Guai a me se non evangelizzo!
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«Il mandato missionario continua ad essere una priorità assoluta per tutti i battezzati, chiamati ad essere “servi e apostoli di Cristo Gesù” in questo inizio di millennio. Il mio venerato predecessore, il Servo di Dio Paolo VI, affermava già nell’Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi che “evangelizzare è la grazia, la vocazione propria della Chiesa, la sua identità profonda” (n. 14). Come modello di questo impegno apostolico, mi piace indicare particolarmente san Paolo, l’Apostolo delle genti, poiché quest’anno celebriamo uno speciale giubileo a lui dedicato. E’ l’Anno Paolino, che ci offre l’opportunità di familiarizzare con questo insigne Apostolo, che ebbe la vocazione di proclamare il Vangelo ai Gentili, secondo quanto il Signore gli aveva preannunciato: “Va’, perché ti manderò lontano, tra i pagani” (At 22,21). Come non cogliere l’opportunità offerta da questo speciale giubileo alle Chiese locali, alle comunità cristiane e ai singoli fedeli, per propagare fino agli estremi confini del mondo l’annuncio del Vangelo, potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede (Rm 1,16)?» [Benedetto XVI, Messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale 2008, 11 maggio 2008].
L’umanità ha bisogno di liberazione
Nei tempi moderni si sono dischiuse nuove dimensioni del sapere: innanzitutto nelle scienze naturali, che si sono sviluppate sulla base della connessione di sperimentazione e di presupposta razionalità della materia; in secondo luogo, nelle scienze storiche e umanistiche, in cui l’uomo, scrutando lo specchio della sua storia e chiarendo le dimensioni della sua natura, cerca di comprendere meglio se stesso. In questo sviluppo si è aperta all’umanità non solo una misura immensa di sapere e di potere; sono cresciuti anche la conoscenza e il riconoscimento dei diritti e della dignità dell’uomo, e in questo possiamo essere grati. Ma il cammino dell’uomo non può mai dirsi completato e il pericolo della caduta nella disumanità lo vediamo nel panorama della storia attuale, per cui anche in questo nostro tempo l’umanità ha bisogno di essere liberata e redenta. La creazione stessa – dice san Paolo – soffre e nutre la speranza di entrare nella libertà dei figli di Dio (Rm 8,19 – 22). La creazione soffre. L’umanità soffre ed attende la vera libertà, attende un mondo diverso, migliore; attende la “redenzione”. Il pericolo del mondo occidentale – per parlare solo di questo che punta ad omologare la globalizzazione – è oggi che l’uomo, proprio in considerazione della grandezza del suo sapere e potere, si arrenda davanti alla questione della verità. E ciò significa allo stesso tempo che la ragione, alla fine, si piega davanti alla pressione degli interessi e all’attrattiva dell’utilità, costretta a riconoscerla come criterio ultimo. In fondo questo mondo nuovo aspettato suppone un uomo nuovo, suppone dei “figli di Dio”. Ma vediamo più da vicino la situazione del mondo di oggi. Il panorama internazionale, se da una parte presenta prospettive di promettente sviluppo economico e sociale, dall’altra offre alla nostra attenzione alcune forti preoccupazioni per quanto concerne il futuro stesso dell’uomo, avendo abbandonato le utili luci sorte lungo la storia della fede cristiana e non percependo più l’incontro con Gesù Cristo come la Luce che illumina la storia ed aiuta a trovare la via verso il futuro. La violenza, in non pochi casi, segna le relazioni tra gli individui e i popoli; la povertà opprime milioni di abitanti; le discriminazioni e talora persino le persecuzioni per motivi razziali, culturali, e religiosi, spingono tante persone a fuggire dai loro Paesi per cercare altrove rifugio e protezione; il progresso tecnologico, quando non è finalizzato alla dignità e al bene di ogni uomo né ordinato ad uno sviluppo solidale, perde la sua potenzialità di fattore di speranza e rischia di acuire squilibri e ingiustizie già esistenti. Esiste inoltre una costante minaccia per quanto riguarda il rapporto uomo – ambiente dovuto all’uso indiscriminato delle risorse, con ripercussioni sulla stessa salute fisica e mentale dell’essere umano. Il futuro dell’uomo è poi posto a rischio dagli attentati alla sua vita, considerato un semplice prodotto della natura, come tale non realmente libero e di per sé suscettibile di essere trattato come ogni altri animale.
