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Gesù e la carne

Autore:
Oliosi, Don Gino
Fonte:
CulturaCattolica.it
Le parole e le azioni di Gesù, pur storicamente accadute, non appartengono al passato. Gesù vive adesso e parla adesso con noi e vive per noi

«Nelle ultime catechesi su san Paolo ho parlato del suo incontro con il Cristo risorto, che ha cambiato profondamente la sua vita, e poi della sua relazione con i dodici Apostoli chiamati da Gesù – particolarmente con Giacomo, Cefa e Giovanni – e della sua relazione con la Chiesa di Gerusalemme. Rimane adesso la questione su che cosa san Paolo ha saputo del Gesù terreno, della sua vita, dei suoi insegnamenti, della sua passione. Prima di entrare in questa questione, può essere utile tener presente che san Paolo stesso distingue due modi di conoscere Gesù e più in generale due modi di conoscere una persona. Scrive nella Seconda Lettera ai Corinzi: “Cosicché ormai noi non conosciamo più nessuno secondo la carne; e anche se abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, ora non lo conosciamo più così (5,16). Conoscere “secondo la carne”, in modo carnale, vuol dire conoscere in modo solo esteriore, con criteri esteriori: si può aver visto una persona diverse volte, conoscerne quindi le fattezze ed i diversi dettagli del comportamento: come parla, come si muove, ecc. Tuttavia, pur conoscendo uno in questo modo, non lo si conosce realmente, non si conosce il nucleo della persona. Solo col cuore si conosce veramente una persona. Di fatto, i farisei e i sadducei hanno conosciuto Gesù in modo esteriore, hanno appreso il suo insegnamento, tanti dettagli su di lui, ma non lo hanno conosciuto nella sua verità. C’è una distinzione analoga in una parola di Gesù. Dopo la Trasfigurazione, egli chiede agli apostoli: “Che cosa dice la gente che io sia?” e “Chi dite voi che io sia?”. La gente lo conosce, ma superficialmente; sa diverse cose di lui, ma non lo ha realmente conosciuto. Invece i Dodici, grazie all’amicizia che chiama in causa il cuore, hanno almeno capito nella sostanza e cominciato a conoscere chi è Gesù.
Anche oggi esiste questo diverso modo di conoscenza: ci sono persone dotte che conoscono Gesù nei suoi molti dettagli e persone semplici che non hanno conoscenza di questi dettagli, ma lo hanno conosciuto nella sua verità: “il cuore parla al cuore”. E Paolo vuol dire essenzialmente di conoscere Gesù, col cuore, e di conoscere in questo modo essenzialmente la persona nella sua verità; e poi, in un secondo momento, di conoscerne i dettagli» [Benedetto XVI, Udienza Generale, 8 ottobre 2008].

L’incontro straordinario con il Cristo risorto, che ha cambiato profondamente la vita di san Paolo, richiedeva oltre la relazione con i Dodici chiamati da Gesù – particolarmente con Giacomo, Cefa e Giovanni – e con la chiesa Madre di Gerusalemme il continuo incontro sacramentale, liturgico con la Persona di Gesù Cristo per rivivere in Lui tutto il vissuto, i fatti e i detti, i misteri della fase terrena e dare al Cristo risorto la possibilità di viverli con Paolo nel noi ecclesiale, affinché si lasciasse assimilare a Lui e così annunciarlo nell’evangelizzazione ai pagani. “Grande è il Mistero della pietà: Egli si manifestò nella carne, fu giustificato nello Spirito, apparve agli angeli, fu annunziato ai pagani, fu creduto nel mondo, fu assunto nella gloria” (1 Tm 3,16). Il Mistero o sacramento di Dio è la persona di Gesù Cristo stesso per cui tutta la divina Scrittura costituisce un unico libro e quest’unico libro è Cristo risorto che mi fa rivivere, nella liturgia, in Lui ed Egli con noi tutti i fatti e detti dell’attesa, della fase terrena di vita, dei suoi insegnamenti, della sua passione. Ma che cosa ha saputo san Paolo della vita concreta, delle parole, della passione, dei miracoli di Gesù, lui che sembra accertato che non lo abbia incontrato durante la sua vita terrena? Nelle sue Lettere possiamo trovare tre forme di riferimento al Gesù pre-pasquale.
