Comunicare verità, bontà e bellezza
- Autore:
- Curatore:
- Fonte:

Favorire la cultura dell’incontro, è questo – pressappoco – il tema della Giornata delle Comunicazioni sociali. Aspettiamo quanto il Papa ci dirà, certi che l’invito più volte fatto a comunicare verità, bontà e bellezza sarà il cuore della preoccupazione che muove l’animo del nostro Pontefice.
Intanto esprimo alcune preoccupazioni che si fanno sempre più pressanti, vedendo come i media stanno agendo in questi tempi.
Sembra di assistere al realizzarsi di quanto veniva analizzato alla vigilia del ’68 da Herbert Marcuse, un pensatore che lucidamente ha parlato di Uomo a una dimensione: «Una confortevole, levigata, ragionevole, democratica non-libertà prevale nella civiltà industriale avanzata, segno di progresso tecnico». Nulla sfugge a questa morsa, tutto può solo rientrare negli schemi del potere. Così le notizie sono sempre più a senso unico, e l’apparente quantità di esse nasconde la volontà di censurare ed emarginare il diverso. Così si assiste allo strano fenomeno per cui non ci si rende più conto di quanto sta accadendo, pensando di avere in mano tutti gli strumenti per un giudizio corretto.
Mi pare di rileggere quello che è accaduto con la nascita del nazismo, che è salito al potere in maniera in qualche modo «democratica». Quante volte ci siamo chiesti come mai un popolo con grandi tradizioni di cultura e di libertà sia potuto cadere e accettare questo abisso di male. Senza scomodare le lucide riflessioni di Annah Arendt, sulla Banalità del male, possiamo riconoscere che una invincibile ignavia e superficialità (unite ad un laicismo ostile alla tradizione religiosa) hanno reso possibile tale orrore della storia.
Così noi possiamo accettare che i nostri governanti – in maniera clandestina, come cospiratori di notte – ci preparino leggi liberticide, e definiamo intollerante, oscurantista, violento chiunque cerchi di aiutarci a comprendere la gravità della situazione, come è accaduto recentemente a Firenze.
Bisogna che rinasca una informazione libera, e che chi ha a cuore la sorte dell’uomo si metta in gioco, privilegiando l’unità piuttosto che il proprio particulare. Facendo rete, realizzando forme sempre nuove di collaborazione, diffondendo notizie, sfruttando le relazioni umane e i nuovi mezzi di comunicazione, in modo creativo.
Il comunismo sovietico è stato vinto da questa creatività della società, la Polonia ha debellato il potere in forza della cultura di un popolo. E – se non fossero stati trucidati con fretta violenta dai nazisti – i giovani della Rosa bianca avrebbero sconfitto il totalitarismo disumano che regnava nel Reich.
Se vale il motto dei cari polacchi «La Polonia non è morta finché noi viviamo», possiamo dire lo stesso anche noi. Se rimaniamo vivi e uniti.