Appartenenza politica o appartenenza ecclesiale?
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1968. Nella sede di Gioventù Studentesca a Milano si svolge un incontro di responsabili; a tema, il giudizio da dare sulla grave situazione creatasi nelle Università e nelle scuole italiane in seguito alle agitazioni degli studenti. Prende la parola un universitario della Cattolica di Milano: "Intervengo come rappresentante di GS che fa parte del Movimento studentesco; o meglio, come rappresentante del Movimento studentesco ad una assemblea di GS".
In questo episodio realmente accaduto sta tutta la cifra ed il dramma di molta parte dei cattolici in politica, segnatamente di chi ha scelto di stare nel Centrosinistra. Dopo gli episodi relativi allo strappo europeo di Mussi, dopo le quasi quotidiane lacerazioni cui sono costretti i vari Bobba, Binetti, Baio Dossi per le esternazioni irresponsabili dei loro compagni di coalizione (nell'ordine: i PACS, la RU486, la questione delle staminali embrionali, la "stanza del buco", il gay pride...), la domanda sulla priorità dell'appartenenza si pone con forza: "A che cosa appartieni anzitutto?" Di fronte ai richiami accorati del Papa ai "valori non negoziabili", privilegiare l'ideologia e lo schieramento diventa un cedimento alla "ragion di stato" che, proseguendo la triste parabola dell'uomo moderno, si tradurrà in un altro disastro per il popolo.
Invocare le categorie di "laicità" e di "cristianesimo adulto" (come fanno altri, pure dichiaratamente cristiani, dello stesso schieramento) diventa la classica foglia di fico che non nasconde proprio nulla.
Occorre aprire gli occhi sulla vertiginosa "mutazione antropologica", che ha fatto sì che in pochi anni nulla fosse più accettato con tranquillità: dalla logica aristotelica alla ragione correttamente intesa, dalla legge morale universale al primato della persona. In questo contesto dove regna il relativismo, la morte dei cosiddetti "valori comuni" è un dato di fatto ogni giorno più evidente. Se i cristiani non vogliono bruciare l'incenso all'Imperatore, non rimane loro che un'unica via: la testimonianza, con le parole e con le opere, di quella vita nuova che per grazia hanno incontrato. Questo anche perché il cuore degli interlocutori, sepolto sotto le macerie della menzogna o della distrazione, possa essere risvegliato da un incontro vero. E i compromessi, indispensabili alla vita politica? Mario Pomilio, in un suo romanzo dal titolo "La compromissione", ha ben descritto la tragica decadenza di un politico che accettando il compromesso finisce per tradire e rinnegare i propri ideali. Non si tratta di coerenza etica, ma di coerenza ideale. "Lo Spirito santo dà ai credenti una visione superiore del mondo, della vita, della storia e li fa custodi della speranza che non delude", ha detto Papa Benedetto XVI agli appartenenti ai Movimenti la vigilia di Pentecoste 2006.
E don Giussani: "Io credo che il problema di oggi sia una riscossa del cristiano per cui applichi i parametri della fede, della speranza e della carità nella vita quotidiana: occorre una riscossa perché si è quasi soffocato l'impeto della novità cristiana, che è una novità di essere, un altro modo di essere uomini". ("Il desiderio e la politica", in "L'io, il potere, le opere", Marietti 2000, pag. 171).
Questo "di più di umanità" va giocato in tutti gli ambiti, anche in politica, o il sale diventa insipido, la lucerna si nasconde sotto il moggio. "Vi siete liquidati da soli, e con ciò ci risparmiate la persecuzione", dice il Commissario al cristiano progressista, in "Cordula" di H. U. Von Balthasar. Omologazione, insignificanza sono il prezzo da pagare se non si vuole uscire allo scoperto. Mentre "testimone" in greco si dice "martire". Prima che ci costringano ad esserlo le circostanze sempre più drammatiche in cui ci troviamo a vivere.