Il malato "critico": accanimento terapeutico o abbandono?
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"Il veterinario lo possono fare tutti, per fare il medico occorre avere la coscienza che qui è in gioco non un aspetto della vita, ma la vita tutta nella sua forma più urgente: la grande sfida che si pone è quella tra la domanda di vita che trabocca nei cuori di ciascuno di noi e l'ombra sempre incombente della morte che sentiamo come l'ultimo orizzonte dove si infrange la nostra domanda di felicità. Non è in gioco meno di questo! Ma è in gioco questo in tutte le questioni serie, cioè in quelle in cui ci implichiamo con tutta la nostra coscienza" (dall'intervento di uno dei relatori).
Quale è il limite tra utilizzo di giusti mezzi, abbandono ed accanimento terapeutico nella gestione del malato "critico"? Cosa determina l'opportunità o meno di iniziare un trattamento di rianimazione? Chi giudica della futilità o meno di un trattamento? In che modo entra in gioco l'età del paziente? Quando la sospensione di un trattamento iniziato non costituisce una forma di abbandono terapeutico? Chi sono gli attori del processo decisionale? Come va applicato il criterio della giustizia "distributiva", ovvero come decidere a chi indirizzare le risorse disponibili, dal momento che non ci sono risorse illimitate?
Queste le tematiche dell'incontro su «Il malato "critico": accanimento terapeutico o abbandono?"», organizzato da Medicina e Persona lo scorso 6 febbraio a Milano, che ha visto misurarsi i relatori di fronte ad un'ampia ed appassionata platea di medici e non. A tema non solo l'aspetto etico e scientifico, ma l'esperienza umana nella sua globalità, con quella prospettiva di libertà con cui si gioca nel rapporto medico-paziente.