Il Pellegrinaggio alla Mecca e Abramo
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Il hajj, ovvero il pellegrinaggio alla Mecca, è il quarto pilastro dell’islam. Quest’obbligo deve essere adempiuto da ogni musulmano adulto almeno una volta nella vita. Il pellegrinaggio annuale ha luogo negli ultimi dieci giorni di dhu al-hijja, il dodicesimo mese del calendario lunare, e raggiunge il suo culmine con la Festa del sacrificio, celebrata in tutto il mondo musulmano, in ricordo del sacrificio da parte di Abramo del figlio Ismaele, con l’uccisione di una pecora, una capra o un montone appositamente allevati. La ‘umra, la visita o pellegrinaggio minore, invece può essere intrapresa in ogni periodo dell’anno. Compierla però durante il mese di Ramadan, secondo la tradizione, apre le porte del Paradiso, perché equivale al pellegrinaggio.
Il pellegrino quando giunge a circa dieci chilometri dalla Mecca entra in stato di ihram, di purità, e deve indossare sul corpo nudo solo due pezzi di stoffa bianca senza alcuna cucitura, l’uno arrotolato alla cintola, l’altro che copre il petto lasciando scoperta la spalla destra. Prima di indossarlo il pellegrino deve fare un bagno purificatore in cui chiede a Dio la remissione dei propri peccati, così come per tutto il periodo in cui si è muhrim, cioè in stato di religiosa consacrazione, il pellegrino si deve astenere dai rapporti sessuali e deve concentrarsi soltanto nella preghiera e nella lode di Dio.
I riti del pellegrinaggio hanno una successione ben precisa: la circoambulazione della Caaba in senso antiorario per sette volte; toccare la Pietra nera; la corsa di circa 500 metri avanti indietro per sette volte tra le colline di Safà e Marwa, poiché secondo la tradizione Agar, moglie di Abramo, disperata per il fatto di trovarsi in mezzo a montagne desertiche e senza acqua, cominciò a correre tra Safa e Marwa e il suo piccolo Ismaele, piangendo e battendo i piedini per terra fece sgorgare un’abbondante sorgente d’acqua ribattezzata Zamzam; la sosta in piedi nella valle di Arafat dove Maometto pronunciò il suo ultimo sermone, la corsa vertiginosa attraverso la stretta gola di Muzdalifa, la lapidazione di tre steli che rappresentano Satana e, infine, il sacrificio di un animale a Mina (un tempo eseguito all’aria aperta, oggi in mattatoi).
Anche questo pilastro dell’islam ha origini preislamiche. Già prima dell’avvento dell’islam si svolgeva un pellegrinaggio annuale alla Caaba, sede del pantheon degli dei. Il primo pellegrinaggio islamico risale al marzo 631 e fu guidato dal futuro primo califfo, Abu Bakr.
Circa due milioni di musulmani ogni anno, quota fissata dalle autorità saudite, da ogni lato della terra si recano alla Mecca per celebrare questo rito. Il numero sempre più elevato di partecipanti ha provocato nel corso degli anni anche incidenti gravi. Nel 1997, ad esempio, circa trecento pellegrini sono morti in un immenso rogo sviluppatosi all’interno dell’immensa tendopoli di Mina, a 11 chilometri dalla Città Santa dell’islam. E’ stato un incendio impressionante per le sue dimensioni, esteso a un’area dove erano allestite almeno 50 mila tende, dove alloggiavano centinaia di migliaia di pellegrini.
