I medici e l’eutanasia: il caso serio del prof. Israel

Autore:
D'Abbiero, Nunzia
Fonte:
CulturaCattolica.it
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Un recente sondaggio ha mostrato che una buona percentuale di medici italiani si dichiara favorevole ad una regolarizzazione dell’eutanasia. E’ anche vero che c’è molta confusione sui termini e che spesso, se non sempre, quando si parla di eutanasia s’intende non tanto l’azione deliberata che toglie la vita ad una persona seppur gravemente malata, ma piuttosto l’astensione dall’accanimento terapeutico. Ma anche dopo aver scremato i sondaggi da questo equivoco, rimane pur sempre una parte del mondo medico che invoca la legalizzazione dell’eutanasia. A scendere in campo sono nomi famosi, scienziati di grido, come il prof. Umberto Veronesi, il dr. Viale, e tanti altri. Come se la medicina stesse prendendo una strada assolutistica non più in difesa della vita, ma una specie di ineluttabile china mortifera.
Va considerato però che non tutto il mondo della medicina è schierato in questo senso, come documenta il caso del prof. Lucien Israel, poco noto in Italia, oncologo, già presidente della società francese di oncologia Medica. Scienziato, non credente dichiarato, amico del compianto genetista Gerome Lejunne, ha pubblicato in Francia alcuni libri in difesa della vita.

Ogni essere umano è assolutamente unico e irripetibile e il medico dovrebbe essere il custode di questa unicità. Di questo miracolo bisogna essere non solo consapevoli ma anche strenui difensori. Se il medico si rifiuta di considerare che davanti a sé ha un’esistenza unica e insostituibile, ne deriva una minaccia grave per le culture e per la nozione stessa di essere umano.

Ma è una minaccia anche per la professione medica, perché non si saprà più se i medici lottano contro la sofferenza o se davanti a essa danno le dimissioni impartendo la morte.

Nel giuramento di Ippocrate i medici s’impegnano a tutelare le vite loro affidate e a non procurare la morte. Nel caso della legalizzazione dell’eutanasia il rapporto fra medici e pazienti diventerebbe molto più difficile e, come dire, pieno di sospetto, di paure, come il sta accedendo in Olanda, dove chi può corre a farsi curare all’estero. Un medico che difende la vita suscita maggior fiducia di un medico che pratica l’eutanasia. Per questo è preoccupante che proprio all’interno della classe medica ci sia una percentuale molto alta di fautori della legalizzazione dell’eutanasia.

Un argomento molto abusato dai fautori dell’eutanasia è quello della dignità umana. Chiedono ai medici di uccidere quei pazienti che avrebbero “perduto la loro dignità” solo perché non controllano più gli sfinteri o perché sono bisognosi di tutto. Ma il mistero e il valore della vita umana si esauriscono qui, nella facoltà di alcune funzioni? E la dignità umana è qualcosa che va e che viene? Qualcosa che può essere conferita arbitrariamente o piuttosto qualcosa che essendo intrinsica ad ogni essere umano solo per il fatto che esiste, deve essere solo riconosciuta?
Non solo, ma la richiesta di legalizzazione dell’eutanasia mette in discussione i fondamenti della nsotra civiltà, perché uccidere i malati incurabili significa rompere il legame simbolico fra le generazioni. I figli, i nipoti, sapranno che ci si può sbarazzare dei vecchi, come oggetti da buttare. Diventati inservibili o quando non si troveranno le cure per impedire la loro sofferenza, diventerà più “caritatevole” e semplice sbarazzarsene.
Anche qui è appena una crisi di valori, oppure qualcosa di più profondo? Vorrei apportare la testimonianza del prof. Israel trascrivendo stralci di alcune sue risposte tratte dal suo libro intervista pubblicato in Francia, “Le dangers de l’euthanasie” éditions des Syrtes,2002.


«Che legame c’è fra la crisi dei valori e il desiderio di eutanasia?
E’ sorprendente lo squilibrio fra il desiderio e la ragione, il rumore mediatico intorno al problema e il necessario silenzio interiore. Quando ci stordiamo davanti a immagini televisive, come possiamo poi rientrare in noi stessi e meditare sul destino dell’uomo? Dove trovare la forza di assistere chi amiamo, di chiudergli gli occhi, di baciare una fronte che la vita sta abbandonando?
L’amore anche per un non credente è una preghiera. Ma come amare se questa preghiera è soffocata dal rumore che impedisce il raccoglimento? Bisogna aspettarsi che l’esecuzione del malato diventi una banalità. I legami fra gli individui, nelle famiglie, fra gruppi sociali si vanno perdendo. I valori che fanno esistere una società oggi sono in pericolo.
C’è un “non detto” indispensabile alla coerenza di una società; il rispetto per la vita e la necessità di continuare fino alla fine gli sforzi per mantenere la vita derivano da questo “non detto”. (…) L’eutanasia è diventata una moda dopo il 1968, a metà degli anni 70. L’esigenza è stata formulata in nome della dignità della persona. L’uso di questa parola mi manda fuori dai gangheri. Per un sano forse l’incontinenza non è dignità, ma è questo quello che passa per la testa del malato? Dall’alto della sua condizione di sano, il sano giudica che qualcuno ha perso la dignità. E’ davvero incredibile!

E’ molto politically correct oggi pronunciarsi a favore dell’eutanasia, ma allora andiamo avanti. Chiediamo agli ostetrici di eliminare i bambini malformati, invitiamo i medici a scrivere sulle loro cartelle “suicidi assistiti”, penalizziamo con multe i medici che si rifiutano.
Andiamo in Africa, nell’America del Sud e mettiamo fine alle sofferenze di tutti quelli che sono denutriti e di quelli che non guariranno, prima che perdano la loro dignità.