- Ci sono riferimenti espliciti e diretti. Paolo parla della ascendenza davidica di Gesù (Rm 1,3), conosce l’esistenza di suoi “fratelli” o consanguinei (1 Cor 9,5; Gal 1,19), conosce lo svolgimento dell’Ultima Cena (1 Cor 11, 23), conosce altre parole di Gesù, per esempio circa l’indissolubilità del matrimonio (1 Cor 7,10 con Mc 10,11-12), circa la necessità che chi annuncia il Vangelo sia mantenuto dalla comunità in quanto l’operaio è degno della sua mercede (1 Cor 9,14 con Lc 10,7); Paolo conosce le parole pronunciate da Gesù nell’Ultima Cena (1 Cor 11,24- 25 con Lc 22,19-20) e conosce anche la croce di Gesù. Questi riferimenti diretti a parole e fatti della vita di Gesù nel memoriale liturgico, nella fede celebrata li vive in Lui e il Risorto nel convenire delle comunità di Paolo.
- In secondo luogo, possiamo intravedere in alcune frasi delle Lettere paoline varie allusioni alla tradizione attestata nei Vangeli sinottici in continuità o Tradizione dagli apostoli. Per esempio, le parole che leggiamo nella prima Lettera ai Tessalonicesi, secondo cui “come un ladro di notte così verrà il giorno del Signore” (5,2), non si spiegherebbero con un rimando alle profezie veterotestamentarie, poiché il paragone del ladro notturno si trova solo nel Vangelo di Matteo e di Luca, quindi è preso proprio dalla tradizione sinottica. Così quando leggiamo che “Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto…” (1 Cor 1,27-28), si sente l’eco fedele dell’insegnamento di Gesù sui semplici e sui poveri (Mt 5,3; 11,25; 19,30). Vi sono poi le parole pronunciate da Gesù nel giubilo messianico: “Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli”. Paolo sa – è la sua esperienza missionaria – come siano vere queste parole, che cioè proprio i semplici hanno il cuore aperto alla conoscenza di Gesù. Anche l’accenno all’obbedienza di Gesù “fino alla morte”, che si legge in Fil 2,8 non può non richiamare la totale disponibilità del Gesù terreno a compiere la volontà del Padre suo (Mc 3, 35; Gv 4,34). Paolo dunque conosce la passione di Gesù, la sua croce, il modo in cui egli ha vissuto i momenti ultimi della sua vita. La croce di Gesù e la tradizione su questo evento della croce sta al centro del Kerigma paolino. Un altro pilastro della vita di Gesù conosciuto da san Paolo è il Discorso della Montagna, del quale cita alcuni elementi quasi alla lettera, quando scrive ai Romani: Amatevi gli uni e gli altri… Benedite coloro che vi perseguitano… Vivete in pace con tutti… Vinci il male con il bene…”. Quindi nelle sue Lettere c’è un riflesso fedele del Discorso della Montagna (Mt 5-7).
