Anatemi? No, Teresa

A proposito di "dolce morte". E di lebbrosari d'Occidente
Autore:
Chawla, Navin
Fonte:
Tempi ©
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Legalizzata l'eutanasia in Olanda, opinionisti di destra e di sinistra italiani hanno plaudito al "passo di civiltà". Di fatto, la "buona morte" di Stato sembra essere la negazione del buon senso individuale già all'opera nel principio del "non accanimento terapeutico". E un battistrada allo Stato-etico, che con le sue leggi comincia a suggerire al malato terminale: "togliti di mezzo in silenzio, non ingombrare il mondo comune mostrando il tuo corpo corrotto, la tua lebbra, la tua umiliazione, il tuo dolore". Reprint di una conversazione con chi ha vissuto (fino alla fine) in compagnia della corruzione, della lebbra, dell'umiliazione, del dolore (e con la morte come parte della definizione della vita), Teresa di Calcutta
Madre Teresa, guardando la sua vita, la ritiene una vita felice?
Felice di una gioia che nessuno può portarmi via. Non c'è mai stato dubbio o infelicità.
In una grande fede possono nascere dubbi, per esempio nello svolgimento di un certo lavoro?
Dipende per chi stai facendo quel lavoro. Una madre non ha dubbi quando serve i propri figli. Perché li ama. Questo cambia tutto nella sua vita. E lo stesso vale per noi: se amiamo davvero Cristo, il dubbio non compare. Magari una tensione a fare meglio, ma non il dubbio. Non lo chiamerei dubbio.
La stragrande maggioranza di noi ha dei dubbi. Tipo: stiamo facendo la cosa giusta?
No, questo non è un dubbio. È che uno vuoi fare di più per i bambini. Vorrebbe fare qualcosa di meglio. Non è un dubbio. Il dubbio ci porta via la libertà.
Quando uno si trova davanti una persona mutilata, che soffre di lebbra e si trascina sui gomiti, dover toccare questa persona potrebbe destargli dei dubbi...
È paura, non sono dubbi.
Da dove prende la sua forza?
La Messa è il cibo spirituale che mi sostiene. Senza, non potrei passare un solo giorno, una sola ora della mia vita. Nell'Eucaristia, io vedo Cristo sorto la specie del pane. Nelle bidonville vedo Cristo dietro le spoglie dolorose dei poveri - nei corpi mutilati, nei bambini, negli agonizzanti. Questo è ciò che rende il nostro lavoro possibile.
Vorrei rivolgerle una domanda che molte persone, sapendo che ho lavorato con lei, spesso mi chiedono. Dicono che lei lotta per la pace e - le piaccia o no - dicono anche che lei è la donna più influente del mondo...
(interrompe l'intervistatrice) Davvero? Vorrei che fosse veramente così. Allora porterei pace nel mondo (ride).
Lei può alzare la cornetta del telefono e chiamare un Presidente o un Primo ministro perché parla nel nome della pace.
Nel nome di Cristo. Senza di Lui, non potrei fare nulla.

Mentre lei s'impegna per diffondere la pace, perché - si chiedono molti - non lavora perché diminuiscano le guerre?
Se uno lavora per la pace, la pace stessa farà cessare le guerre. Ma non voglio entrare in questioni politiche. Le guerre sono il frutto della politica e così non me ne impiccio, tutto qui. Se rimanessi impantanata nelle questioni politiche, smetterei di amare. Perché dovrei appoggiarmi a uno solo, non a rutti. Questa è la differenza.
Madre, quando deve affrontare disordini e sommosse non ha paura?
Paura di cosa?
Paura di…
Paura di arrivare davanti a Dio? (ride)
O paura per le Suore?
No, abbiamo consegnato le nostre vite a Dio. Una volta stavamo andando a portare del cibo in Sudan, nel Sudan del Sud. Le nostre Suore sono nel Sudan del Nord. Poiché c'era pericolo di venir uccise, il governo di quel Paese non voleva che andassimo là. Cinque di noi firmarono una liberatoria dove si dichiaravano pronte a morire se l'aereo fosse stato abbattuto. Il giorno seguente, mentre stavamo partendo i ribelli ci fecero sapere che avrebbero colpito l'aereo. Allora il pilota si rifiutò di partire. Altrimenti ci saremmo senz'altro andate.
Una cosa interessante, che mi ha sempre colpito a Kalighat (India ndr), è che ci sono molte persone, forse un centinaio, prossime alla morte, ma nessuna di loro sembra avere paura.
In quel posto si sente la presenza di Dio e i malati percepiscono l'amore che ricevono. Come uno di loro che mi ha detto: "Ho vissuto come una bestia in mezzo alle strade e oggi muoio come un angelo", tra attenzioni e amore. Muoiono contenti. Sono morte 23mila persone a Kalighat.
Qual è il loro più grande nemico? Il rifiuto?
La povertà. Non hanno niente. Non possiedono nulla. Non hanno nessuno. Gente di strada. Non prendiamo nessun altro; solo i poveri malati e agonizzanti e devono venire dalla strada. Non prendiamo persone che possiedono una casa. A Prem Dan forse c'è qualcuno che proviene dagli slums, ma a Kalighat non prendiamo nessun altro. È mai stata a Prem Dan? Dovrebbe andarci.
Una volta lei mi ha detto che la più grande paura che può essere affrontata da un uomo è la paura dell'umiliazione.
La via più sicura per essere vicini a Dio è accettare l'umiliazione.
E ha mai incontrato l'umiliazione?
Oh sì, tante volte. Anche questa pubblicità è un'umiliazione.
È umiliazione o piuttosto accettare il suo lavoro per i poveri?
Umiliazione, perché sappiamo che non abbiamo nulla da noi. Vede cosa ha fatto Dio: penso che Egli abbia voluto mostrare la sua Grandezza usando le cose più piccole e insignificanti.
Così tutti questi premi che lei ha ricevuto, per esempio il Nobel...
Non ne ricordo nemmeno il numero. Non sono nulla. Riguardo al Premio Nobel, ho detto che l'avrei accettato se me l'avessero dato per la Gloria di Dio e nel nome dei poveri. Non accetto premi nel mio nome. Io non sono niente.

