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La preghiera per gli ebrei

Autore:
Guastalla, Guido
Riceviamo dal nostro amico Guido Guastalla questo contributo alla riflessione sul tema della preghiera per gli Ebrei, che ha suscitato tante polemiche e incomprensioni. Rimandiamo all'articolo in calce di Don Gino Oliosi

Diceva un vecchio proverbio che la fretta è cattiva consigliera. E’ quanto è accaduto con la pubblicazione del nuovo testo in latino, della preghiera del Venerdì santo. Nel messale in latino - pur emendato dai termini come “perfidia giudaica” e “perfidi giudei”, che stanno poi a indicare il loro accecamento e il permanere nelle tenebre) - del 1992, si proponeva ancora una preghiera “per la conversione degli ebrei”.
Il nuovo testo in originale recita: “Oremus et pro Iudaeis: ut Deus et Dominus noster illuminet corda eorum, ut agnoscant Iesum Christum salvatorem omnium hominum. Omnipotens sempiterne Deus, qui vis ut omnes homines salvi fiant et ad agnitionem veritatis veniant, concede propitius, ut plenitudine gentium in Ecclesiam Tuam intrante omnis Israel salvus fiat…” Si potrebbe tradurre: “ preghiamo per gli Ebrei: affinché Dio, Nostro Signore, illumini i loro cuori perché riconoscano (corsivo ndr) Gesù Cristo salvatore di tutti gli uomini. Dio Onnipotente ed Eterno che vuoi che tutti gli uomini si salvino e giungano alla conoscenza della verità, concedi propizio che, entrando la pienezza delle genti nella tua Chiesa, tutto Israele sia salvo”
La reazione dei rabbini è stata immediata. Rav Di Segni di Roma ha parlato di “una grave regressione che pone un ostacolo fondamentale alla prosecuzione del rapporto fra ebrei e cristiani”; Rav Laras, presidente dell’Assembla rabbinica italiana più pragmaticamente ha in un primo momento parlato del fatto che questo testo “finisce col rafforzare la componente ebraica avversa al dialogo con la Chiesa cattolica”; successivamente, riferendosi ad una intervista del cardinale Kasper, conclude che la sua affermazione, secondo cui si devono poter usare le formule liturgiche che più aggradano, cozza con il dialogo ebraico-cristiano, come sfondo di ogni possibile considerazione.
Nella stessa intervista il cardinale Kasper, rispondendo al turbamento ebraico per l’invito alla conversione, indica con precisione nell’invocazione della preghiera “la speranza escatologica - cioè riferita agli ultimi tempi della storia - che anche il popolo di Israele entri nella Chiesa quando vi entreranno tutti gli altri popoli. Voglio dire che esprime una speranza finale e non un proposito di fare missione fra loro”.
Capisco che, nonostante questa spiegazione, per’altro assai chiara, possa permanere in noi ebrei il turbamento per le persecuzioni, per le “conversioni forzate” e per le tragedie del passato. Credo però che il contesto del mondo in cui viviamo, almeno in Occidente, e il cammino percorso dal dialogo, ci dovrebbero permettere di affrontare la discussione con grande pacatezza, sul piano alto, teologico-filosofico, prima di darla in pasto ai media, alle loro semplificazioni e quindi a possibili, dannosi fraintendimenti. Vorrei ricordare la notizia, ben più grave, di oggi, apparsa su un blog anonimo circa una presunta lobby ebraica nell’Università la Sapienza, con accenti goebbelsiani, fine anni trenta.
Che tra Roma e Gerusalemme corra una particolare tensione messianica lo dimostrano le dispute medioevali (almeno fino a che furono possibili senza persecuzioni). Pensiamo a quella del Nachmanide a Barcellona del 1263, alla visione che nel 1270, nella stessa città ebbe Avraham Abulafia nella quale gli viene chiesto di recarsi a Roma a chiedere udienza al Papa. Dopo altri tentativi rinascimentali dovremo attendere il XX secolo perché i grandi papi come Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II, inizino ad ascoltare gli ebrei e a parlare con loro.
Il grande anticipatore, di parte ebraica nella ripresa del dialogo è il rabbino livornese Elia Benamozegh (1823-1900) che pur nella consapevolezza del pericolo mortale che la Cristianità ha costituito per il mondo ebraico (insegnamento del disprezzo e teologia della sostituzione della nuova alleanza alla precedente) non disconosce la grandezza del cristianesimo e della sua morale. In un celebre passo del suo Morale ebraica e morale cristiana del 1863 dice: “…inchiniamoci anche noi davanti a questo capolavoro di un pugno di ebrei, davanti a questo ramo del grande albero di Israele innestato sul tronco dei gentili. Vi riconosciamo l’impronta dell’ebraismo, lo spirito dei patriarchi, dei profeti, dei rabbini”.
Ci poniamo ora una domanda: è legittimo e giusto far coincidere i termini conversione e riconoscimento? Rav Di Segni (così come a suo tempo papa PioV) ritiene di sì.
In un piccolo, prezioso libro Marco Morselli (I passi del Messia, per una teologia ebraica del Cristianesimo) si pone in una posizione più problematica. Non bisogna domandarsi se il Cristo sia il Messia, perché la domanda è tautologica, ma se Rabbi Yeshua ben Joseph sia il Messia oppure no. Evidentemente ebrei e cristiani danno risposte diverse ed opposte. Riprendendo una frase di Franz Rosenzweig secondo cui “Gesù appartiene al Regno intermedio; se sia stato il Messia sarà dimostrato quando… il Messia verrà”, commenta Morselli: “il non ancora unisce, senza identificarli, ebrei e cristiani”. La speranza finale di cui parla il cardinale Kasper sembra proporre questa attesa fra il Messia che deve venire per gli ebrei, e il Messia che deve ritornare (la Parusia) per i cristiani; è in questo regno intermedio che si gioca l’intera partita. Ma quasi centocinquantanni fa Elia Benamozegh ci propone una soluzione suggestiva: “Allora, la conciliazione sognata dai primi cristiani come una condizione della Parusia o avvento finale di Gesù, il ritorno degli ebrei nel grembo della Chiesa… si effettuerà in verità non nel modo in cui si è voluto attenderla, ma nel solo modo serio, logico e durevole, soprattutto nella sola maniera vantaggiosa per la nostra specie (l’umanità). Sarà come lo dipinge l’ultimo dei profeti, il sigillo dei veggenti, come i dottori chiamano Malachia, un ritorno del cuore dei figli ai lori padri e di quello dei padri ai loro figli (Ml 3,24), vale a dire dell’ebraismo e delle religioni che ne sono derivate”.
Forse la saggezza di Rav Benamozegh, con l’aiuto del Santo Benedetto, ci può venire in soccorso ancora oggi per spengere i pericoli di incendio.

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