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«Vultum Dei Quaerere» una parola chiara

Fonte:
CulturaCattolica.it
È da poco uscito il documento «Vultum Dei quaerere» sulla vita religiosa. Abbiamo chiesto a suor Maria Gloria Riva le sue riflessioni, certi che un documento della Chiesa aiuta a leggere l'esperienza della fede, ma che pure l'esperienza della fede aiuta a comprendere nel modo più adeguato la proposta del Magistero. Certamente più che le illazioni giornalistiche

Cercare il volto di Dio: la prospettiva affascinante della vita contemplativa. Nella tua esperienza, quali sono i fattori fondamentali di questa ricerca? È possibile dire che questo «quaerere» è risposta gioiosa all’essere cercata?

In merito al quaerere Deum, Sant’Agostino docet: lo cerchiamo, spesso fuori di noi, ci gettiamo sulle sue creature, quasi potessero saziare il nostro desiderio e poi scopriamo che Egli è dentro, nel profondo del cuore e nell’interiorizzazione della realtà e delle esperienze.
Quando si incomincia a intuire questo, è cioè che Dio è dentro di noi e che ciò che incontriamo fuori (esperienze e volti), semplicemente illuminano un dato che è già presente in noi e quindi ci corrisponde, allora inizia la vera ricerca.
Solo in questa luce possiamo comprendere che troviamo perché siamo stati trovati e cerchiamo perché qualcuno, prima, ha cercato il nostro cuore. Il nuovo documento sulla Clausura è, per quanto mi riguarda, bellissimo e corrisponde in pieno a questa prospettiva affascinante della vita contemplativa: una instancabile ricerca. Noi siamo in Monastero, chiuse poco o tanto a partire dalle diverse clausure presenti nel mondo, perché siamo arrivate. Ma arriviamo al Monastero perché siamo spinte da una ricerca che non termina mai e che si fa eco del desiderio di infinito che alberga nel cuore di ogni uomo, anche quello apparentemente più lontano dalla fede.
Io personalmente non posso fare a meno di accostare questa immagine a tanti commenti che io stessa faccio di opere di artisti lontani dalla fede, come l’Urlo di Munch, come Golconde di Magritte e altri ancora. La Costituzione Apostolica riserva una grande attenzione a questa dimensione profetica della vita contemplativa.

Come sempre la stampa cerca ciò che è sensazionale, senza aiutare a capire ciò che è essenziale. Di che si tratta? Sono più rilevanti i richiami all’uso discreto dei social (i titoli hanno indicato la quasi proibizione di usare Facebook) o l’invito a evitare «campagne acquisti» di vocazioni straniere per sopperire al calo di vocazioni, piuttosto che la centratura sul compito affascinante della preghiera e della vocazione contemplativa?

Sono rimasta amareggiata dai commenti insulsi rimbalzati sui mass media e su internet soprattutto rispetto alle poche battute del Papa. Dovremmo ormai conoscere l’indole e lo spirito di Papa Francesco. Il fatto che faccia battute talora scherzose non azzera il contenuto profondo del documento che ha da poco firmato. La Costituzione non parla mai di Facebook e, in ogni caso, riserva invece, anzi una equilibrata apertura ai mezzi digitali, quella che è giusto conferire loro. La stessa che, ad esempio noi, in comunità, riserviamo loro. Sono mezzi e devono essere utilizzati rimanendo fedeli a ciò che abbiamo scelto. Dobbiamo essere educate che anche dallo sguardo passano sollecitazioni e che quello che guardiamo ci può informare o deformare. Detto questo resta, anche nel documento, l’utilità indiscutibile del mezzo che talora ti consente anzi di rispettare maggiormente la clausura (e penso alle biblioteche consultabili on line, agli acquisti e anche ai consigli per sistemare il PC o il Mac senza necessariamente ricorrere al tecnico e mille altre cose qui non elencabili). Non conosco quale uso facciano di facebook tutti i monasteri o le monache di questo mondo ma, pur non avendo un profilo in facebook, in talune occasioni entrando attraverso il canale di un'altra sorella mi è stato molto utile per contattare o verificare l’indirizzo di determinati monasteri con i quali sono in contatto. Anche qui non è il mezzo in sé ad essere improprio, ma l’uso che se ne fa, esattamente come insegna la Vultum Dei quaerere.
Decisamente più importante invece è la questione legata alle importazioni di postulanti o novizie (o anche monache già formate) dall’estero. L’argomento è delicato e nemmeno lo si può raccogliere sotto un unico titolo tant’è che il documento si esprime in questi termini: Nonostante la costituzione di comunità internazionali e multiculturali manifesti l’universalità del carisma, si deve assolutamente evitare il reclutamento di candidate da altri Paesi con l’unico fine di salvaguardare la sopravvivenza del monastero. Siano elaborati dei criteri per assicurare il compimento di ciò (art 3 §6). Il divieto, dunque, riguarda il fine e non il fatto che possano esserci candidate straniere all’interno di un Monastero. Ciò non di meno è pur vero che alcuni Istituti fanno esattamente questo e considerano alcuni loro Monasteri esteri come un bacino vocazionale per rimpolpare le comunità esistenti in Italia o in Europa. Questo tipo di risoluzione è presa sovente laddove non si vuole affrontare il vero problema della mancanza di vocazioni e cioè la incapacità di vivere il carisma in modo adeguato alle proprie origini storiche e, a partire da queste, a una rilettura delle sfide attuali.
Il compito affascinante della vita contemplativa è quello di essere un luogo educativo, educativo di preghiera, ma anche educativo per una rilettura autenticamente cristiana dell’attualità. Un passo quasi mai citato dell’ultima enciclica di Giovanni Paolo II (Ecclesia de Eucharistia) recita così:
L'Eucaristia è davvero uno squarcio di cielo che si apre sulla terra. È un raggio di gloria della Gerusalemme celeste, che penetra le nubi della nostra storia e getta luce sul nostro cammino. Alla luce dell’invito alla preghiera prolungata davanti al Santissimo Sacramento della Vultum Dei quaerere, il sopra citato passo esprime l’immagine potente di una preghiera adorante e contemplativa che matura un giudizio critico ed edificante sulla storia.

