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Dobbiamo vigilare

Fonte:
CulturaCattolica.it

Il 12 settembre 2006 all’Università di Ratisbona, Benedetto XVI iniziando il suo discorso ricordò i primi passi della sua attività di insegnante accademico all’università di Bonn. Era l’anno 1959. “Per le singole cattedre non esistevano né assistenti né dattilografi, ma in compenso c'era un contatto molto diretto con gli studenti e soprattutto anche tra i professori. Ci si incontrava prima e dopo la lezione nelle stanze dei docenti. I contatti con gli storici, i filosofi, i filologi e naturalmente anche tra le due facoltà teologiche erano molto stretti. Una volta in ogni semestre c'era un cosiddetto dies academicus, in cui professori di tutte le facoltà si presentavano davanti agli studenti dell'intera università, rendendo così possibile una vera esperienza di universitas: il fatto che noi, nonostante tutte le specializzazioni, che a volte ci rendono incapaci di comunicare tra di noi, formiamo un tutto e lavoriamo nel tutto dell'unica ragione con le sue varie dimensioni, stando così insieme anche nella comune responsabilità per il retto uso della ragione – questo fatto diventava esperienza viva”. Incontro, dialogo, scambio dialettico e confronto, sono elementi indispensabili per crescere intellettualmente. Un uomo si forma attraverso la capacità di ascoltare, di discutere con l’altro, di confrontare la propria impostazione concettuale con quella di chi non la pensa come lui. La critica necessita di queste caratteristiche, altrimenti è altra cosa. Dal greco Kritike, l’arte o la scienza di giudicare secondo i principi del vero, del buono e del bello. L’esperienza di universitas, dovrebbe, più di ogni altra, favorire questa prassi, alimentarne la pratica, aiutare i più giovani a scoprirla come valore indispensabile. Agli studenti de La Sapienza si offriva questa possibilità, ai docenti il pregio di riscoprire l’arte maieutica, metodo con cui Socrate aiutava il proprio interlocutore a ritrovare in sé la verità e ad esprimerla chiaramente. A Benedetto XVI invece è stata riservata la più triste delle censure. Sessantasette docenti e qualche collettivo studentesco hanno deciso che sarebbe stata offensiva la presenza del Santo Padre. Hanno deciso che la loro cultura, il loro intelletto, non necessitavano di alcun surplus di riflessione. Arroganza, stupidità, insipienza hanno avuto la meglio sulla Ragione. La rinuncia di Ratzinger a presenziare alla cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico, è una sconfitta per il mondo laico, per la democrazia, per quegli studenti stessi che lo hanno contestato. Le motivazioni legate al processo di Galileo centrano davvero poco. Quello messo in atto è stato un pretestuoso atto di violenza perpetrato da un’esigua minoranza contro la cultura, l’intelligenza, la nostra stessa tradizione. Questi sono i risultati, di una società che sta abbandonando la propria identità, la propria storia. Nichilismo e violenza, relativismo e sopraffazione ne sono il prodotto. E’ necessario da parte di tutti noi uno sforzo ulteriore per non cadere nel tunnel della rassegnazione. La battaglia culturale ed ideale che dobbiamo affrontare si carica oggi di significati ancor più stringenti ed immediati. Spetta a noi, credenti e non credenti, religiosi e laici, non abbandonare il campo. Rifiutare la violenza come metodo per la lotta politica e civile, rigettare l’aggressione quale viatico per raggiungere uno scopo. Il nostro paese, sulla carta ha, da anni, recepito questi principi. Il grave fatto accaduto a Roma, lancia ombre preoccupanti sulla stato di salute della nostra democrazia. Dobbiamo vigilare, farci protagonisti attivi, supportare la Ragione quale strumento di lotta.

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