Renzo Luca Carrozzini, Domani? Forse! 1 -
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“Proprio dentro il dolore a poco a poco si fa strada qualcosa di nuovo, una nuova possibilità di amare”
(Ogni storia è una storia d’amore, Alessandro D’Avenia)

Premessa
Il libro che presentiamo si intitola “Domani? Forse!“ ed è stato scritto da Renzo Luca Carrozzini, psicologo e saggista trentino.
E’ il resoconto autobiografico in cui l’Autore racconta con note dolenti e drammatiche una pagina vera della storia: la condanna subita ingiustamente dal padre, frutto dell’ideologia e dell’odio politico degli anni compresi fra la fine del 1940 e i primi anni del 1950.
Il valore e il significato del libro non sono dati però soltanto dalla volontà di ricostruire avvenimenti storici e personali, ma anche dal racconto passo dopo passo di tutta la fatica che ha comportato lo scrivere e il veder riemergere fatti, volti, eventi di un tempo lontano che si pensavano sepolti per sempre, per ritrovare le proprie radici e riconciliarsi con la vita.
Il sogno
Il libro si apre sull'immagine dell’Autore che parla di un sogno fatto: Una busta chiusa, completamente serrata lungo i quattro lati da una serie di punti metallici. Questo era il sogno.
La busta chiusa, porte, scale, corridoi inaccessibili, nel racconto come nella realtà, erano i sogni ricorrenti e ossessivi che negli ultimi tempi l’avevano turbato togliendogli la serenità nella propria vita famigliare e professionale.
Il passato
Di professione psicologo, il Carrozzini ha imparato che ogni uomo possiede, come egli stesso afferma, un luogo recondito e profondo dove desideri, paure e sentimenti giacciono “gelosamente custoditi per anni o per sempre: troppo intimi, troppo personali, solo suoi”, finché un giorno prepotentemente emergono dall’inconscio, si impongono al presente, chiedendo di essere ascoltati, e accolti.
Lui sa, grazie anche al suo lavoro, che debiti aperti i con il proprio passato non si possono tenere.
Inaspettatamente un giorno, casualmente, leggiamo, un amico, avvocato di Rovereto, aveva pensato di rivolgersi a lui per avere notizie riguardanti suo padre Mario Carrozzini. Trovati alcuni incartamenti desiderava infatti ampliare e diffondere quella parte della storia trentina e nazionale così rilevante e tanto poco conosciuta, che lo riguardava.
Credo sia stato proprio questo l'atto, il passaggio di cui avevo bisogno per aprire il mio cassetto segreto e per consegnare, a chi leggerà, una parte della mia storia personale, che è anche storia familiare e collettiva. Forse uno " spaccato" di storia italiana, che molti non conoscono o che conoscono poco, che altri trascurano, che a qualcuno sta scomoda. Gli eventi storici narrati sono realmente accaduti. Li ho ricostruiti grazie ai miei ricordi personali e alle informazioni dettagliate fornitemi dai familiari e dai conoscenti protagonisti delle vicende riferite, raccogliendo testimonianze e attingendo a documentari d'archivio. Ringrazio quindi il mio caro amico Paolo che, con la sua curiosità e la sua voglia di esplorare e di portare alla luce un sommerso socio politico, mi ha aiutato a compiere un'azione che avrei voluto fare da sempre, ma che non avevo mai avuto l'ardire di compiere: rendere, in qualche modo, giustizia a mio padre Mario Carrozzini. (Domani? Forse!, pagg. 11, 12)
Era dunque arrivato per lui il momento di sfidare gli spettri minacciosi e i sogni angosciosi, di mettere per iscritto ciò che avevano vissuto lui e la sua famiglia e di trarre di lì nuove consapevolezze ed energie.
Solo così avrebbe potuto dedicarsi ad aiutare gli altri con la sua professione, come affermerà nel corso del racconto.
Ma, come affrontare il racconto? Che ordine dare ai ricordi?
Essi avevano fatto la loro apparizione a tratti, a lampi, in una visione spesso confusa e opaca.
Le sedute da uno psicoterapeuta durante le quali riandare ai momenti più drammatici della sua vita, saranno la finzione narrativa adottata dall’Autore per esporre i fatti.
Nel corso del primo incontro, leggiamo, così Renzo parla del sogno:
La busta
Ciò che mi aveva particolarmente colpito della busta sognata erano stati i punti metallici che la tenevano chiusa.
Erano delle graffette serrate da una cucitrice da ufficio, …parevano affilate come delle lame.
“A che cosa potrebbero essere associate (le lame)?” Gli viene chiesto.
“A lame, a baionette ", è la risposta. (pag.17)
Il ricordo si affaccia ora nitido alla memoria.
Era il 1943 e Renzo aveva circa due anni
Era mattina presto. Noi tutti dormivamo, quando fummo svegliati dalle grida di comando che un ufficiale tedesco, nel cortile sotto casa nostra, impartiva ai suoi soldati. La nostra casa era stata circondata dalle truppe naziste -fasciste che cercavano di catturare mio padre. Avevano installato quattro mitragliatrici agli angoli della casa e soldati erano armati fino ai denti con mitra, pistole e bombe a mano. Papà senti che c'era una pericolosa animazione sotto casa e, uscito precipitosamente dal letto, andò a nascondersi dentro uno degli scalini della scala di legno che dal piano terra portava al primo piano dove noi abitavamo. Lo scalino era stato reso appositamente estraibile per casi di emergenza come questo. Fu a quel punto che i tedeschi sfondarono la porta di ingresso e salirono calpestando pesantemente con gli stivaloni neri e con gli scarponi chiodati gli scalini proprio di quella scala. Mio padre nascosto nello scalino, credo trattenesse il fiato con molta trepidazione. Se l'avessero catturato l'avrebbero fucilato immediatamente… Io ero sicuramente in braccio a mia mamma e Rosanna, più grande di me di tre anni, era accanto a noi. Eravamo tutti in pigiama perché era l'alba. I soldati piombati in casa nostra erano molti, almeno una trentina, ci disse poi la mamma, e, non trovando papà, presero lei come ostaggio. La portarono, attraverso il bosco, a piedi, fino al Sarnonico e poi, caricata su una camionetta scoperta, le S.S. le fecero fare un paio di volte il giro di molti paesi della Val di Non (Romeno, Ronzone, Malgolo, Cavareno, Brez, Cloz) per far vedere far capire a tutti che loro avevano catturato la moglie del "capo dei banditi". Loro erano i più forti. In questo modo cercavano anche di stanare mio padre. (pagg. 18,19)
Dopo sette giorni di prigionia, di umiliazioni e di minacce la rilasciarono. E la famiglia si ricompose a Dambel, il paese della Val di Non, di cui la madre Livia Giuliani era originaria. Renzo era allora molto piccolo e la paura delle baionette e gli stivali neri degli ufficiali nazisti che salivano le scale di casa sua erano rimaste impresse nella sua mente e ricorrevano nei suoi sogni di bambino.