Procreazione Medicalmente Assistita: ultimi sviluppi sulle linee guida della Legge 40

Fonte:
CulturaCattolica.it
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Le tecniche di fecondazione artificiale o PMA (Procreazione Medicalmente Assistita) spesso sono argomento strumentalizzato e presentato con stereotipi che impediscono di coglierne i vari aspetti e le problematiche etiche. In Italia questo nasce anche dal contrasto che continua ad essere espresso verso la Legge 40; in questo periodo in particolare è all’ordine del giorno la discussione in merito alla fecondazione eterologa, sulla quale a breve ci sarà un pronunciamento della Corte Costituzionale.
Alcune premesse sono utili per ribadire come dal punto di vista legislativo al centro debbano essere messi i diritti del bambino. Dal 1991 in Italia è in vigore la Convenzione ONU sui diritti del fanciullo che stabilisce che “in tutte le decisioni che riguardano il fanciullo l’interesse superiore del fanciullo deve avere un considerazione preminente” e che già nel 1959 diceva che era meritevole di protezione anche il bambino non ancora nato. La Corte Costituzionale italiana nella sentenza 35 del 10/2/1997 ha fatto riferimento a tali convenzioni per stabilire il diritto alla vita del concepito fin dalla fecondazione.

La Legge 40 regolamenta la fecondazione artificiale, o meglio PMA dal 2004; certo gravi attacchi e indebolimenti della legge sono stati portati dai giudici e da una certa parte politica negli ultimi anni. Nel 2008 l’allora ministro Turco accogliendo il giudizio del TAR del Lazio dell’ottobre 2007 varò le nuove linee guida alla Legge 40 eliminando i commi relativi al divieto della diagnosi preimpianto, e ammettendo di fatto la selezione eugenetica. Nell’aprile 2009 la sentenza più dannosa: la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità di alcune parole dell’articolo 14: dalla legge sparisce il limite massimo di tre embrioni per ogni ciclo, così come viene meno l’obbligo del loro «unico e contemporaneo impianto» permettendo quindi di nuovo la crioconservazione degli embrioni non impiantati e prodotti in sovrannumero. Si sappia che anche la legge tedesca come la legge italiana, non permette la generazione di più di tre embrioni per ogni tentativo di impianto.
Nel marzo 2010 la Cassazione dice (giustamente) che chi vuole adottare un bambino non può scegliere le sue caratteristiche etniche e genetiche. Ci si chiede allora: perché questo criterio non è valido anche per la PMA? Invece nel gennaio 2010 un giudice del Tribunale di Salerno ha autorizzato, per la prima volta in Italia, la diagnosi genetica preimpianto a una coppia fertile portatrice di una grave malattia ereditaria, violando appunto la norma perché la Legge 40 vietava la PMA per chi non ha problemi di fertilità. Si vuole quindi usare la PMA per selezionare gli embrioni, mascherandolo come diritto alla salute dei soggetti coinvolti (come aveva già fatto il tribunale di Cagliari nel 2007 anche se per coppie infertili), e questo nonostante la Corte Costituzionale si fosse espressa nel 2006 contro la diagnosi preimpianto. Per fortuna la viceministro Roccella nel novembre 2011 è intervenuta e ha modificato nuovamente le norme attuative, vietandola, e ha reintrodotto anche il divieto dell’utilizzo della PMA per coppie fertili con malattie genetiche lasciando però la possibilità a quelle con malattie infettive (HIV, epatite). Nessuno può decidere chi deve nascere e con quali caratteristiche, questa si chiama selezione eugenetica a cui siamo fortemente contrari, perché lede i diritti del concepito e pretende di dare potere sulla vita altrui ad altre persone. La diagnosi deve portare alla cura della malattia o all’eliminazione del malato? Se la diagnosi fosse a beneficio dell’embrione, cioè per curare una malattia scoperta, potrebbe avere senso; se invece è fatta per eliminare chi potrebbe avere difetti, non è accettabile.

Un fatto importantissimo è accaduto nel novembre 2011: la Corte Europea dei Diritti Umani ha emesso il suo giudizio definitivo sul caso S.H. e altri contro l’Austria, riguardante il divieto di fecondazione artificiale eterologa vigente in quel paese, come anche in Italia. I giudici europei, rovesciando la sentenza emessa il 1° aprile 2010 dalla Prima sezione della stessa Corte, hanno ribadito che il divieto di fecondazione artificiale eterologa non contrasta con l’articolo 8 della Convenzione europea sui diritti umani, che sancisce il diritto al rispetto per la vita privata e familiare. Adesso vedremo come questo verrà accolto dalla Corte Costituzionale italiana rispetto ad un ricorso analogo.