Nel 2001 la Festa del sacrificio, l’appuntamento più atteso dai musulmani alla conclusione del pellegrinaggio, è stata funestata da una strage. Per la terza volta in otto anni si consumò un massacro, almeno 35 i morti soffocati o schiacciati dalla folla, mentre espletavano il rituale della “lapidazione di Satana” nella valle di Mina, dieci chilometri a sud della città santa dell’islam. L’eccezionale calca attorno alle tre steli, alte 18 metri è stata fatale. La tradizione impone infatti che i fedeli debbano avvicinarsi il più possibile alle steli di Satana per colpirle con precisione ma così facendo finiscono per perdere più facilmente l’equilibrio. Purtroppo si sono rivelate insufficienti le misure di sicurezza prese dalle autorità saudite per impedire il ripetersi di analoghe stragi di fedeli verificatesi nel 1994 (270 morti) e nel 1998 (118 morti). L’islam assicura il Paradiso a chi muore in stato di ihram, purificazione fisica e spirituale, nella città santa della Mecca o durante il pellegrinaggio. Il re saudita Fahd definì “martiri della Nazione islamica” le vittime di un altro grave incidente alla Mecca (1.426 morti soffocati all’interno di un tunnel nel 1990). Il sovrano ricordò il dogma della predestinazione: “E’ stata la volontà di Allah, perché Lui è sopra ogni cosa. Se questi pellegrini non fossero morti qui, sarebbero morti altrove, ma sempre nel momento predestinato”. Nel 1994 l’allora mufti saudita, lo shaikh Abd al-Aziz bin Baz, emise addirittura una fatwa che interdì l’accesso nel recinto della moschea della Mecca ai malati gravi e agli anziani non autosufficienti con lo scopo di eliminare la consuetudine di ricercare la morte nel più sacro dei luoghi dell’islam per essere sicuri del Paradiso. La prevalenza dell’esteriorità rituale sull’interiorità della fede è tangibile in ogni fase del pellegrinaggio e in particolare del culto della Caaba, l’edificio cubico situato al centro della moschea della Mecca dove secondo la tradizione Abramo fondò il culto monoteista e che corrisponderebbe al punto sopra il quale, nel Regno dei cieli, si eleva il trono di Dio.
Ma il sospetto che il vero spirito dell’islam non venisse osservato portò addirittura i wahhabiti, i seguaci del movimento radicale islamico adottato dalla famiglia reale saudita, a distruggere nel 1806 la stessa Caaba, considerata oggetto di culto idolatrico.
Oggi il pellegrinaggio alla Mecca rappresenta la principale fonte di valuta pregiata per le casse saudite dopo il petrolio. La consapevolezza del valore inestimabile di questa risorsa ha indotto la famiglia reale a investire ben 27 miliardi di dollari negli ultimi 20 anni in progetti finalizzati a rendere più confortevole il pellegrinaggio come si evince anche dal sito dell’Ambasciata saudita in Italia: “All’epoca dell’unificazione dell’Arabia Saudita, nel 1932, la Moschea del Profeta poteva accogliere diciassettemila fedeli e la Sacra Moschea quarantottomila. Una serie di progressivi ampliamenti protrattisi sino ai giorni nostri ha accresciuto la ricettività dei due luoghi di culto, rispettivamente, a cinquecentomila e a più di un milione di fedeli, per consentire ai pellegrini di svolgere il loro precetto religioso con tranquillità e sicurezza. L’Hajj è ripreso dalla televisione saudita e trasmesso in tutto il mondo. Per rendere più efficiente il servizio di accoglienza dei pellegrini, Re Fahd ha sostituito, nel 1993, il Ministero del Pellegrinaggio e delle Sovvenzioni con due organizzazioni separate: il Ministero del Pellegrinaggio, che si occupa esclusivamente dell’Hajj, ed il Ministero degli Affari Islamici (www.islam.org.sa), delle Sovvenzioni, della Convocazione e della Guida. Le notevoli risorse finanziarie ed umane che l’Arabia Saudita ha impegnato e impegna per favorire l’Hajj testimoniano la dedizione dei governanti e dei cittadini del Regno nel servire l’Islam e nel conservare i Luoghi Sacri come rifugio di pace per tutti i musulmani. A livello internazionale, il Regno ha contribuito ad erigere, nei vari continenti, più di 210 Centri Islamici e Culturali. Lo scopo fondamentale di questo impegno è sintetizzato nelle parole del medesimo Custode delle Due Sacre Moschee, Re Fahd Bin Abdul Aziz “Con l’aiuto di Dio, continueremo ad assolvere questo grande compito, attenendoci saldamente al nostro credo islamico e seguendo i suoi insegnamenti. Faremo ogni sforzo per rinsaldare i nostri rapporti con i nostri fratelli nei paesi musulmani ed arabi e faremo del nostro meglio per la nazione musulmana”.
Lavori di ampliamento, costruzione di grandi hotel internazionali, tour operator che si occupano solo di pellegrinaggio alla Mecca fanno del quarto pilastro dell’islam un vero business per chi lo gestisce ovvero il Regno dell’Arabia saudita. Anche il leader libico Gheddafi non ha mancato di mostrare il suo interesse per le sorti della Mecca, proponendone l’internazionalizzazione, cosa che ha immediatamente suscitato la dura opposizione dei sauditi. E proprio per tagliar corto con tutte le illazioni sulla illegittimità o incapacità a governare la Mecca, re Fahd ha adottato l’attributo di “Custode delle due sante moschee” della Mecca e Medina.