Chiesa, non basta l’«ospedale da campo»!
- Autore:
- Curatore:
- Fonte:
(Ambrose Bierce, Dizionario del diavolo, 1911)

E’ vero. La Chiesa è un ospedale da campo, in questo campo di battaglia postmoderno in cui la vita vale sempre meno. A terra, da soccorrere, disoccupati angosciati e famiglie che non sanno come sbarcare il lunario. Immigrati fuggiti dal loro Paese in cerca di una vita migliore. Anziani soli e con pensioni da fame. Coppie affaticate, dentro amori invecchiati. Adolescenti carichi di domande su di sé e sul futuro. Bambini malati di disamore e viziati dalle cose, surrogati di genitori troppo distratti per dare affetto. O usati come giocattoli da adulti che con loro pensano di riempire le proprie mancanze, o su di loro scaricano le proprie frustrazioni. Donne sull’orlo di una crisi di nervi, convinte che la famiglia, la società, la Chiesa non riconoscano la bellezza che sono, i talenti che hanno. Lavoratori sfruttati. Coppie chine sul fallimento di un matrimonio, di una relazione. Figli feriti dalla separazione dei genitori.
A terra, non feriti soltanto ma morti, i bambini che decidiamo non meritino di venire al mondo; gli anziani e i malati che «per il loro bene» abbiamo previsto che possono pure andare all’altro mondo con leggi che parlano di morte buona, e pazienza se questa formula è solo un modo soft per nascondere il suicidio, o l’omicidio. Ormai non se ne accorge più nessuno.
Feriti, da curare nelle ferite che non si vedono perché sono dell’anima, uomini e donne che hanno smarrito il senso della vita. O i bambini che hanno saputo di essere stati un giorno scelti a catalogo, e comprati, e programmati con l’ovulo di una madre che non vedranno mai (ma era bella, gli han detto, e giovane, anche molto intelligente, e sanissima…) e poi tenuti in grembo nove mesi da un’altra. Ma non possono dir loro chi è. O frutti del seme di un padre lontano – donatore numero 1623 – che però, credetemi, bambini: ha un buon lavoro, un’ottima posizione.
Questi piccoli, pazienti tristi per le radici che gli abbiamo tolto, sono pure loro in una stanzetta dell’ospedale da campo. La Chiesa li accoglie, sana come può le loro ferite.
Anche i loro genitori: quella madre che ha venduto l’ovulo e si chiederà che ne è stato. Quella che ha tenuto in grembo nove mesi quel bambino, l’ha visto crescere, l’ha sentito muovere. Che fine avrà fatto? Lo tratteranno bene?
Quel padre che ha “solo” consegnato il contenitore con il suo liquido seminale… che vuoi che sia? Poi però si guarda intorno, quando cammina. Quel bambino un po’ mi assomiglia… chissà.
L’ospedale da campo che è la Chiesa accoglie queste confidenze, queste domande, questa inquietudine del cuore, che a intermittenza dice ho fatto bene e a intermittenza rivela i suoi fantasmi. E cosa credi gliene freghi, a chi ha dato la vita, sentire che disfarsene, vendere carne della propria carne, oggi si chiama “progresso”!
Sofferenza e rabbia. La Chiesa ascolta tutti. Chiama dolore il dolore, e lo allevia come può.
La ragazza mi ha mollata…, non sto andando bene a scuola…, sono gay, sono lesbica, voglio nuovi diritti, vorrei tanto un figlio…, cercavo la felicità nello sballo, vorrei smettere, ma ogni volta una scusa e mi sento in prigione… Io in prigione ci sto davvero, dieci anni ancora e per il mondo sono morto… Sono una ragazza madre…, io subisco vessazioni in famiglia: mio marito è violento…
Accoglie la Chiesa, e abbraccia chi soffre, chi è in difficoltà. Roba da chiamate illimitate. H 24, come un ospedale da campo, come un Pronto soccorso. C’è da duemila anni, non si tira indietro. Agisce sulle emergenze. Ma poi?
Non basta, l’ospedale da campo. Non basta, il Pronto soccorso. Lo sanno i medici che ci lavorano, lo sanno i pazienti. Passata l’emergenza (dieci punti per suturare il taglio, il gesso per la frattura, l’intervento per l’appendicite, la flebo per reidratare, le scosse per la fibrillazione, le iniezioni di antidolorifici…) poi vieni dirottato dallo specialista o dal tuo medico di base. E dal sintomo, ogni volta che è possibile si va alle cause. E allora l’anamnesi, domande sulle malattie pregresse tue e dei tuoi genitori, sul tuo stile di vita; le analisi del sangue, le radiografie, indagini più approfondite. Questo disturbo è capitato, non sappiamo perché; seguiremo il protocollo per curarlo, faremo quel che possiamo per lenire le sofferenze. Oppure: sa, è bene che cambi vita, se non vuole le ricapiti. Dieta e movimento. Dovrebbe smettere di fumare. Questo suo problema alimentare, questa sua dipendenza dal cibo, o dall’alcol, o dalla droga ci impongono di andare più al fondo. Cercheremo insieme di capire che vuoto c’è da riempire.
E’ così, la Chiesa.
Indispensabile presenza nell’ospedale da campo, in questo campo di battaglia postmoderno in cui la vita vale sempre meno, ma indispensabile pure fuori di lì. Prima e dopo. Nella fase di prevenzione (che è educazione), nella convalescenza, nella riabilitazione.
Un medico che si accontentasse di mettere quel gesso, di dare quei punti, di somministrare quelle medicine d’urgenza, non sarebbe un bravo medico se non desse un nome alla malattia, se non ragionasse con il paziente sulle cause e sui comportamenti eventualmente da modificare.
In medicina si chiama professionalità. Nella Chiesa si chiama Caritas in Veritate. Diffidare delle imitazioni.