Voglio morire anzi no
Germana Lancia scrive a Piergiorgio Welby: "Signor Welby con il tempo ho rivisto le mie posizioni sull'eutanasia"- Autore:
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A forza di descriverla come la "dolce morte" o la "buona morte" pare che si tratti di una scelta indolore, che toglie la fatica di vivere a chi sta soffrendo e la sofferenza a chi sta inttorno. Ma non è così. Le parole ingannano e la morte non ha mai nulla di dolce e di buono, spesso rischia di essere la soluzione ad uno stato di abbandono e di solitudine in cui non si è liberi di scegliere, ma costretti dalle circostanze.
Piergiorgio Greco su Avvenire del 27/09/2006 racconta la storia di Germana Lancia, 44 anni, che sette anni fa chiese all'allora Presidente della Repubblica Ciampi, di aiutarla a morire.
La stessa richiesta che oggi Welby fa al Presidente Napolitano.
- Sono trascorsi sette anni da quella richiesta e Germana ha cambiato idea "Oggi, nonostante la gravità della sua situazione, è tornata a sorridere alla vita e in una nuova lettera incoraggia Welby a non mollare: «La vita può ancora darle tanto».
Più che una rumorosa rivendicazione di un presunto "diritto all'eutanasia", quella lettera all'allora presidente Carlo Azeglio Ciampi voleva essere soprattutto uno sfogo. Lo sfogo di chi, dall'età di dodici anni alle prese con una terribile artrite reumatoide che poi per ben diciotto anni l'ha tenuta inchiodata ad un letto, avvertiva come ostile la società che la circondava. Lo sfogo di chi, quindi, chiedeva l'intervento del capo dello Stato per ottenere una sola cosa: un aiuto concreto per poter scegliere, se la sua condizione un domani fosse peggiorata, come e quando farla finita.
Oggi Germana Lancia, 44 anni di Roma ma originaria di Canistro (Aq), vive su una sedia a rotelle, lavora alla Sapienza, dove ha ideato uno sportello disabili divenuto un modello in Italia e, soprattutto, ha cambiato idea su quella sua richiesta a Ciampi datata 1999: «La vita merita sempre di essere vissuta», scrive in una nuova lettera, questa volta inviata a Piergiorgio Welby che, proprio come lei sette anni fa, ha chiesto al presidente della Repubblica di fare qualcosa affinché la "dolce morte" possa trasformarsi presto in un diritto per tutti.
«Signor Welby con il tempo ho rivisto le mie posizioni sull'eutanasia», inizia il messaggio con il quale Germana racconta che, a farla tornare ad amare la vita, sono stati il confronto anche duro con gli altri, la convinzione che nessun dolore è inutile e che, in definitiva, tutto accade per un motivo: «Le sembreranno luoghi comuni - scrive - ma a volte viviamo dolori di cui faremmo volentieri a meno per poi accorgerci che quel dolore è stato causa di una gioia immensa».
Tutti "luoghi comuni" che, in realtà, emergevano anche nella lettera a Ciampi, al punto che l'ex presidente, nella sua risposta - in forma privata - non esitò a rimarcare che nell'intervento di Germana Lancia «trovo molto di più, e di diverso, dalla rivendicazione del diritto di morire: tutta la tua esistenza, che è una lotta per affermare la tua voglia di vivere e il tuo diritto pieno alla vita, smentisce le tue parole e rinnega quella che tu stessa, riaffermando la tua fede in Dio, definisci una richiesta "mostruosa"».
«Se nel 1999 ci fosse stata una legge a regolare l'eutanasia - prosegue il messaggio a Welby - avrei arrecato molto dolore a chi mi ama, mi sarei preclusa molte gioie e soddisfazioni, avrei rinunciato ai miei sogni e ai miei desideri, alle mie speranze che hanno un comune denominatore: la libertà e la dignità delle persone disabili. Sarei un'ipocrita se le dicessi che la sua condizione è semplice, ma le dico che la vita può ancora darle tanto e lei può offrirle molto di più per cui la invito a pensare alle conseguenze della sua richiesta soprattutto per chi non è in grado di scegliere».