Eutanasia, perché?

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In questi ultimi mesi è tornata alla ribalta dei mass-media la discussione riguardante la legalizzazione dell'eutanasia in Italia, dopo la recente approvazione nello stato olandese.

Per poter dare un giudizio in merito, visto che la decisione di legalizzare degli atti all'interno della società ha delle ripercussioni nella vita del singolo, è necessario cercare di capire da dove parte il desiderio di far approvare e giustificare in uno Stato il porre fine alla vita.

A partire dagli anni 70, con inizio nei paesi più sviluppati del mondo si è diffusa una insistente campagna a favore dell'eutanasia nei confronti del malato grave o anche del neonato malformato. Il motivo che abitualmente si adduce è quello di voler risparmiare al paziente sofferenze definite inutili.

Sarebbe interessante capire che cosa ogni singolo individuo intende per "sofferenza", se sia più importante e insopportabile quella fisica oppure quella che è presente nell'intimo di ognuno, che nasce dalla solitudine, dalla mancanza di speranza, dal sentirsi inoperosi e non produttivi.

Sarebbe interessante anche capire quanto il desiderio di proporre l'eutanasia nasca dal considerare certi tipi di persone un peso economico ed inutile per la società, in particolare quando, non essendo più in grado di produrre attivamente, perdono la dignità di poter vivere in un contesto sociale; oltretutto laddove vengono utilizzati farmaci, presidi, tipologia di assistenze molto costose, senza avere di ritorno il frutto "della guarigione", è alto il rischio di considerare sprecate tutte le risorse impiegate.

Tante volte di fronte ad una persona affetta da malattia "irreversibile", si invoca il principio di autonomia del soggetto, che avrebbe il diritto di disporre in maniera assoluta della propria vita. L'uomo è natura creata come rapporto interpersonale, come creatura che "dipende" in tutta la sua vita, dal primo istante del concepimento fino all'ultimo respiro, anche se troppe volte non ne ha coscienza o se ne dimentica; non può decidere autonomamente della propria fine, perché il non considerare questa appartenenza vorrebbe dire non tener conto di tutti i fattori di cui è fatto: questo lo rende un esser incompleto e irragionevole.

Inoltre la insopportabilità del dolore al letto del malato sofferente, tante volte rivela una inadeguatezza e una incapacità da parte delle persone che gli stanno accanto ad accompagnare il malato nel suo cammino; è evidente tutta la richiesta di senso che il malato stesso pone alle persone intorno, di senso della propria sofferenza, di senso della morte, di senso della vita vissuta fino a quel momento e dei volti incontrati sulla propria strada, e a queste domande è probabilmente più facile non rispondere.

Queste brevi considerazioni vogliono essere una iniziale provocazione a chiunque vuole affrontare seriamente l'argomento: di seguito vengono segnalate alcune letture interessanti, che possono essere utilizzate come spunto per la riflessione personale e per la formulazione di domande, interventi, racconti di esperienze che saremmo lieti di ricevere e far conoscere.