20 anni di Fides et Ratio
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A settembre 2018 è ricorso l’anniversario del ventesimo anno della pubblicazione di una delle encicliche capitali del magistero del Santo Papa Giovanni Paolo II, la lettera Fides et Ratio sui rapporti tra fede e ragione, definita da qualche teologo il “culmine degli interventi del Magistero sulla filosofia”. Con quella lettera il papa polacco, richiamandosi espressamente all’enciclica Aeterni Patris (1879) di Leone XIII, volle dare ordine alla congerie storica dei rapporti tra le istanze della fede e quelle della ragione, alla fine di un secolo, il XX, in cui la ragione e la filosofia avevano ormai inverato la deriva post-moderna della cultura coeva sposando irrimediabilmente il suo esito più proprio, quel nichilismo indicato profeticamente da Nietzsche agli inizi del secolo come lo sbocco inevitabile del cammino storico dell’Occidente.
Come ha precisato il Card. Bertone [Card. T. Bertone, Dieci anni di “Fides et ratio” (25 Ottobre 2008), da www.zenit.org.] in un intervento al convegno organizzato dalla Pontificia Università Lateranense nel 2008 per il decimo anniversario proprio della Fides et Ratio, in realtà il tema dei rapporti tra fede e ragione era stato sempre a cuore a Giovanni Paolo II, che, lo ricordiamo, era stato professore di Etica nelle università della Polonia e pur all’interno di una formazione fedele al pensiero perenne di S. Tommaso d’Aquino, si era sempre interessato alle correnti filosofiche contemporanee, dedicandosi in particolare allo studio della fenomenologia husserliana. Ebbene, il professor Wojtyla era rimasto colpito dalla crisi attraversata dalla ragione, che aveva progressivamente rinunciato nel corso dell’età moderna alla possibilità di conoscere la verità radicale e le strutture fondamentali dell’essere a favore di un pensiero “debole”, confinato negli angusti spazi di una visione puramente empirista della realtà.
Dunque, come segnalato dal Card. Bertone, seppure il tema fosse a cuore di Wojtyla sin dagli anni ’80, la lettera dovette aspettare prima la pubblicazione dell’enciclica Veritatis Splendor (agosto 1993) e della lettera apostolica Dies Domini (maggio 1998) per apparire ufficialmente solo a settembre 1998. La Fides et Ratio si apre con un’intenzione programmatica già evidente nel prologo: la questione della Verità, vero obiettivo dell’enciclica, alla quale la fede e la ragione, negli ambiti e coi metodi propri, sono ordinate come i mezzi al fine (FeR, prologo). Che l’indicazione sia quella di un ritorno ad una filosofia di portata autenticamente metafisica, capace di risalire dal fenomeno al fondamento, è il vero leit motiv di tutta la lettera, che vede in questa limitazione il motivo essenziale della perdita di punti di riferimento per le nuove generazioni, e la constatazione della frammentarietà delle proposte che elevando l’effimero al rango di valore, non consentono di raggiungere il senso pieno dell’esistenza (FeR 6).
Il paradosso che risulta dalla lettura dell’enciclica è proprio che il papa deve farsi difensore in maniera prioritaria non delle istanze della fede, come un lettore inesperto potrebbe aspettarsi, ma addirittura allo stesso grado della ragione stessa, come si evince dal n. 48: «La ragione, privata dell'apporto della Rivelazione, ha percorso sentieri laterali che rischiano di farle perdere di vista la sua meta finale. La fede, privata della ragione, ha sottolineato il sentimento e l'esperienza, correndo il rischio di non essere più una proposta universale. E’ illusorio pensare che la fede, dinanzi a una ragione debole, abbia maggior incisività; essa, al contrario, cade nel grave pericolo di essere ridotta a mito o superstizione. Alla stessa stregua, una ragione che non abbia dinanzi una fede adulta non è provocata a puntare lo sguardo sulla novità e radicalità dell'essere. […] Alla parresia della fede deve corrispondere l'audacia della ragione» (FeR 48). La soluzione prospettata dal Santo Padre è quella di un rapporto circolare tra fede e ragione e quindi tra teologia e filosofia (FeR 73).
Ovviamente l’enciclica ebbe una grande cassa di risonanza, con le inevitabili recensioni polemiche (Vattimo, Flores D’Arcais), ma anche riconoscimenti positivi (Gadamer). Ma in realtà essa non faceva che portare alle estreme conseguenze il magistero del pontificato wojtyliano, innestato da sempre in un solido impianto metafisico con i suoi necessari corollari, la teologia della creazione con la nozione della Sapienza divina creatrice e l’assunzione piena della legge morale naturale e del diritto naturale, nonché la concezione che la verità, in ultima analisi, è una sola (FeR 79). Non si possono non riconoscere qui i punti capitali del magistero del papa polacco, poi esplicitati ulteriormente nella bellissima “Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica” (2002), quanto mai attuale dopo le ultime elezioni politiche, in quanto in essa si ribadisce che per il cristiano cattolico la corretta idea di laicità consiste sì nell’autonomia della sfera civile e politica da quella religiosa ma non da quella morale e implica essenzialmente la difesa dell’ordine e del diritto naturale. Punti cardinali di una Weltanschauung cattolica più recentemente sottolineati anche da papa Benedetto XVI nel magistrale e magnifico discorso al Bundestag tedesco nel 2011.
Quanti cattolici oggi impegnati o comunque interessati alla filosofia e alla vita politica hanno a mente questa visione di ampio respiro senza indulgere a quadri filosofici relativisti o cedere al secolarismo laicista?
Ecco, a noi sembra che Fides et Ratio rimanga ancora oggi, a 20 anni di distanza, di un’attualità viva, soprattutto in un momento in cui il mondo dei teologi di avanguardia sembra optare per il paradigma ermeneutico, ma di un’ermeneutica non aperta all’istanza metafisica (FeR 84; 95). Un’enciclica fondamentale, che ha definito in maniera magistrale gli ambiti e i limiti di un rapporto, quello tra la fede e la ragione, che ha segnato nelle sue diverse opzioni, due millenni di storia cristiana, e dalla cui declinazione scaturiscono conseguenze di capitale importanza non solo per la vita religiosa, ma per la vita integrale stessa dell’uomo e dell’umanità.