Lorena, morte di un'adolescente
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Lorena Cultraro aveva 14 anni, viveva a Niscemi un paese in provincia di Caltanisetta, giornali e Tv ci hanno fatto diventare familiare il suo volto anche se abitiamo a centinaia di chilometri da Niscemi, guardi quel viso dolce, gli occhi grandi, i capelli scuri e lisci e immagini un’adolescente che sta diventando donna, alle prese con i turbamenti e i batticuori dell’età, i primi amori, le confidenze con le coetanee, le frasi scritte sul diario.
Suo padre la chiama “la bambina”, racconta ai giornalisti che non era mai andata in discoteca, voleva fare la parrucchiera e si era fatta regalare la piastra con cui lisciava i capelli a tutte le amiche, studiava per il patentino, ascoltava Laura Pausini e vedeva in tv O.C, il Grande Fratello e Amici.
Poi un giorno è uscita dicendo che andava dalla nonna e non è più tornata a casa, ma questa non è la favola dove Cappuccetto Rosso sconfigge il lupo malvagio.
L’hanno cercata per 14 giorni prima di trovare il suo corpo in fondo ad un pozzo, legato ad una pietra, barbaramente preso a calci e pugni, bruciato e gettato via, senza pietà.
Colpevoli del delitto tre minorenni, dal loro interrogatorio emerge ancora una volta la banalità del male, un cancro subdolo, che affligge questi figli a noi sconosciuti.
Pare che Lorena avesse detto di essere incinta di uno dei tre ragazzi e il suo fidanzato ha emesso la sentenza di morte inviando agli altri due un sms. I tre minorenni messi alle strette hanno confessato di averla uccisa perché temevano la reazione delle loro fidanzatine, capite? Questi adolescenti di periferia, i pomeriggi passati a scorazzare in motorino, a giocare con la play, a tirar tardi a parlare di calcio e di donne come conoscitori consumati dell’universo femminile, davanti a un problema non esitano a liberarsi di un essere umano, di un’amica, di una persona che avevano detto di amare, con la quale avevano fatto sesso.
Nessuno ha fermato la mano degli altri, il branco si è dimostrato unito e compatto, l’hanno violentata, massacrata di botte, ne hanno occultato il cadavere e sono tornati alla vita di tutti i giorni.
Il giornale di Sicilia racconta che uno dei ragazzi dopo aver confessato il delitto ha detto al giudice: "Signor giudice, le ho confessato tutto. Ora posso andare a casa?" A quel punto, riferisce il quotidiano, il magistrato del tribunale dei minori gli ha gridato: "Ma lo capisci che hai confessato un omicidio? Ma dove vuoi andare?"
Come in una realtà virtuale.
Game over.
La partita è finita, si ricomincia, ho confessato il delitto, ora torno a fare quello che facevo prima.
Capite che non siamo lontani dal vero se tra le vittime, mettiamo anche i carnefici?
Tutti vittime di un vuoto educativo, dove non esiste più il bene perché non esiste più il male.
Dove apparentemente l’unico tabù è quello della fatica del vivere, delle responsabilità da assumersi.
Che Lorena fosse incinta oppure no, l’autopsia non è riuscita a riscontrarlo, ma conta solo ai fini dell’aggravante della pena per i tre minorenni.
Che fosse incinta o no, serve solo ad aggiungere dolore al dolore dei suoi genitori, sta di fatto che quella ragazzina con il viso dolce e gli occhi grandi, somiglia alla figlia della vicina, alle nostre alunne, alle nostre figlie, che crediamo di conoscere, come somigliano ai ragazzi che incontriamo tutti i giorni i tre carnefici, e allora inevitabilmente ci chiediamo se è davvero così, se davvero sappiamo chi sono.
Se davvero conosciamo il loro cuore, se siamo stati capaci di educarli alla vita, all’amore quello vero, quello per cui siamo fatti e a cui tutti aspiriamo.
Quell’amore che ci fa sentire unici, amati, capaci di rendere felice un altro essere umano.
Di certo ai nostri figli non mancano le informazioni, sono continuamente sottoposti a stimoli mediatici che non fanno distinzione tra piccoli e adulti.
Le ragazzine guardano Sex and the City, persino i cartoni animati sembrano telenovelas per adulti, le rubriche di lettere delle riviste per adolescenti ci raccontano un mondo di piccole donne che hanno sentito molto parlare di sesso, che spesso lo praticano in giovane età come si trattasse di un gioco, di un diversivo come tanti altri, un modo per attirare l’attenzione, per sentirsi grandi, piccole donne che non conoscono l’amore e spesso lo temono, ma che fanno del sesso un “metodo di scambio”, ragazzi che confessano alla rubrica delle lettere le paure di sempre, che cercano l'amore romantico ma fanno sesso nei bagni delle discoteche.
Le cronache raccontano di studentesse che vendono il loro corpo per pagarsi l’affitto, di adolescenti che sul Bus che le porta a scuola offrono prestazioni sessuali in cambio di ricariche telefoniche, di assemblee di classe dove quattordicenni fanno sesso orale di fronte ai compagni che riprendono la scena con il telefonino.
E’ chiaro che qui l’amore non ha posto, che il sesso è solo un diversivo come un altro, un modo per esibire la propria esistenza, per dire “io esisto”.
E noi adulti? Spesso si ha l’impressione che il mondo degli adulti sia incapace di agire.
Scandalizzarsi è poco politically correct, si sa, il mondo è cambiato, e allora l’importante è che la figliola non si rovini la vita con una gravidanza precoce, per il resto si confida nel tempo, crescendo, forse capiranno che la vita è fatta anche di rispetto, di responsabilità, forse.
Le scuole da tempo forniscono corsi di educazione sessuale, nella certezza che l’informazione educhi a vivere una vita sessuale consapevole, ma i fatti ci dicono che i risultati non sono quelli sperati.
Perché le lezioni finiscono per fornire una serie di nozioni di tecnicismo e di educazione riproduttiva, per cui si apprendono nozioni sui metodi anticoncezionali, su come abortire senza dirlo ai genitori, si maneggiano falli di plastica e vagine di gomma, con la pretesa di un’educazione asettica e priva di qualsiasi giudizio si finisce per slegare il sesso dall’amore, l’educazione sessuale dall’educazione sentimentale, quella improntata al rispetto dell’altro e di sé.
Ecco perché Lorena e i suoi assassini, sono inevitabilmente ad interrogarci su quale educazione abbiamo dato e stiamo dando a queste generazioni.
Su quali modelli proponiamo, perché se i modelli da seguire sono quelli incarnati da Melissa P. nel suo libro “cento colpi di spazzola” se i genitori sono più impegnati a fingersi complici che giudici di certi atteggiamenti, se la cultura non rispetta le tappe di crescita delle nuove generazioni, ma tratta i bambini come piccoli adulti, come consumatori in erba, capaci di decidere ciò che è buono per loro, allora diventa normalissimo per quatordicenne decidere che “il corpo è mio e faccio ciò che decido io”.
E per i suoi coetanei sbarazzarsi in modo inumano di un problema, anche se ha gli occhi grandi come un cerbiatto, e il viso spaventato di un'amica che non ti riconosce più.