«Mentivamo sapendo di mentire»
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(Edmondo Berselli)

Tanto peggio per i fatti…
E’ un “fatto” la lettera che don Julián Carrón ha inviato a Repubblica? Inconfutabilmente sì, lo è. Scripta manent. Poteva (doveva!), quella lettera, essere pubblicata nelle pagine in cui il quotidiano abitualmente ospita le lettere? A ragion di logica sì.
Carrón scrive, il lettore legge e si fa la sua idea. Elementare, Watson. E giornalisticamente corretto. E invece – piatto ricco mi ci ficco – Ezio Mauro che fa? Forse gli hanno insegnato che i lettori vanno “educati” secondo l’ortodossia politicamente corretta, e cioè quotidianamente pilotati. Che non hanno un pensiero proprio o, se ce l’hanno, che va pazientemente smantellato. Che, nei casi più ostici, si può ricorrere al lavaggio del cervello. O alla lobotomia se occorre. Virtuale, ma pur sempre efficace.
Fatto sta che Carrón viene lanciato (sbattuto?) in prima pagina, con rimando all’interno, e la sua lettera sminuzzata, scandagliata, passata al microscopio, alla centrifuga, al setaccio, al copia-incolla, al taglia e cuci, al… telefono senza fili, per cui da Carrón parte il messaggio “x” e al lettore, dopo la traduzione della meglio intelligenza dei repubblicones magna (che ti magna) cum laude, arriva… un’altra roba. E chissenefrega, dicono Mauro & i suoi. Che c’entriamo noi, che la lettera di Carrón l’abbiamo pubblicata per filo e per segno (e pazienza se poi l’abbiamo chiosata, glossata, virgolettata, grassettata, titolata come ci garbava…). Colpa dei ciellini che – si sa – parlano “strano”, con quel gergo che capiscono solo loro!
“Tanto peggio per i fatti, se i fatti interrompono le emozioni”: questo lo stile che Mauro & il Gruppo editoriale L’Espresso hanno visibilmente, inconfutabilmente, vergognosamente riproposto in questi ultimi giorni. Tocca farsene una ragione (e magari essere più scaltri la volta prossima…).
Repubblica ha deciso di prendere di mira il non inquisito Formigoni, detto il “Celeste”? (Loro, arcobaleno da prima che il primo arcobaleno comparisse all’orizzonte, si divertono con poco. Si divertono così. Gli basta anche solo giocare con i colori…). Pronti, mezzo, via? All’attacco con il linciaggio a Formigoni ed – effetto domino – a CL e già che ci siamo anche alla Chiesa? E allora ben vengano le “sassate” di Carrón, complice inconsapevole, che dal primo maggio è puntualmente ripreso e virgolettato ad hoc, con precisione scientifica. A dosi piccole, ma letali come veleno. Morte lenta che (quasi) non lascia traccia.
“Carta straccia. Il potere inutile dei giornalisti italiani”.
Ha titolato bene, Giampaolo Pansa, il libro edito Rizzoli, uscito giusto un anno fa. Accusato di alto tradimento, per gli ex colleghi il giornalista piemontese è ormai diventato… trasparente. E questi, che recensiscono adulanti anche i libri degli ultimi degli ultimi, alle pubblicazioni di Pansa dedicano al massimo un trafiletto che può redigere indifferentemente chiunque, perché tanto, in redazione, vige il pensiero unico. Mica se lo sogna la puntigliosa! Non lo dice nemmeno il vituperato Pansa. Sul Riformista del 10 ottobre 2009 a scriverlo è Peppino Caldarola, già direttore dell’Unità: “I giornalisti di Repubblica parlano tutti nello stesso modo. E’ forse il primo caso nella storia del giornalismo italiano di una così totale identificazione con le ragioni della propria testata. Sembrano usciti tutti dalla stessa scuola quadri. Sembrano tutti felicemente aderenti al centralismo democratico del nuovo giornale-partito”.
Una conferma, sempre ce ne fosse bisogno? Proprio gli articoli-fotocopia scritti, da sempre, contro CL. O gli interventi dopo la lettera di Carrón. Tutti uguali.
E’ comunque Pansa, in un articolo del 26 marzo 1982, a raccontare, con lucida preveggenza, le derive deliranti del cattivo giornalismo di oggi (“cattivo” in tutte le accezioni possibili, nessuna esclusa): “Il giornalismo d’informazione è sempre più malato di faziosità politica. E’ un vizio cresciuto nella convinzione che il nostro non sia per nulla il mestiere di produrre e vendere notizie pulite. (…) Al giornalista ‘megafono dell’editore’ (…) si è sostituito il giornalista che ‘pensa politico’ anche quando scrive di calcio o di moda. Le conseguenze sono soprattutto due. La prima è che, dinanzi a un fatto controverso, la certezza politica diventa subito certezza professionale. La seconda è che l’amico politico va difeso sempre, mentre l’avversario va sempre combattuto… Nasce in questo modo la figura del giornalista dimezzato: quello che decide di essere a sovranità limitata”.