- Infine, è possibile riscontrare un terzo modo di presenza del memoriale delle parole di Gesù nelle Lettere di Paolo: è quando egli opera una forma di trasposizione della tradizione pre-pasquale alla situazione dopo la Pasqua. Un caso tipico è il tema del Regno di Dio. Esso sta sicuramente al centro della predicazione del Gesù storico (Mt 3,2; Mc 1,15; Lc 4,43). In Paolo si può rilevare una trasposizione di questa tematica, perché dopo la risurrezione è evidente che Gesù in persona, il Risorto, è il regno di Dio. Il Regno pertanto arriva laddove sta arrivando Gesù. E così necessariamente il tema del Regno di Dio, in cui era anticipato il mistero di Gesù, si trasforma in cristologia. Tuttavia, le stesse disposizioni richieste da Gesù per entrare nel Regno di Dio valgono esattamente per Paolo a proposito della giustificazione mediante la fede: tanto l’ingresso nel Regno quanto la giustificazione richiedono un atteggiamento di grande umiltà e disponibilità, libera da presunzioni, per accogliere la grazia di Dio. Per esempio, la parabola del fariseo e del pubblicano (Lc 18, 9-14) impartisce un insegnamento che si trova tale e quale in Paolo, quando insiste sulla doverosa esclusione di ogni vanto nei confronti di Dio. Anche le frasi di Gesù sui pubblicani e le prostitute, più disponibili dei farisei ad accogliere il Vangelo (Mt 21,31; Lc 7,36-50), e le sue scelte di condivisione della mensa con loro (Mt 9,10-13; Lc 15,1-2) trovano pieno riscontro nella dottrina di Paolo sull’amore misericordioso di Dio verso i peccatori (Rm 5,8-10); e anche Ef 2,3-5). Così il tema del Regno di Dio viene riproposto in forma nuova, ma sempre in piena fedeltà alla tradizione del Gesù storico.
Un altro esempio di trasformazione fedele del nucleo dottrinale inteso da Gesù si trova nei “titoli” a lui riferiti. Prima di Pasqua egli stesso si qualifica come Figlio dell’uomo; dopo la Pasqua diventa evidente che il Figlio dell’uomo è anche il Figlio di Dio. Pertanto il titolo preferito da Paolo per qualificare Gesù è Kyrios, “Signore” (Fil 2,9-11), che indica la divinità di Gesù. Il Signore Gesù, con questo titolo, appare nella piena luce della risurrezione. Sul Monte degli Ulivi, nel momento dell’estrema angoscia di Gesù (Mc 14,36), i discepoli prima di addormentarsi avevano udito come egli parlava del Padre e lo chiamava “Abbà – Padre”. E’ una parola molto familiare equivalente al nostro “papà”, usata solo da bambini in comunione col loro padre. Fino a quel momento era impensabile che un ebreo usasse una simile parola per rivolgersi a Dio: ma Gesù, essendo vero figlio, in questa ora di intimità parla così e dice: “Abbà, Padre”. Nelle Lettere di san Paolo ai Romani e ai Galati sorprendentemente questa parola “Abbà”, che esprime l’esclusività della figliolanza di Gesù, appare sulla bocca dei battezzati (Rm 8,15; Gal 4,6), perché hanno ricevuto lo “Spirito del Figlio” e adesso portano in sé tale Spirito e possono parlare come Gesù e con Gesù da veri figli al loro Padre, possono dire”Abbà” perché sono divenuti figli nel Figlio.
Importante la dimensione salvifica della morte di Gesù, quale noi troviamo nel detto evangelico secondo cui “il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10,45; Mt 20,28). Il riflesso fedele di questa parola di Gesù appare nella dottrina paolina sulla morte di Gesù come riscatto (1 Cor 6,20), come redenzione (Rm 3,24), come liberazione (Gal 5,1) e come riconciliazione (Rm 5,10; 2 Cor 5,18-20). Qui sta il centro della teologia paolina, che si basa su questa parola di Gesù.
San Paolo non pensa mai a Gesù in veste di storico, come a una persona del passato. Conosce certamente la grande tradizione sulla vita, le parole, la morte e la risurrezione di Gesù, ma non tratta tutto ciò come cosa del passato; lo propone come realtà del Gesù vivo. Le parole e le azioni di Gesù per Paolo non appartengono al tempo storico, al passato. Gesù vive adesso e parla adesso con noi e vive per noi. “Tutto ciò che Cristo ha vissuto, egli fa sì che noi possiamo viverlo in Lui e che Egli (nella fede professata, celebrata, vissuta e pregata)lo viva in noi” (CCC n. 521). Questo è il modo vero di conoscere Gesù con il cuore e di accogliere la tradizione su di lui. “Dobbiamo – ha concluso Benedetto XVI – anche noi imparare a conoscere Gesù non secondo la carne, come una persona del passato, ma come il nostro Signore e Fratello, che è oggi con noi e ci mostra come vivere e come morire”.

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