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La Sharia laica di Flores D’Arcais

Autore:
Mondinelli, Andrea
Fonte:
CulturaCattolica.it

Lunedì 9 marzo è un data storica per la democrazia: Paolo Flores D’Arcais, in una lectio magistralis pubblicata da Repubblica (qui), ci erudisce sul profondo significato laicistico di democrazia. Addirittura ci fornisce il primo comandamento di questa nuova religione laicista: non pronunciare il nome di Dio in luogo pubblico.
Il D’Arcais parte dal presupposto che l’opzione Dio sia una fra le tante e che, se scelta, non possa che interferire con il sovrano potere dell’uomo:
• “O l’esilio di Dio dall’intera sfera pubblica, o l’irruzione del Suo volere sovrano — dettato come sharia o altrimenti decifrato — in ogni fibra della vita associata. Aut aut. Ecco perché è inerente alla democrazia l’ostracismo di Dio, della sua parola e dei suoi simboli, da ogni luogo dove protagonista sia il cittadino: scuola compresa, e anzi scuola innanzitutto, poiché ambito della sua formazione. Al fedele restano chiese, moschee, sinagoghe, e la sfera privata “in interiore homine””.
Questo punto di vista è fallace sia per quanto riguarda il concetto di Dio, sia per quello di democrazia. Ipotizziamo di espellere Dio dalla cosa pubblica, allora che ci dice cosa è bene e cosa è male? Ci sono solo due possibilità: la legge naturale scritta nel cuore dell’uomo, oppure l’uomo stesso in base al suo insindacabile giudizio. Nel primo caso rientra ancora Dio, poiché la legge morale naturale scritta nel cuore dell’uomo è la partecipazione alla legge eterna (Dio) della creatura razionale (uomo), ergo è da scartare. Nel secondo caso, l’uomo decide da se stesso ponendosi al posto di Dio, la scelta è basata sulla superbia, che, secondo San Gregorio, si manifesta quando si crede che il bene posseduto derivi da se stessi...
Vediamo cosa comporta quest’ultima opzione. Detto brutalmente, chi decide chi vive e chi muore? L’uomo, naturalmente, e per scelta democratica, cosicché la forma è apparentemente salva. In realtà, la democrazia è un parola vuota il cui vero significato è tirannia. Il valore della democrazia, invece, è il seguente: è il sistema di governo che meglio corrisponde allo stato di diritto, che è l’istituzione atta a proteggere i cittadini che compongono la società ed in primis, ovviamente, i più deboli ed innocenti. Il diritto alla vita di ogni essere umano, per esempio, appartiene alla natura stessa dell’uomo ed ogni altro diritto discende da questo. Nessun potere, anche fosse a maggioranza democratica, può cambiare la realtà dei fatti. Anzi, la funzione della democrazia è proprio la difesa dei principi non negoziabili. Se la democrazia deroga da questo compito, perde significato e diventa esercizio di potere, dittatura della maggioranza. Infatti, anche per laici non credenti come Popper, la democrazia non può essere caratterizzata solo come “governo della maggioranza”, perché anche la maggioranza può essere tirannica: “La maggioranza di coloro che hanno una statura inferiore a 6 piedi può decidere che sia la minoranza di coloro che hanno statura superiore a 6 piedi a pagare tutte le tasse”, è un colorito esempio proposto da Popper. La democrazia ha l’obbligo di difendere la persona da inique imposizioni dello Stato o di gruppi di pressione presenti nella società.
Se “il relativismo regna incontrastato, il «diritto» cessa di essere tale, perché non è più solidamente fondato sull'inviolabile dignità della persona, ma viene assoggettato alla volontà del più forte. […] In una tale situazione, la democrazia diventa facilmente una parola vuota” (Evangelium vitae n. 20 e 70). Nella nostra Costituzione, all’art. 1, è scritto che “la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. La sovranità del popolo deve rispettare i limiti della Costituzione, se ne deduce che la democrazia non è un bene assoluto. L’art.2, che è la gemma preziosa della nostra Carta, recita: “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo”. Ciò significa che i diritti dell’uomo precedono la Repubblica e che il fine della democrazia è la difesa di tali diritti inviolabili. Se, invece, il consenso democratico pretende di togliere, o creare, i diritti ad alcune categorie di uomini, con la scusa del bene o dell’utile per la maggioranza, allora la Costituzione è tradita e la democrazia diventa totalitaria. Ecco, al riguardo, l’illuminante e attualissimo pensiero di Hanna Arendt, filosofa esule ebrea autrice del saggio “Le origini del totalitarismo” (1951) in cui spiega i motivi dell’ascesa totalitaria di Hitler: “L'identificazione del diritto con l'utile diventa inevitabile una volta svanita l'autorità dei criteri assoluti e trascendenti della religione o del diritto naturale. […] È perfettamente concepibile, e in pratica politicamente possibile, che un bel giorno un'umanità altamente organizzata e meccanizzata decida in modo democratico, cioè per maggioranza, che per il tutto è meglio liquidare certe sue parti. Qui, a contatto col reale, ci troviamo di fronte a uno dei più antichi dubbi della filosofia politica, che è potuto rimanere nascosto finché una solida teologia cristiana ha fornito la cornice per tutti i problemi politici e filosofici, ma che già a Platone aveva fatto dire: «Non l'uomo, ma un dio deve essere la misura di tutte le cose »”. Il Dio, misura di tutte le cose, non è uno qualunque, ma il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, che ci ha creati tutti a sua immagine e somiglianza e che in Gesù Cristo ci ha resi figli adottivi del Padre: la dignità e l’uguaglianza dell’uomo hanno qui le loro basi.
Nella visione relativista, però, il diritto non è più teso alla ricerca del bene, perché definire migliore una posizione piuttosto che un’altra significherebbe assumere un giudizio di valore che lo Stato laicisticamente neutro non può permettersi. Pertanto, il diritto non si fonda più sulla legge naturale, ma sul consenso della maggioranza nel rispetto formale delle regole. Nella visione relativista, quindi, “i diritti umani non precedono più la decisione dell’uomo, la decisione della maggioranza, la decisione del potere, ma ne sono emanati… cosicché i diritti umani non esistono” [Canizares Llovera, primate di Spagna]; e se i diritti umani non esistono la storia insegna che ‘democrazia’ è solamente una parola vuota e che la civiltà dischiude le porte alla barbarie.

