Spadroneggiando il mistero
Cronaca di una giornata in un Centro per la Sterilità di Coppia- Autore:
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Tempo fa mi è capitato di frequentare, per motivi di studio, il centro sterilità di un grande ospedale. Vorrei raccontare brevemente l'esperienza fatta, per poterne cogliere gli aspetti più inquietanti.
Innanzitutto sono rimasta molto colpita dal numero di coppie presenti in sala d'attesa: giovani e meno giovani, tutti con stampato in faccia un grande desiderio e una certa aspettativa.
In ambulatorio il primo approccio con il medico.
Domande di rito, età, malattie importanti, eventuali diagnosi precedenti o pareri di altri ginecologi.
I coniugi, spesso inviati all'ambulatorio dai medici di base non appena si manifesti un certo ritardo nell'arrivo di un figlio molto desiderato, non hanno idea di ciò a cui vanno incontro. E certamente la preoccupazione del medico che hanno di fronte non è quella di cercare di entrare in contatto con la loro situazione e spiegare loro quale possa essere l'iter da intraprendere. Ricevono la notizia di una possibilità concreta di avere un bambino, con un metodo ormai consolidato e che si è dimostrato affidabile: cos'altro possono volere?
E in effetti accettano, spesso senza ben capire cosa comporti, di sottoporsi a una serie di esami innumerevoli, alcuni anche invasivi e dolorosi.
Una volta stabilita la possibilità di eseguire una fecondazione in vitro (FIVET), la tecnica certamente più utilizzata, si programmano gli appuntamenti futuri.
La donna si sottopone a una cura ormonale che stimoli la maturazione di molte cellule uovo contemporaneamente. Durante questa cura, la signora viene controllata mediamente una volta ogni 2 o 3 giorni con una ecografia transvaginale, negli ultimi giorni anche quotidianamente, per valutare il numero e le dimensioni dei follicoli contenenti le cellule uovo. Sarebbe meglio dire che le ovaie vengono controllate, non le donne. In effetti assistere a queste visite è stato veramente penoso, la signora veniva chiamata, fatta entrare in ambulatorio ed invitata a "prepararsi" per l'esame; "misurata" per bene e poi accompagnata alla porta con un bel foglietto in mano che le dicesse le dosi dei farmaci da prendere nei giorni seguenti e l' appuntamento per il controllo successivo. Non una parola su come la donna stesse, se avesse delle preoccupazioni, dei dubbi da chiarire; nessuna intenzione di spiegarle cosa stesse succedendo dentro di lei. Le signore se ne andavano, un po' perplesse ma timorose di porre domande inopportune, e totalmente affidate nelle mani dell'equipe sanitaria.
Quando l'ecografia mostra che i follicoli sono maturi al punto giusto, si fissa l'appuntamento per il giorno seguente con la coppia: il marito deve fornire gli spermatozoi, e la moglie invece deve essere sottoposta ad un mini intervento chirurgico chiamato di "pick up". Questo intervento consiste in sostanza nel prelievo, tramite un lungo ago guidato dall'ecografia transvaginale, di tutte le cellule uovo fatte maturare in precedenza. La donna è sveglia e senza dubbio sente dolore (più o meno sopportabile). In una stanza collegata con la sala operatoria, dei biologi controllano al microscopio la effettiva riuscita del prelievo, in modo che si continui la "pesca" fino a quando non si reputi di avere ottenuto un numero sufficiente di cellule uovo.
A questo punto la donna viene accompagnata nella sua stanza e si inizia la vera e propria fecondazione. Si "semina" ogni cellula uovo in compagnia di una congrua quantità di spermatozoi e si lasciano i contenitori per circa 24 ore in una macchina che crei le condizioni ambientali più favorevoli. Questo sempre che gli spermatozoi siano in grado di penetrare la cellula uovo, altrimenti se ne preleva il nucleo e lo si inietta direttamente nel nucleo della cellula uovo (ICSI).
Dopo 24 ore si valuta il risultato dell'operazione: se tutto è andato bene (cosa non proprio assicurata) si sono prodotti dei piccoli embrioni di 4 o 8 cellule, più o meno proporzionate. E nel guardare quelle piccole cellule, già segno di un uomo nuovo che si affaccia alla vita, mi sono scoperta in un atteggiamento di muto stupore per un miracolo donatoci, nonostante la nostra durezza e indifferenza.
Quindi il medico valuta quali di questi embrioni siano i meglio riusciti e lo comunica alla signora, che nel frattempo viene riportata in sala operatoria per sottoporsi alla seconda fase: l'iniezione intrauterina degli embrioni.
Ho assistito a scene poco augurabili, in cui il medico descriveva la migliore o peggiore riuscita degli embrioni prodotti camminando accanto alla donna interessata che, sdraiata su un lettino, veniva portata verso la sala operatoria. Immagino quanto la signora abbia potuto cogliere ciò che il medico le stesse dicendo, in tali circostanze!
Nell'iniezione intrauterina degli embrioni vengono utilizzati in genere 4 embrioni contemporaneamente, perché è bassa la probabilità che immettendone uno solo avvenga l'impianto. Invece immettendone fino a 4 la probabilità aumenta, e poi resta stabile anche aumentando ulteriormente il numero di embrioni. Gli embrioni in eccesso vengono conservati, perché nel caso in cui non avvenisse l'impianto al primo colpo, e quindi non si ottenesse la gravidanza, possano essere utilizzati in un secondo tentativo. Ovviamente se la gravidanza riuscisse, quegli embrioni rimarrebbero congelati per chissà quanto tempo, non essendoci alcuna norma riguardo alla loro "eliminazione".
E se tutto questo non bastasse, data la maggiore probabilità di malformazioni fetali e di una minore crescita del feto, legati alle manovre operate quando ancora l'embrione era formato da una sola cellula, lo zigote, e data l'età spesso elevata della "mamma", viene caldamente consigliata (per non dire prescritta di routine) la diagnosi prenatale mediante villocentesi od amniocentesi e, nel caso di riscontro di qualche anomalia, suggerito (per non dire prescritto) l'aborto cosiddetto "terapeutico".
E poi si ricomincia tutto da capo!
D'altra parte, è come con le formine sulla spiaggia: se la forma non viene bene si distrugge tutto e si ricomincia da capo con della sabbia nuova.
Peccato che la vita umana non è come la sabbia, con cui giocare a nostro piacimento: è un dono prezioso, da accogliere e da difendere fino in fondo, ma non è in mano nostra. E in effetti nessuno di noi ha potuto decidere di venire al mondo, così come nemmeno ora si può decidere di creare un bambino, si "forza" piuttosto un avvenimento che, ad ogni buon conto, rimane un Mistero.