Dinnanzi a questo scenario “sentiamo il peso dell’inquietudine, tormentati tra la speranza e l’angoscia” (GS 4) e preoccupati ci chiediamo: che ne sarà dell’umanità e del creato? C’è speranza per il futuro, o meglio, c’è un futuro per l’umanità? E come sarà questo futuro? La risposta viene a noi credenti dal Vangelo del risuscitato entrato per sé e per noi, per la storia e l’intero universo in un ordine decisamente diverso, risuscitato che continua a vivere nell’Eucaristia e in chi lo incontra e lo accoglie nei suoi gesti o sacramenti della fede divenendo Suo corpo, la Chiesa. E’ solo Cristo il nostro futuro: il suo Vangelo è comunicazione che “cambia la vita”, dona speranza, spalanca la porta oscura del tempo e illumina il futuro dell’umanità e dell’universo (Spe salvi, 2).
San Paolo aveva ben compreso che solo in Cristo, che con la risurrezione ha fatto accadere la più grande “mutazione” nella storia, il “salto” decisivo verso una dimensione di vita profondamente nuova per la famiglia umana, l’umanità può trovare redenzione e speranza. Perciò avvertiva sensibilmente, affettivamente, intellettualmente cioè con tutto il suo io, il suo cuore, la sua volontà, impellente e urgente la missione di “annunciare la promessa della vita nuova in Cristo Gesù” (2 Tm 1,1), “nostra speranza” (1 Tm 1,1), perché tutte le genti potessero partecipare alla stessa eredità ed essere partecipi della promessa per mezzo del Vangelo (Ef 3,6). Era cosciente che priva di Cristo l’umanità, ogni uomo, è “senza speranza e senza Dio nel mondo (Ef 2,12) – senza speranza perché senza Dio” (Spe salvi, 3). In effetti, “chi non conosce Dio, pur potendo avere molteplici speranze, in fondo è senza speranza, senza la grande speranza che sorregge la vita” (Spe salvi, 27), per affrontare il presente, anche un presente faticoso, può essere vissuto ed accettato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino.
La missione è questione di amore
E’ dunque una necessità del nostro io, quindi un dovere impellente per tutti annunciare Cristo e il suo messaggio salvifico. “Guai a me – affermava san Paolo – se non predicassi il vangelo!” (1 Cor 9,16). Sulla via di Damasco egli aveva sperimentato e compreso che la redenzione e la missione sono opera di Dio e del suo amore. L’amore di Cristo lo portò a percorrere le strade dell’Impero Romano come araldo, apostolo, banditore, maestro del Vangelo, del quale si proclamava “ambasciatore in catene” (Ef 6,20). La carità divina lo rese “tutto a tutti”, per salvare ad ogni costo qualcuno” (1 Cor 9,22). Guardando all’esperienza di san Paolo, comprendiamo che l’attività missionaria è risposta all’amore con cui Dio ci ama, crescita nella fede e nella speranza. Il suo amore ci redime, ci pulisce, ci recupera e ci sprona verso la missio ad gentes; è l’energia spirituale capace di far crescere nella famiglia umana l’armonia, la giustizia, la comunione tra le persone, le razze e i popoli, a cui tutti aspirano (Deus caritas est, 12). E’ pertanto Dio, che non solo ama ma è Amore, a condurre, spingere la Chiesa, ognuno di noi verso le frontiere dell’umanità e a chiamare gli evangelizzatori ad abbeverarsi “a quella prima originaria sorgente che è Gesù Cristo, dal cui cuore trafitto scaturisce l’amore di Dio” (Deus caritas est, 7). Solo da questa fonte si possono attingere l’attenzione, la tenerezza, la compassione, l’accoglienza, la disponibilità, l’interessamento ai problemi della gente, e quelle altre virtù necessarie ai messaggeri del Vangelo per lasciare tutto e dedicarsi completamente e incondizionatamente a spargere nel mondo il profumo della carità di Cristo.