Che significa nella tua esperienza la clausura? Quale il valore del silenzio? Come il carisma che ti ha affascinato contribuisce all’edificazione della Chiesa?

La clausura per me è abbracciare l’autolimitazione che ha vissuto il Verbo di Dio facendosi carne. Questo è il centro. Cristo era nelle cose del Padre a dodici anni, nei trent’anni vissuti a Nazareth, come nei tre anni e mezzo della sua vita pubblica. Certo, la vita contemplativa abbraccia più decisamente i misteriosi trent’anni di silenzio del Messia, i quali sono comprensibili solo alla luce di una intensa preparazione alla missione attraverso il colloquio costante con il Padre e la paziente attesa dell’ora. Noi con la nostra vita prepariamo la Chiesa alla Missione, siamo in qualche modo il cuore pulsante della realtà, la coscienza critica. Quindi vita claustrale non significa quietismo o segregazione fine a se stessa, ma annuncio radicale a partire appunto dal silenzio o da parole che sgorgano tuttavia da un silenzio profondo e da uno sguardo purificato.
Noi, che abbiamo abbracciato una clausura costituzionale, la quale ci permette anche alcuni momenti di incontro con i fedeli e/o di uscite, abbiamo chiaro che senza il limite imposto dalla clausura la nostra vita si snaturerebbe. Quindi ci occorre una maggiore serietà e un maggior autocontrollo. Tuttavia il modello che abbiamo davanti agli occhi è quello della Madre di Dio la quale, se da un lato rappresenta il riserbo e l’umiltà, la contemplazione e il silenzio, dall’altro è apparsa sulla scena ogni qualvolta fosse necessario al popolo di Dio e al Figlio suo. Penso alle nozze di Cana, ma anche al Calvario; alla vita pubblica, quando tutti accusavano Cristo di essere pazzo (ella non ha disdegnato di presentarsi come la Madre), ma anche nel Cenacolo con i discepoli nel giorno di Pentecoste. Una presenza orante, attiva, discreta e, a mio avviso, ardita.
Il silenzio è indispensabile alla preghiera e alla vita contemplativa. Nel mio curriculum (ho fatto 8 anni la Maestra delle novizie e sono da 10 anni Superiora di un Monastero) ho incontrato persone piuttosto ciarliere ed estroverse, capaci di grande silenzio interiore e di intuizioni forti nella preghiera e nella contemplazione, mentre ho conosciuto persone di natura silenziosa, ma lamentose e portate alla critica e al giudizio severo sugli altri. Insomma l’abito non fa il monaco. È pur vero, però, che esistono anche modelli contrari, e cioè persone discrete di nome e di fatto capaci di un silenzio profondo e autentico. Ho fatto il primo esempio non certo per squalificare le persone naturalmente silenziose, ma per affermare la verità del silenzio abbracciato in Monastero. Un silenzio colmo di una presenza aperto alla grazia, capace di lasciarsi muovere dalle situazioni, pronto a mettere da parte il proprio giudizio, sottomesso alle vie estrose di Dio che si manifestano spesso nell’imprevisto e nella circostanza avversa. Questo per me è il silenzio di qualità che forma la contemplativa.
Io sono stata affascinata da questo silenzio fin dagli inizi della mia vocazione e ho capito che doveva essere soprattutto interiore. Gli spazi di silenzio effettivo esteriori sono necessarissimi a tutelare e accompagnare questo cammino di discesa dentro se stessi e di ascolto del Signore che parla in noi. Poi è chiaro che in questo ascolto resta altrettanto necessario il confronto con l’autorità e con la comunità, onde evitare di entrare in un pericoloso gioco di spiritualismi che tende a far maturare nell’anima un giudizio autonomi ed arbitrario (soprattutto nei confronti delle consorelle).
L’altro fascino suscitato in me dalla vocazione di adoratrice è stato il fascino del guardare. La preghiera dentro uno sguardo prolungato a Cristo presente nel Sacramento. Una luce e una presenza insostituibile nella mia vita. Una preghiera che non ti permette, spesso, di avere soddisfazioni sensibili, ma che ti plasma silenziosamente il cuore rendendolo più attento alle vie di Dio. A proposito delle battute espresse da Papa Francesco sull’uso del mezzo digitale resta vero che oggi, la tentazione entra più direttamente dagli occhi, dalle cose viste (oltre che naturalmente da quelle udite) e, la Bibbia insegna, il rimedio passa nello stesso luogo dove è passato il peccato.
Come Mosè innalzò un serpente di rame perché il popolo fosse guarito dal morso dei serpenti, così lo sguardo prolungato al santissimo sacramento ci salverà da tutti quei messaggi subliminali che non riusciamo a controllare e che giungono al cuore attraverso una semplice immagine. Tutto ciò evidentemente non riguarda solo internet, ma ogni tipo di immagine e penso ad esempio agli apparentemente innocui cartelloni pubblicitari.