I malati di lebbra continuano anche oggi ad essere le persone più rifiutate?
Non ora. Perché abbiamo le medicine. E se arriviamo in tempo riusciamo a curarli. Ma non essere voluti è la malattia più terribile di cui un essere umano possa fare esperienza. L'unica cura possibile è una mano che serva questa persona e un cuore che non smetta di amarlo.
Avete lavorato a lungo a Calcutta. Questo lavoro ha cambiato la mentalità della gente?
Ha spinto molti ad amarsi più profondamente gli uni gli altri e questa è la cosa più importante.
Oggi ci sono meno persone abbandonate rispetto a quando avete cominciato?
Non lo so. Non so rispondere. Ma quelli che muoiono con noi, muoiono in pace. Per me questo è il più grande progresso della vita umana, morire in pace e con dignità. Perché questo è per l'eterno.
Con un impegno così difficile, come riesce a conservare ancora il senso dell'umorismo?
Ma il mio lavoro è molto, molto bello. Non abbiamo ragioni per essere scontenti. Stiamo lavorando con Gesù, per Gesù, in Gesù. Siamo davvero dei contemplativi nel cuore del mondo. Gesù ha detto che qualsiasi cosa facciamo al più piccolo dei suoi fratelli, la facciamo a lui. Se diamo un bicchiere d'acqua nel suo nome, lo diamo a lui. Se accogliamo un fanciullo nel suo nome, accogliamo lui. Ecco perché voglio
accogliere tutti questi bimbi non nati. In ogni bambino è presente la stessa immagine di Dio, non importa come sia questo bimbo, se bello o brutto o disabile - è la bellissima immagine di Dio creata per cose grandi - da amare e adorare. Ecco la ragione per cui io e lei e tutti noi insieme dobbiamo insistere e difendere questo dono di Dio, perché è qualcosa di meraviglioso. Che terribile sofferenza è questa piccola
creatura che non voluta né amata, appena venuta al mondo è già indesiderata. Oggi è la malattia più terribile essere rifiutati, non amati, non voluti, lasciati da soli, come rifiuti della società.
Madre, una volta lei mi ha raccontato una storia bellissima di una donna di Calcutta che aveva diviso il suo riso coi vicini.
Sì, mi ricordo. Non ero sorpresa del suo dono. È naturale. I poveri sono soliti condividere. Ma sono rimasta stupita del fatto che sapesse che i suoi vicini erano affamati. Spesso la gente maschera la povertà, soprattutto quelli che hanno conosciuto tempi migliori. Ad esempio, un giorno da noi è arrivato un uomo che per un lungo periodo ha vissuto agiatamente. Poi il suo tenore di vita è precipitato. È venuto da me e mi ha detto: "Madre Teresa, non riesco a mangiare il cibo che ogni giorno mi distribuite". Io gli ho detto: "Io stessa lo mangio ogni giorno". Allora lui mi ha guardato: "Lo mangia anche lei?". "Sì". "Lo mangerò anch'io" ha concluso. Il fatto che anch'io lo mangiassi gli ha trasmesso il coraggio di accettare l'umiliazione. Se io non gliel'avessi detto, sarebbe rimasto indurito e amareggiato in cuor suo e non avrebbe accettato nulla. Ma quando ha scoperto che anch'io ero con lui, allora si è sentito incoraggiato.
Cosa la rende triste?
Quando vedo le persone che soffrono. Le loro sofferenze fisiche.

Come valuta i suoi risultati?
Non c'è una risposta. Non dobbiamo rovinare il lavoro di Dio. Non lavoriamo per la gloria o per i soldi. Le Suore sono persone consacrate. È un amore consacrato. Ed è tutto per Gesù. Lavoriamo per Dio. Achha, devo correre ora.

Brano estratto da "Madre Teresa: biografia autorizzata", Element Books, Inc., Rockport, MA, Usa, 1992