La legge 40 funziona? C’è chi non si rassegna mai
Ve le ricorderete certamente le battaglie e le polemiche pre-referendum sulla Legge 40.Persa la partita, ora si spera nella vittoria del Centrosinistra per poter cambiare la volontà popolare, che come ben si sa, è "democratica" se dà ragione a loro, è "idiota" se dà torto sempre a loro, e come tale, non vale nulla (per loro).
Qualcuno però è andato a controllare come vanno le cose, e ce lo racconta.
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Sono oltre 5400 i bambini nati nel 2004 con le varie tecniche di fecondazione assistita; circa 200 in più rispetto all’anno precedente, quando ancora la legge 40 non era stata approvata. Ieri l’Istituto Superiore di Sanità ha presentato i dati: la legge sulla procreazione medicalmente assistita, quella che, secondo alcuni, avrebbe dovuto far crollare le percentuali di successo e spingere le italiane con problemi di infertilità ad emigrare all’estero, non ha avuto affatto esiti catastrofici, anzi, ha fatto registrare un piccolo incremento di nascite. Qualcuno mastica amaro, non si rassegna all’evidenza, e rovescia i numeri con un sillogismo: poiché è impossibile che, così com’è, la legge dia questi risultati, è evidente che «nel segreto dei laboratori» viene sistematicamente aggirata. Lo sostiene il ginecologo Claudio Giorlandino, ipotizzando che i suoi colleghi passino il tempo a produrre embrioni in soprannumero e poi, non potendo congelarli, «li buttino nel lavandino». Insomma: meglio immaginare che medici e biologi agiscano in massa fuori dalla legge, piuttosto che ammettere di avere avuto torto.
Ma anche altri studi avevano già fornito percentuali di successo incoraggianti, come quello effettuato da alcuni grandi centri pubblici italiani, e pubblicato nell’agosto del 2005 dalla European society of human reproduction and embryology. Dopo aver confrontato un numero analogo di cicli di fecondazione prima e dopo l’entrata in vigore della legge 40, la ricerca concludeva che la differenza «non era significativa in termini statistici». I sostenitori del referendum abrogativo devono rassegnarsi, non tanto alla sconfitta, ma ai dati reali e ai progressi medici e tecnologici. È questo, temiamo, che li irrita di più, e che spiazza tutti i riposanti luoghi comuni di cui da anni si alimentano le polemiche sui temi etici: deve essere molto fastidioso ritrovarsi improvvisamente superati dai risultati scientifici, attestati su posizioni di retroguardia.
Oggi le nuove tecniche del congelamento degli ovociti sono sempre più perfezionate e diffuse, dando ragione a chi, come la ricercatrice Eleonora Porcu, sosteneva da tempo che questa, e non il congelamento degli embrioni, era la strada più promettente. Non solo gli embrioni congelati offrono possibilità di fallimento piuttosto alte, non solo pongono problemi etici laceranti, ma creano conflitti di difficile soluzione. In Inghilterra, per esempio, Nathalie Evans si è rivolta alla Corte europea dei diritti dell’uomo per sapere chi, nella coppia, aveva l’ultima parola sugli embrioni congelati. Lei voleva un figlio, ma l’ex fidanzato, «padre naturale» degli embrioni, glielo ha impedito, e la Corte europea lo ha sostenuto. L’embrione, essere umano sospeso in una condizione di innaturale ambiguità, non si può trattare come un qualunque oggetto inserito in una catena di produzione. Seguire linee di ricerca troppo lontane dalla natura, solleva questioni irrisolvibili e alla fine si rivela fallimentare anche dal punto di vista dei risultati pratici.
La procreazione assistita deve il suo nome a una intenzione amichevole di aiuto, appunto di «assistenza», non di violenza; le difficoltà umane vanno risolte o alleviate da una medicina e una scienza che sappiano accompagnare e correggere, ma non stravolgere, la natura.