E’ solo il vade-retro-revisionista-reazionario Pansa a scrivere così del giornalismo stile Repubblica, ma che accomuna tanti, troppi media? Niente affatto. Pesco sempre da “Carta straccia”, ma le parole sono di un insospettabile. “I giornali? E’ segno di civiltà non leggerli. Bisogna lasciarli in edicola”. Parola del postcomunista ed oggi diessino D’Alema, che il 13 aprile 1993 disse: “In questo paese non sarà mai possibile fare qualcosa sino a quando ci sarà di mezzo la stampa. La prima cosa da fare quando nascerà la Seconda repubblica sarà una bella epurazione dei giornalisti in stile polpottiano”. (Per essere chiari, sta parlando mica di un docente di quei corsi di giornalismo oggi tanto alla moda! No. Si riferisce proprio a Pol Pot in persona, capo dei kmer rossi: il dittatore sanguinario della Cambogia. Se i libri di storia non soffrissero di amnesia-a-singhiozzo, sarebbe chiaro a tutti che quello di D’Alema non è affatto un complimento!).
Ecco. Esattamente nelle grinfie di costoro è finita la lettera di Carrón: giornalisti con artigli alla Pol Pot, che – historia docet – non si è mai preoccupato di andare per il sottile.
E Repubblica? “Il giornale guerrigliero”, lo definisce Pansa, a pagina 273. Che argomenta. “La Repubblica armata, con la spada pronta a tagliare la testa di Silvio il Caimano (ed ora del “Celeste”, ma anche di CL, ma anche di Benedetto XVI, il cui pontificato è “commentato” da sedicenti teologi un giorno sì e il giorno dopo anche… ndr), non sarebbe mai esistita se non ci fossero stati i suoi lettori da combattimento (…) dal momento che una parte dei suoi lettori è sempre stata arroventata, settaria e pervasa da speranze sanguinarie assai più del direttore e dei suoi commandos”.
Come fa, Pansa, ad arrivare a tali conclusioni? Semplice. Un test. Analizza con cura le lettere pubblicate dal quotidiano per una decina di giorni di seguito.
Ecco degli esempi, attualissimi, con tanto di nomi e cognomi. Ne cito solo qualcuno. “Tutti i giorni compro tre copie di Repubblica. Stamattina in edicola un signore anziano ne ha comprate quattro. Ci siamo guardati e ci siamo capiti al volo” (Luca Datteri). “Espongo ogni giorno la copia di Repubblica come segno distintivo” (Simonetta Cortolezzis). “Esibisco fieramente Repubblica per far capire da quale parte non sto” (Enrica Salvato).
“Chiarissimo”, direbbe Dietlinde Gruber detta Lilli, compagna di merende dei vari Mauro, Lerner, Augias, Scalfari, de Gregorio e compagnia bella… allievi da dieci e lode del giornalismo stile polpottiano di cui sopra.
Insomma: chi anche in questi ultimi giorni esibisce fieramente Repubblica di certo non sta dalla parte di Carrón, di cui non gliene può fregare di meno; non sta dalla parte di CL, che da sempre ha osteggiato, attaccando il movimento in faccia, dietro le spalle, da vicino e da lontano, con allusioni, prolusioni, processi alle intenzioni… Non sta dalla parte del lettore, certamente. Che – fino a prova contraria – in un giornale vorrebbe (ancora) poter leggere… il resoconto dei fatti, che al commento è in grado di pensarci anche da solo.
A sentire Pansa, che con buona pace di Ezio Mauro, a Repubblica ha lavorato, e per un bel po’, quando come capo-redattore c’era Gianni Rocca tirava un’aria diversa, decisamente più “pulita”. “Lui – scrive Pansa – non cadde mai nella trappola del giornale urlante e schierato. Per una ragione limpida e netta. Gianni sapeva che un quotidiano deve essere il diario giornaliero del mondo. Ma il mondo era un affare complesso, dentro ci vivevano i buoni e i cattivi. Insieme agli esseri umani che sono l’una e l’altra cosa intrecciata. Ecco una realtà che non bisognava dimenticare. Per questo non si doveva mai fare un giornale a favore di qualcuno e contro qualcun altro. Il giornale doveva essere pensato e costruito per tutti”.
A noi che abbiamo visto l’uso, anzi l’abuso, che è stato fatto della lettera di Carrón, piacerebbe fosse ancora così. Ci piacerebbe…