente corretta). Il servizio-intervista, a firma di Matilde Amoroso, non si limita infatti alla cronaca, ma è condito da quel “di più” di aggettivi, di commenti, di espressioni seminate qua e là, che rendono la vicenda non un’occasione di riflessione, ma un modello esemplare. Letteralmente.
Nina e Cloe non sono due gemelle qualsiasi (e si era capito). Neanche Francesca e Alessandra sono due donne qualsiasi (e si era capito, altrimenti a che pro intitolare l’articolo “Storia di copertina”?). Queste quattro femmine sono… “di più”. La loro storia è “di più”.
Che la puntigliosa stia esagerando? Niente affatto.
Ecco Matilde Amoroso: « (Nina e Cloe, ndr) sono belle e sane, piangono e si fanno coccolare come tutte le bambine del mondo, ma rispetto alle altre bambine hanno qualcosa in più: per loro di mamma non ce n’è una sola, ma due». Messaggio: tutti gli altri bambini, poverini, hanno qualcosa “di meno”: solo (?) una mamma e un papà. Che tristezza!
Ancora: «Le nostre piccole avranno doppia dose di amore». E gli altri bambini del mondo? Secondo noi, semplici genitori semplici, la “dose di amore” di una mamma, più la “dose di amore” di un papà – se la matematica in questo tempo di relativismo non è diventata pure lei un’opinione – è uguale a “doppia dose di amore”, ma il messaggio anche qui è… vuoi mettere?
Come detto, la figlia di Vecchioni si è recata in Olanda, dove «la donazione è considerata un servizio sociale. Chi dona il seme lo fa gratuitamente e non può restare nell’anonimato. Se le nostre figlie vorranno – spiega Francesca –, al compimento del sedicesimo anno, potranno conoscere il loro padre biologico».
Ottimo, pensa la puntigliosa. E se, figlie di quel padre biologico, di cui condividono parte del patrimonio genetico, Nina e Cloe volessero oltre che sapere chi è, anche conoscerlo, frequentarlo? E se desiderassero, chiedessero un legame? Affetto? Amore?
E poi: come glielo spiegheranno che il loro padre, per la mamma biologica Francesca che le ha tenute in grembo, in realtà è stato ed è un emerito sconosciuto; che mamma Fra con lui non ci ha neanche mai parlato, né l’ha visto in faccia; che sono stati i medici a metterle in grembo il seme di quell’uomo, e che Nina e Cloe non sono nate da un atto di amore, come la loro madre, come l’altra “mamma”, Alessandra?
E ancora: come si cresce in una famiglia di sole donne? I pareri, anche nel servizio, sono discordanti. Lo psicanalista Tony Anatrella così afferma: «Non discuto l’affetto di papà e mamme gay, ma l’amore non basta: il confronto con l’alterità sessuale è indispensabile, nella formazione di una solida identità». Secondo l’Api, l’Associazione psicologi italiani, «la coppia omogenitoriale farà bene se saprà orientare il piccolo verso figure di sesso alternativo. Sostitute (o sostituti) come zie, nonne, professoresse (o zii, nonni, professori nel caso di mamme lesbiche)».
Domanda: i “sostituti” valgono quanto i papà o le mamme che a questi bambini vengono negati per scelta degli adulti e a priori e per sempre? Lo so che è una domanda politicamente scorrettissima e infatti, come l’avessero prevista, nel servizio si legge la solita menata, e cioè che noi italiani siamo vergognosamente indietro rispetto alle «più avanzate democrazie occidentali, come il Canada, la Gran Bretagna e il Belgio». Quale sia il criterio per definire “avanzata” o meno una democrazia lo sanno solo loro, nell’ottica – se non in questo caso quando? – che «non è bello (e vero) ciò che è bello (e vero), ma è bello (e vero) ciò che piace». E, alla faccia del concetto sbandieratissimo di tolleranza, zitti tutti: non si discute!
Dev’essere questo il motto delle «democrazie avanzate», pensa tra sé e sé la puntigliosa (ma poi lo mette anche nero su bianco): «che ogni desiderio sia legge!»
Se così è… viva l’Italia!

«Un figlio dà gioia, ma la Chiesa insegna a seguire la natura»
Questi alcuni passaggi dell’intervento di mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, chiamato ad esprimere la posizione della Chiesa in merito alla vicenda. Li trascrivo e basta. Al magistero della Chiesa non servono glosse.
«Benedico le gemelline Nina e Cleo, però (…) la posizione della Chiesa cattolica è chiara e semplice. Si potrà non condividerla, ma è la nostra fede, e va rispettata come tutti gli altri punti di vista. Noi riteniamo che il rispetto per la natura sia la condizione prioritaria per il futuro dell’umanità. La nascita e la morte è bene che siano in questo orizzonte. Allo stesso modo la fecondazione è assunzione di responsabilità che un padre e una madre si assumono. Un figlio non può essere solo la conseguenza del desiderio irrefrenabile di una persona adulta, ma frutto di un amore che, nella complementarietà, permette la crescita e lo sviluppo armonico dei figli. Ciò che si ritiene un diritto per sé, non sempre è rispettoso del diritto del figlio che vorrebbe avere anche un padre!».

E i politici cattolici dell’Udc e del Pd?
A Viterbo, alla rassegna Caffeina Cultura, intervistata sui matrimoni e le adozioni gay la deputata Paola Concia del Pd ha ribadito con forza la posizione sua e di Vendola: «Nessun compromesso!». E alla domanda dell’intervistatrice Irene Buscemi che le ricordava come Bersani cerchi l’alleanza con Casini e con l’Udc così ha risposto: «Bersani ha detto che il problema non sono le alleanze, ma se condividiamo un’idea di società. Il segretario Bersani ha detto delle cose precise. Evidentemente Casini è d’accordo con noi e se non è d’accordo con noi, peggio per lui».
Questo il suo commento sull’attuale posizione dell’ala cattolica e moderata del Pd: «Inutile che nelle loro interviste D’Alema, Letta e la Bindi continuino a insistere sui Dico. I Dico sono stati superati dalla storia e dalla realtà, per cui bisogna lavorare, come dice Bersani, per qualcosa di profondamente diverso. Io sono favorevole al matrimonio e dobbiamo raggiungere modelli di uguaglianza».
La giornalista domanda se, a suo parere, in Italia si arriverà alla possibilità di adozione per le coppie omosessuali. «Per forza ci dobbiamo arrivare: queste sono realtà!» Viste le diverse “anime” all’interno dello schieramento, la Buscemi chiede infine all’onorevole Concia se non ha mai pensato di cambiare partito, o magari di trovarsi nel partito sbagliato. Secca la risposta della deputata pidiessina: «Forse qualcun altro sta nel partito sbagliato…».
La puntigliosa ascolta e riascolta l’intervista, poi pensa che, in effetti, se – come dice Bersani – il problema non sono le alleanze, ma condividere un’idea di società, è esattamente su questo che sarebbe bene si interrogassero i cattolici del Pd, di altri schieramenti che pensano a future alleanze con il Pd, e i cattolici tutti.
Il Cristianesimo ha rivoluzionato l’idea dell’uomo, della donna, della famiglia, della vita, della morte… Non c’è nulla da “inventare” e non risulta che Gesù Cristo si sia mai lasciato influenzare dalle mode. Ha però detto «Chi non è con me, è contro di me» (Mt 12,30).
Se lorsignori i cattolici impegnati in politica magari decidono (alla svelta) da che parte stare…

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