I risultati di una indagine sulla eutanasia
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Una recente ricerca scientifica dell'Università cattolica di Milano sull'eutanasia, condotta dal prof. Adriano Pessina, ha messo in evidenza dei dati su cui riflettere.
Sono stati distribuiti questionari anonimi con oltre 70 domande a 257 rianimatori delle 20 Unità di Terapia Intensiva di Milano.
Ha risposto l'87% dei rianimatori interpellati. Il 3.6 % ha dichiarato di aver somministrato farmaci letali almeno una volta - la cosiddetta "eutanasia attiva" - (contro il 96.4% che non lo ha mai fatto); questo atto è stato giudicato accettabile dal 15.8%. Il 38.6% ha dichiarato di aver sospeso le cure almeno una volta - la cosiddetta "eutanasia passiva"-, il 42% più spesso e nel 50% dei casi senza chiedere ai parenti. Rispetto a questi ultimi dati, bisogna premettere che a volte il limite tra l'evitare l'accanimento terapeutico e l'accelerare il processo di morte (senza darla attivamente) è molto labile, e non va generalizzato tutto sotto il nome di "eutanasia passiva".
Le reazioni ai risultati di questa ricerca sono state immediate e varie.
C'è chi vorrebbe iniziare un'inchiesta su quel 3.6% di medici che hanno praticato la "eutanasia attiva" perché formalmente accusati di omicidio. La maggioranza delle rappresentanze delle varie associazioni mediche non si riconosce nel risultato riportato, non potendo accettare che qualche collega abbia potuto esplicare questo atto volontariamente.
C'è chi non si scandalizza più di tanto perché dice che il 4% riflette la media nazionale delle persone favorevoli alla pratica dell'Eutanasia (anche se è probabile che la percentuale della popolazione favorevole sia molto più alta).
Al di là delle reazioni personali, ancora una volta c'è da domandarsi se lo scandalo di fronte a chi vuole applicare o a chi applica queste pratiche di morte derivi dal fatto che in Italia non è "legale", quindi è una pratica fuori legge; fortunatamente per tanti medici l'essere medico è ancora una missione e il valore dell'uomo viene prima e va oltre al suo essere riconosciuto nella legge.
Questi risultati fanno riporre il problema alla radice: perché non è lecito, perché non è giusto aiutare un uomo in condizioni definite "senza speranza" a togliersi la vita? Perché non proporglielo e dargli la possibilità di scegliere lui stesso del proprio destino?
Tanto più che questa cosa viene fatta senza troppi problemi applicandola a chi inerme e senza possibilità di esprimere un proprio giudizio si ritrova abortito perché qualcuno ha deciso per lui che quella sua vita non valeva la pena di essere vissuta…
Al di là del fatto che chi fa il medico non può né deve essere un assassino (non si capisce bene perché l'eccezione sopra riportata non venga mai considerata...forse perché serve a confermare la regola?), il problema dell'eutanasia è il problema di ogni uomo, di chi fa l'impiegato, di chi fa la casalinga, di chi fa la mamma, di chi è disoccupato: è il problema di come ognuno si pone di fronte alla propria vita, al proprio destino e quindi a quella di ognuno e del mondo.
E' probabile che anche in Italia si inizierà la discussione parlamentare sull'introdurre la legge a favore del diritto a richiedere e ad applicare l'eutanasia: per non trovarsi impreparati, forse vale la pena rimettersi di fronte ogni giorno al proprio Destino perché un giorno nessuno decida che "è arrivato" il nostro momento…