E’una certa filosofia dell’esistenza che rifiuta i limiti?
Senza dubbio. Io non ho ricevuto il dono della fede, ma non conosco d’altra parte alcuna teoria materialista accettabile capace di spiegare come la materia è arrivata a pensare se stessa attraverso il cervello umano. E’ una domanda per me senza risposta, ma è un mistero che ho scelto di difendere e rispettare.
Questo rifiuto della malattia e della morte, da cui nasce la richiesta dell’eutanasia, non c’è presso la gente semplice, né presso coloro che si interrogano in senso metafisico. Non c’è nel terzo mondo e nelle civiltà antiche che hanno il senso del sacro.

Si incontra forse ancora presso le classi popolari ciò che Orwell chiamava la common decency
Sì. Penso che nello stesso tempo qualcosa ha modificato i legami sociali ed è la televisione. Tutti i giorni ascoltiamo le stesse cose e in televisione regna il politicamente corretto. Così gli spiriti liberi sono diminuiti nel mondo occidentale.

Nel testo di una “Associazione per il diritto di morire con dignità” c’è scritto che “la libertà di scegliere l’ora della propria morte è un diritto imprescindibile”.
I partigiani dell’eutanasia medicalizzata non si accorgono di essere loro i barbari. Questa idea di uccidere i malati per rispetto è una scoperta degli intellettuali d’Occidente o piuttosto degli uomini politici di sinistra.

In Svizzera l’eutanasia è proibita, ma esiste la possibilità
del suicidio assistito. Il medico prepara il cocktail letale, ma è il paziente che se ne assume la responsabilità.
Per me è la stessa cosa dell’eutanasia. Noi non abbiamo imparato questo mestiere per aiutare a togliersi la vita. E’ facile rianimare la speranza di un malato, l’istinto di vivere è qualcosa di meraviglioso.

Eppure ci sono casi in cui il paziente chiede di morire e non è in grado di suicidarsi.
Conosco troppi casi contrari, per non dire che allora in questi casi il paziente non ha ricevuto un trattamento adeguato al controllo del suo dolore fisico o morale o a entrambi, sia per l’indifferenza dei curanti, sia per la loro assenza di compassione. In breve, perché è stato trattato come se non facesse più parte dell’umanità. La mia esperienza mi dice che se il comportamento del medico cambia, la domanda di eutanasia viene meno. (…)

C’è forse un legame con il protestantesimo e una tradizione individualistica. Non ne ha mai discusso con degli Olandesi?
Sta succedendo qualcosa nei paesi nordici: da tempo in Danimarca i malati di cancro al polmone, se non operabile, non ricevono nessuna cura.
Il caso dell’Olanda del resto mi fa ricordare un episodio significativo. All’uscita del mio primo libro sull’argomento ho incontrato in una trasmissione radiofonica il cantante Dave che non conoscevo e che mi ha raccontato una storia terribile. Sua madre era ammalata di cancro, ma non in condizioni gravissime. Si trovava ad Amsterdam e il curante disse che non c’era niente da fare e convinse i tre fratelli che la soluzione migliore per lei sarebbe stata quella di farla finita, e per fare questo aveva bisogno della sua firma. I figli convinsero la madre, che accettò di firmare. Nel corso di questa trasmissione alla radio, Dave mi disse: “Dopo aver letto il suo libro, non dormo più”.

I pazienti olandesi o danesi cercano di farsi curare altrove?
Ci vogliono mezzi. Alcuni intellettuali in Francia plaudono alla legalizzazione col pretesto che oggi solo i ricchi si possono permettere l’eutanasia clandestinamente. Non si può permettere, dice, che i ricchi scelgano la morte e che i poveri la subiscano. In realtà in Olanda accade esattamente l’inverso. I ricchi possono venire a farsi curare in Francia.
(…)
I media e l’opinione pubblica mi sembrano divisi.
I media sono piuttosto favorevoli, perché fa parte delle idee politicamente corrette e non vogliono perdere audience e lettori. Eppure la questione rischia di ritorcersi contro coloro che la sollevano. Un giorno può succedere che vengano giustiziati essi stessi.
(…)
Gli “eutanasisti” dicono che di fatto l’eutanasia è praticata clandestinamente negli ospedali, senza che il malato, in assenza della legge, venga consultato
Nei Paesi Bassi più della metà non viene dichiarata, il che dice che la legalizzazione non mette fine alla clandestinità. Quanto alla pratica anche in Francia sono raccontati episodi del genere, ma sono rari. Sarebbero ancor più rari se ci fossero centri per le cure palliative in numero sufficiente. Ma è la formazione morale del medico che è essenziale.

Ci sono medici d’accordo con lei?
Lo spero. Anche se non ho trovato alleati molto attivi. Eppure oggi siamo in grado di lenire adeguatamente le sofferenze dei pazienti. Alcuni medici che si schierano purtroppo a favore dell’eutanasia, pensano che in certe condizioni il malato abbia perso la sua dignità. Io credo che costoro non sopportano di confrontarsi con la morte e vogliono eliminarne la prossimità.

Si può credere che un medico agisca in modo così cinico?
La separazione più netta avviene fra medici materialisti e medici credenti. E io non sono né l’uno né l’altro, ma mi rifiuto di accettare l’eutanasia, perché trovo insopportabile, inconcepibile che si possa credere di essere autorizzati ad uccidere un altro essere umano. Fino a che c’è un lumicino, non spetta al medico soffiare sulla fiamma, anche se essa vacilla.»