Abbiamo visto come l’istituzione democratica, secondo la visione relativista, sia fine a se stessa, ossia non affondi più le sue radici sui diritti umani derivanti dalla legge naturale. Di conseguenza i diritti non sono più universali, ma relativi a…; tuttavia, tale sistema si basa su un riferimento circolare che sfocia nel totalitarismo: Tocqueville parlava, in proposito, di “tirannia della maggioranza”. Da qui il paradosso: la democrazia si basa sull'uguaglianza di tutti, ma la regola della maggioranza, quando è dogmatizzata, fa sì che i ‘valori’ della democrazia dipendano dalla preponderanza dei voti. Un esempio lo fornisce E. Boncinelli, professore di Biologia e Genetica, in uno scritto del Corriere (26/01/2005): “Quando è che un embrione diventa persona e come tale gode dei diritti scritti e non scritti spettanti ad una persona? […] Non c'è dubbio che la vita di un organismo specifico - ranocchio, gatto o uomo - inizia con la fecondazione. Dal punto di vista biologico non c’è in sostanza nessuna discontinuità dal concepimento alla nascita e oltre. Questo non significa che non si possano porre degli spartiacque, come quando si è deciso che a 18 anni una persona è maggiorenne. Non succede niente di particolare a 18 anni, ma la convenzione umana ha fissato questo limite e a volte lo ha anche cambiato. Una convenzione, appunto”. Traduzione: l’embrione è un uomo, l’uomo in quanto tale non gode di diritti spettanti ad una persona, la definizione di persona (ossia di uomini a cui competono diritti) dipende per convenzione dalla decisione della maggioranza, tale convenzione può essere cangiante con i tempi ed i gusti. Questa è, chiaramente, “tirannia della maggioranza”, dell’umanità che decide senza Dio.
Nel 2004 il Card. Ratzinger scriveva: “Negli ultimi tempi mi capita di notare sempre di più che il relativismo - quanto più diventa la forma di pensiero generalmente accettata – tende all'intolleranza, trasformandosi in un nuovo dogmatismo. Il politicamente corretto vorrebbe erigere il regno di un solo modo di pensare e parlare. […] La fedeltà ai valori tradizionali e alle conoscenze che li sostengono viene bollata come intolleranza e lo standard relativistico viene elevato a obbligo. Mi sembra molto importante contrapporsi a questa costrizione di un nuovo pseudo illuminismo che minaccia la libertà di pensiero e anche la libertà di religione. […] Il relativismo comincia a prendere piede come una sorta di nuova «confessione», che pone limiti alle convinzioni religiose e cerca di sottoporle tutte al super-dogma del relativismo. […] Il relativismo, in certo qual modo, è diventato la vera e propria religione dell’uomo moderno [ed è] il problema più grande della nostra epoca”.
Il relativismo, su cui si fonda il laicismo, è la nuova super-religione con i suoi comandamenti: non pronunciare il nome di Dio in luogo pubblico! Propongo un votazione per eleggere subito il papa laicista. Due i candidati: Flores d’Arcais e Barbapapa Scalfari.
Tornando seri, G.K. Chesterton, nella Ballata del cavallo bianco del 1911 (!!!), scrisse per bocca di re Alfred la seguente lucida profezia:


tra molti secoli, tristi e lenti,
- io ho una visione - io so
che i pagani ritorneranno.

Essi non verranno su navi da guerra,
non devasteranno col fuoco,
ma i libri saranno il loro unico cibo,
e con le mani impugneranno l’inchiostro.

Non con lo spirito dei cacciatori
o con la feroce destrezza del guerriero,
ma mettendo a posto ogni cosa con parole morte,
ridurranno le bestie e gli uccelli a burattini
ed il vento e le stelle ad una ruota che gira.

Avranno l’aspetto mite dei monaci,
pieni di fogli e di penne;
e voi guarderete alle vostre spalle ammirando
e desiderando un giorno come quelli di Alfred,
in cui, almeno, i pagani erano uomini.



Concludo con San Giovanni Paolo II in “Memoria e identità”: « è lecito e anzi doveroso porsi la domanda se qui non operi ancora una nuova ideologia del male, forse più subdola e celata [del nazismo e del comunismo], che tenta di sfruttare, contro l’uomo e contro la famiglia, perfino i diritti dell’uomo ».

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