Evangelizzare sempre
Mentre resta necessaria e urgente la prima evangelizzazione cioè l’annuncio che il Figlio di Dio incarnato, la Ragione per cui tutto è creato e redento, si è lasciato uccidere per amore, per liberarci dal peccato e dalla morte, è risuscitato e continua a vivere nell’Eucaristia e ad operare nella Chiesa attraverso i sacramenti della fede per la salvezza di tutti e di tutto, in non poche regioni del mondo, scarsità di clero e mancanza di vocazioni affliggono oggi varie Diocesi ed Istituti di vita consacrata. E’ importante ribadire che, pur in presenza di crescenti difficoltà, il mandato di Cristo di evangelizzare tutte le genti resta una priorità per il bene della fede di ogni credente. Nessuna ragione può farci venir meno in questa necessità per la nostra fede, può, quindi, giustificare un rallentamento o una stasi, poiché “il mandato di evangelizzare tutti gli uomini costituisce la vita e la missione essenziale della Chiesa” (EN 14), la sua ragione d’essere, la ragione d’essere cristiani nell’incontro con la Persona di Gesù Cristo che ha dato alla vita un nuovo orizzonte per tutta la famiglia umana, per la storia e l’universo intero e con ciò la direzione decisiva. Missione che “è ancora agli inizi e noi dobbiamo impegnarci con tutte le forze al suo servizio” (Redemptoris missio, 1). Come non pensare qui al Macedone che apparso in sogno a Paolo, gridava: “Passa in Macedonia e aiutaci”, fa giungere il Vangelo dove su queste radici è nata l’Europa? Oggi in tutto il mondo, nel nuovo contesto della globalizzazione, sono innumerevoli coloro che attendono l’annuncio del Vangelo, coloro che sono assetati di speranza e di amore. Quanti si lasciano interpellare a fondo da questa richiesta di aiuto che si leva dall’umanità, lasciano tutto per Cristo e trasmettono agli uomini la fede e l’amore per Lui” (Spe salvi, 8).
Guai a me se non evangelizzo (1 Cor 9,16)
“Cari fratelli e sorelle – l’invito accorato di Benedetto XVI che rende attuale, Parola di Dio, la testimonianza biblica di Paolo -, “duc in altum”! Prendiamo il largo nel vasto mare del mondo e, seguendo l’invito di Gesù, gettiamo senza paura le reti, fiduciosi nel suo costante aiuto. Ci ricorda san Paolo che non è un vanto predicare il Vangelo (1 Cor 9,16), (ma un bisogno di ogni io credente), un compito e quindi una gioia. Cari fratelli Vescovi, seguendo l’esempio di Paolo ognuno si senta “prigioniero di Cristo per i gentili” (Ef 3,1), sapendo di poter contare nelle difficoltà e nelle prove sulla forza che ci viene da Lui. Il Vescovo è consacrato non soltanto per la sua diocesi, ma per la salvezza di tutto il mondo (Redemptoris missino, 63). Come l’apostolo Paolo, è chiamato a protendersi verso i lontani che non conoscono ancora Cristo, o non ne hanno ancora esperimentato l’amore liberante; suo impegno è rendere missionaria tutta la comunità diocesana, contribuendo volentieri, secondo le possibilità, ad inviare presbiteri e laici ad altre Chiese per il servizio di evangelizzazione. La missio ad gentes diventa così il principio unificante e convergente dell’intera sua attività pastorale e caritativa.
Voi, cari presbiteri, primi collaboratori dei Vescovi, siate generosi pastori ed entusiasti evangelizzatori! Non pochi di voi, in questi decenni, si sono recati nei territori di missione a seguito dell’Enciclica Fidei donum, di cui abbiamo da poco commemorato il 50° anniversario, e con la quale il mio venerato Predecessore, il Servo di Dio Pio XII, dette impulso alla cooperazione tra le Chiese. Confido che non venga meno questa tensione missionaria delle Chiese locali, nonostante la scarsità di clero che affligge non poche di esse.
E voi, cari religiosi e religiose, segnati per vocazione da una forte connotazione missionaria, portate l’annuncio del Vangelo a tutti, specialmente ai lontani, mediante una testimonianza coerente di Cristo e una radicale sequela del suo Vangelo.
Alla diffusione del Vangelo siete chiamati a prendere parte, in maniera sempre più rilevante tutti voi, cari fedeli laici, che operate nei diversi ambiti della società. Si apre così davanti a voi un areopago complesso e multiforme da evangelizzare: il mondo. Testimoniate con la vostra vita che i cristiani già “appartengono ad una società nuova, verso la quale si trovano in cammino, e che nel loro pellegrinaggio, viene anticipata” (Spe salvi, 4).
E’ incoraggiante vedere tutte le Comunità, specialmente quelle giovani, lanciate per animare e formare missionariamente il Popolo di Dio, per alimentare la comunione di persone e di beni tra le varie parti del Corpo mistico di Cristo. Sono strumenti ancora preziosi la colletta, che nella Giornata Missionaria Mondiale viene fatta in tutte le parrocchie, come segno di comunione e di sollecitudine vicendevole tra le Chiese. Occorre soprattutto intensificare sempre più nel popolo cristiano la preghiera, indispensabile mezzo spirituale per diffondere fra tutti i popoli la luce di Cristo, “luce per antonomasia” che illumina “le tenebre della storia” (Spe salvi, 49).