Il TAR si pronuncia sulla legge 40

Autore:
Libera Associazione Forense
Fonte:
Libera Associazione Forense
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Nel dibattito sempre più intenso sui prossimi referendum relativi la legge n. 40/2004, la "libera informazione" ha "sorprendentemente" omesso di dar conto di una recentissima sentenza del TAR Lazio, la n. 3452 del 9 maggio 2005.
Con tale pronuncia i giudici amministrativi hanno rigettato il ricorso, presentato dalla WARM - World Association Reproductive Medicine -, che chiedeva l'annullamento delle linee guida in tema di procreazione assistita emanate in attuazione della legge n. 40/2004; nel ricorso la WARM aveva altresì sostenuto l'illegittimità costituzionale della stessa legge n. 40/2004 sotto il profilo della lesione del diritto alla salute, della libertà della scienza e dello sviluppo dell'arte medica.
La sentenza è degna della massima attenzione in quanto, con pregevole chiarezza, evidenzia anzitutto come non sia possibile, sotto il profilo scientifico, stabilire un momento prima del quale l'embrione non sarebbe un organismo umano.
Nella sentenza si afferma infatti che "guardando agli orientamenti emergenti nella letteratura scientifica, non sembra possibile identificare la "data di nascita" dell'embrione, inteso come nuovo organismo umano; (…)
Ciò che appare invece indubbio, a prescindere da ogni valutazione filosofica e religiosa, è che il processo biologico è un continuum che comincia, in condizioni normali, con la fecondazione, e cioè con l'unione del gamete paterno con quello materno (o, meglio, dei due D.n.a.) e procede senza salti di qualità.
Esula dunque dalla biologia la possibilità di dire quando è che un embrione divenga persona (rectius: sia tutelabile in quanto tale)".
Il TAR Lazio ha inoltre sgomberato il campo da qualsivoglia tipo di argomentazione "parascientifica" di chi sostiene che la vigente legge n. 40/2004 "imbriglia" la ricerca scientifica e costringe l'arte medica ad un ritorno ad epoche "oscure".
Nella sentenza si è infatti rilevato che "la scienza medica proietta la sua luce in un contesto che si pone al crocevia fra due diritti fondamentali: quello di essere curato efficacemente, e quello dell'essere rispettato nella propria dignità ed integrità di essere umano.
Nel caso di specie non sembra revocabile in dubbio che a tutela dell'embrione il legislatore possa intervenire a limitare la pratica medica, tanto più ove la stessa
non si basi su adeguate evidenze scientifiche e sperimentali.".
Le finalità che l'attività scientifica deve perseguire sono ulteriormente specificate in un altro passo della sentenza, ove viene affrontato il problema del "diritto alla sanità del figlio" per le coppie portatrici di malattie genetiche.
Su questo punto il TAR afferma che "è evidente che l'impossibilità di effettuare diagnosi preimpianto non permette di selezionare gli embrioni sani nel caso di genitori portatori di malattie genetiche" e che "tale facoltà è preclusa dalla legge (art. 13, III comma, lett. b) in quanto ricade nel divieto di selezione a scopo eugenetico, seppure trattasi di eugenetica negativa, volta cioè a fare sì che non nascano persone portatrici di malattie ereditarie, e non già a perseguire scopi di "miglioramento" della specie umana".
Tale divieto, secondo il TAR, pur essendo inserito in un contesto ordinamentale distonico, che riconosce una tutela forte dell'embrione, ma al contempo consente, ad esempio, metodi di controllo delle nascite, come la c.d. pillola del giorno dopo, mostra l'inesistenza di un fondamento giuridico della pretesa ad avere un "figlio sano".
Queste affermazioni, del tutto condivisibili, ci rafforzano ulteriormente nella convinzione che sia fondamentale opporsi, non partecipando alla consultazione referendaria, al tentativo di chi pretende che la scienza sia onnipotente e chiude gli occhi di fronte ai limiti che essa ha e deve avere e al prezzo, anche in termini di vite umane, che si deve pagare per favorire il "progresso".
Barbara Spinelli ha scritto di recente che "paradossalmente la parte del cardinale Bellarmino che si rifiutava di guardare dentro il cannocchiale di Galileo caratterizza più spesso i laici, oggi, che i cattolici".
Come operatori del diritto, ci sentiamo chiamati al compito delineato da Benedetto XVI, in occasione del conferimento della laurea honoris causa in Giurisprudenza da parte della LUMSA nel novembre del 1999: "L'elaborazione e la strutturazione del diritto non è immediatamente un problema teologico, ma un problema della "recta ratio", della retta ragione. Questa retta ragione deve cercare di discernere, al di là delle opinioni e delle correnti di pensiero, ciò che è giusto, il diritto in se stesso, ciò che è conforme all'esigenza interna dell'essere umano di tutti i luoghi e che lo distingue da ciò che è distruttivo dell'uomo".