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«Tot capita, tot sententiae»?

Fonte:
CulturaCattolica.it

Il problema non è che «Oggi lo sport nazionale è dare addosso a Celentano». È che non se ne può veramente più che ci si faccia paladini di un vero cristianesimo, quando poi, di ciò che è essenziale, non si vede neppure l’ombra. Se il conduttore-cantante-profeta Celentano ha inanellato – come ha fatto – una serie di sciocchezze, si abbia il coraggio di dirlo.
Chi ha sentito o letto le parole del “molleggiato”, non può non condividere che il cristianesimo è un’altra cosa: non è un discorso di cui si possano citare alcuni aspetti (di solito quelli più politically correct), con l’unico effetto di creare divisione. Oggi il relativismo è il nemico della vita, non solo della fede, e bisogna denunciarlo in ogni modo, creando però, in alternativa, forme di vita autentica, nella verità. La demagogia non combatte il relativismo, anzi, lo favorisce. Non è più tollerabile una mentalità che si bea del proprio integerrimo senso di giustizia perché sa condannare lo Schettino di turno. Lui è stato un irresponsabile e dovrà pagare per le responsabilità che ha, ma non deve essere il capro espiatorio per tutti i mali reali della nostra vita. Il Paradiso quaggiù di cui ha parlato anche Celentano è una esperienza reale di novità, a cui non è estraneo il giudizio. Il male resta male, anche se la misericordia prevale e abbraccia tutti.
Il Paradiso quaggiù incomincia quando ci si prende sul serio con le proprie responsabilità. Il Giuss diceva: «Cominciamo a giudicare, questo è l’inizio della liberazione». E sappiamo che cosa significava giudizio per lui, alieno da quello stucchevole moralismo di cui anche Celentano è protagonista e vittima.
Tra noi di CulturaCattolica.it (e non smetteremo di ripetere il nostro motto «Mille argomenti. Un solo giudizio») l’unico giudizio che conta è quello che nasce dalla fede che, abbiamo imparato, «allarga la ragione», cioè quella coscienza della realtà capace di tenere conto di tutti i fattori.
Non ci soddisfa, in tanti articoli che leggiamo, e nemmeno nel web, il giudizio come «cerchiobottismo», e neppure l’idea di dare voce a ogni posizione, nell’illusione che poi ciascuno sarà capace di «giudicare da sé». Ancora una volta, abbiamo imparato una posizione diversa. La verità nasce da una presenza, non da un confronto/scontro di pareri diversi. Il «secondo me» e il «a mio parere» non fanno parte della tradizione da cui provengo. Perché, come meglio diceva don Giussani ne La coscienza religiosa dell’uomo moderno, «In questo modo la parola di Dio avrebbe come ultimo criterio interpretativo la coscienza personale: drammatica relativizzazione in cui ogni uomo è sorgente di dettato, ultima cattedra e profeta di se stesso, alla mercé della sua sensibilità, del suo risentimento, dell'istante che vive. Tot capita, tot sententiae: tante teste, tanti pareri. Potrebbe essere uno slogan della libertà razionalista».

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