Federazioni o autoreferenzialità? La prospettiva ecclesiale e comunitaria può allargare l’esperienza dei singoli monasteri?

Diverse Diocesi e Federazioni, diversi singoli Monasteri hanno avviato esperienze di scambio e condivisione fra le religiose dello stesso Istituto e, non di rado anche di Istituti differenti, e questo soprattutto per facilitare la formazione dei rispettivi membri. Per quanto ho potuto sperimentare in prima persona si tratta di esperienze arricchenti, che aprono a una dimensione ecclesiale più ampia e più consapevole anche del proprio carisma. Il timore di cadere in rivalità e concorrenza si scioglie nel momento dell’incontro reale, perché diventa evidente la differenza del carisma e l’unicità di ciascuna forma. Si ha piuttosto da imparare. Permangono purtroppo alcune rigidità e chiusure sterili che s’insidiano talvolta (paradossalmente, ma anche evidentemente) nei Monasteri o nelle Federazioni che soffrono carenza di membri. Resta fermo però il fatto che, compito delle federazioni, è quello di promuovere i Monasteri senza ingerirsi arbitrariamente nelle loro iniziative. Pertanto una certa autonomia permane, anche all’interno dei Monasteri che si legano in federazioni: L’autonomia favorisce la stabilità di vita e l’unità interna di ogni comunità, garantendo le condizioni migliori per la contemplazione. Tale autonomia non deve significare tuttavia indipendenza o isolamento, particolarmente dagli altri monasteri dello stesso Ordine o dalla propria famiglia carismatica (n° 28).

D’altra parte, e lo ribadisce il Documento Vultum Dei quaerere, i Monasteri autonomi devono rimanere aperti alla collaborazione e non trincerarsi in sterili chiusure: Coscienti che «nessuno costruisce il futuro isolandosi, né soltanto con le proprie forze, ma riconoscendosi nella verità di una comunione che sempre si apre all’incontro, al dialogo, all’ascolto, all’aiuto reciproco», abbiate cura di preservarvi «dalla malattia dell’autoreferenzialità» e custodite il valore della comunione tra i diversi monasteri come cammino che apre al futuro, aggiornando e attualizzando in questo modo i valori permanenti e codificati della vostra autonomia (n°29).

Particolarmente interessante è poi il consiglio ad avvalersi anche di contatti con sorelle di altri Istituti contemplativi, sia pure con una clausura diversa dalla propria. Questo punto della Costituzione Apostolica è sicuramente innovativo e apre a contatti e interazioni fino ad ora non dichiaratamente permessi: La pluralità di modi di osservare la clausura all’interno di uno stesso Ordine deve essere considerata una ricchezza e non un impedimento alla comunione, armonizzando sensibilità diverse in una unità superiore. Tale comunione potrà concretizzarsi in diverse forme di incontro e di collaborazione, soprattutto nella formazione permanente e iniziale.
Un altro interessante punto in questo senso riguarda la capacità di irraggiamento della vita contemplativa anche ad extra ribadita dall’art 5 al §2 della Costituzione: Considerando che la condivisione dell’esperienza trasformante della Parola con i sacerdoti, i diaconi, gli altri consacrati e i laici è espressione di vera comunione ecclesiale, ogni monastero individuerà le modalità di questa irradiazione spirituale ad extra.

Alla luce di questi passi che, per correttezza, ho preferito citare per esteso, è evidente che una ben intesa prospettiva ecclesiale e comunitaria possa dilatare l’esperienza del singolo Monastero aiutandolo non poco nel proprio sviluppo e nella coscienza del proprio ruolo all’interno della Chiesa.

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