Condividi:

Napoli, aborto o eugenetica?

Fonte:
CulturaCattolica.it
Silvana è una donna di 39 anni, abita alla periferia di Napoli, attende un figlio malato e si sottopone ad un intervento di interruzione di gravidanza alla ventunesima settimana.

La sua storia finisce sui giornali, a causa, più che di ciò che ha fatto, della voglia di certo giornalismo di creare un caso politicamente “sfruttabile”, si vuole far credere che viviamo in un periodo di intimidazione nei confronti delle donne che ricorrono all’aborto.

In realtà, indagando meglio, si scopre che la donna a cui è stato indotto il parto si è sentita male ed ha iniziato il parto in bagno e qualcuno, presumibilmente un infermiere, temendo si trattasse di infanticidio ha avvisato la polizia, che ha fatto il suo lavoro, ha controllato quanto denunciato.
La donna è stata intervistata da una poliziotta in borghese mentre era nella sua stanza e non come pareva in un primo momento mentre era ancora sotto anestesia.

Ma si è scatenata la corsa a denunciare il clima di violazione della privacy della donna e di intimidazione dei medici.

I giornalisti le avranno chiesto il permesso di sbattere la sua storia sui giornali?
Si saranno preoccupati della sua salute psichica, per aver dovuto affrontare la popolarità a causa di un fatto così doloroso?

Nel leggere un’intervista rilasciata da Silvana a Repubblica, appare chiaro e tragico come nella sua semplicità i fatti che racconta, siano comuni a tante donne che abortiscono oltre il terzo mese di gravidanza, abortiscono un figlio che rischia di venire al mondo non perfetto e sono lasciate sole nella decisione, in nome di una asettica, quanto inumana, libertà della donna.

Racconta Silvana che quel figlio lo voleva, anche se avrebbe dovuto crescerlo da sola, senza l’aiuto del padre, poi gli esami e quello che lei definisce - il terribile verdetto-.

“Sul foglio c’era scritto Sindrome di Klinfelter, poi mi hanno tradotto il significato una cosa terribile”.
Una brutta malattia? Chiede il giornalista.
“Sì, un difetto dei cromosomi che poteva comportare ritardo mentale, problemi al cuore, diabete e l’assenza di alcuni ormoni”. “Non c’era altra scelta. Appena mi hanno comunicato che mio figlio sarebbe stato un malato per tutta la sua vita, non ho avuto dubbi. Ho deciso al momento, d’istinto: abortisco. Anche se sapevo che per me rappresentava una scelta particolarmente dolorosa”.

D’istinto dice Silvana, certo, d’istinto e nella solitudine è umano cercare di sottrarsi a una fatica, fosse anche un figlio.

Mi Chiedo dov’erano i consultori previsti dalla Legge 194/78 - art.2 - lettera d – che dovrebbero affiancare la donna “contribuendo a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza. I consultori sulla base di appositi regolamenti o convenzioni possono avvalersi, per i fini previsti dalla legge, della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato”

Dove erano quelli che dovrebbero garantire che la Legge sia applicata, in tutte le sue parti?

Perché una donna sola e spaventata non ha via di scampo, non è libera di scegliere se non ha alternative tra le quali scegliere.
Silvana racconta che le hanno detto che quel bambino imperfetto era una minaccia per la sua salute psicofisica, ma le hanno detto che anche l’aborto è una terribile minaccia psicologica, che ci sono donne che non si sono riprese da questo gesto?

Non nascondiamoci dietro al solito dito, sappiamo benissimo che per tutte le gravidanze dove vi è anche solo il rischio, che il figlio non sia sano, il medico certifica che il proseguimento della gravidanza rappresenta una minaccia per la salute psicofisica della donna.
Non possiamo far finta di nulla e trincerarsi dietro alla pietà per quei poveri bambini sofferenti, chiamali pure “feto”, la sostanza non cambia e la loro eliminazione non ha nulla del gesto di pietà, sono creature di quattro/cinquecento grammi vengono eliminati perché imperfetti, la pratica si chiama eugenetica e non aborto terapeutico, perché di terapeutico non c’è nulla per il bambino che viene eliminato, né per la madre che ricorderà per sempre quel figlio non nato, né per la società.

La società, si, la società, perché quale società abbiamo costruito, se chiamiamo libertà, il libero arbitrio delle donne sulla vita dei loro figli.
Quale società stiamo costruendo se chi non è perfetto o si sospetta non lo sia, non ritenuto degno di essere messo al mondo?
Quale società stiamo costruendo se lasciamo le donne sole e senza alternative di fronte alla scelta di eliminare o di accettare un figlio?

Non può non pesarci sulle spalle quel numero impressionante di uomini e donne a cui è stato negato il diritto di vivere perché la loro non sarebbe stata una vita sana, dove sta scritto che la vita è dignitosa solo se sana?

Vai a "Ultime news"