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"Memorie di un soldato bambino" di Ishmael Beah 1 - Un romanzo autobiografico

Fonte:
CulturaCattolica.it
ed. BEAT 2007

Memorie di un soldato bambino di Ishmael Beah ci parla dell’Africa occidentale, e il suo contenuto ci offre la possibilità di conoscere da un lato uno spaccato della storia di questo paese martoriato per una situazione politica instabile e forti interessi economici, negli anni compresi fra il 1993 e il 1997, quando infuriava la guerra civile, e dall’altro di considerare da vicino il tragico fenomeno dei soldati bambini. Il libro infatti è il racconto ambientato nella Sierra Leone che il protagonista fa degli anni della adolescenza, segnati dall’abbandono della famiglia, dalla sofferenza, dalla violenza subita e perpetrata quando è stato arruolato come soldato e infine dalla sua rinascita alla vita quando tutto sembrava irrimediabilmente perduto.
Non ha il carattere del saggio. Pur fornendoci informazioni storiche e sociali il testo si presenta come un’appassionante narrazione autobiografica.
I temi fondamentali del racconto sono il male e la violenza, la solitudine e le relazioni che salvano, la lenta risalita dal baratro e infine il perdono.

L’Autore
L’Autore, quando ancora viveva in Africa, a 17 anni è stato chiamato a testimoniare le sue esperienze dall’Unicef e ha raggiunto gli Stati Uniti nel 1998. Dopo aver terminato gli studi superiori alla United Nations International School di New York, nel 2004 si è laureato in scienze politiche all’Oberlin College. Membro dello Human Rights Watch Children’s Rights Division Advisory Committee, ha parlato numerose volte alle Nazioni Unite, al Council on Foreign Relations e al Center for Emerging Threats and Opportunities.
Vive a New York ed è ambasciatore dell'UNICEF.

L’inizio: storia di Ishmael
La narrazione si apre con la descrizione della vita del protagonista, un bambino di 10 anni (è nato nel 1980), che abita in un villaggio della Sierra Leone, con i ritmi della vita dei bambini della sua età: studiando, facendo i piccoli lavori che la famiglia richiede, passando il tempo con i suoi amici. Con loro condivide la passione per la musica rap e quando hanno un po’ di tempo libero assieme ascoltano le canzoni, imparandone i testi a memoria e muovendo corpo e piedi a ritmo, divertendosi moltissimo al suono di I Know you got soul di Eric B. e Rakim (Io so che hai un’anima)
Le cassette di musica nelle sue tasche e in quelle degli amici li accompagnano sempre e appena possono le sentono ballando l’hip hop.
Qualcuno ha parlato loro della guerra in corso fra esercito regolare e ribelli, ma essa appare lontana e irreale ai ragazzi e alla gente di Mogbwemo, il loro villaggio.
Se ne sentivano talmente tante sulla guerra, che sembrava fosse scoppiata in una nazione lontana e sconosciuta. Solo quando i primi profughi giunsero in città capimmo che il paese in cui si combatteva era davvero il nostro. Famiglie intere che avevano percorso centinaia di chilometri raccontavano di parenti uccisi e case bruciate. Qualcuno aveva pietà di loro e offriva accoglienza, ma quasi tutti la rifiutavano, perché dicevano che prima o poi la guerra sarebbe arrivata anche da noi. I bambini dei profughi neanche ci guardavano, scattavano impauriti al rumore della scure sulla legna o quando i sassi lanciati dalle fionde dei ragazzi a caccia di uccelli risuonavano sui tetti di lamiera. I più grandi si perdevano nei propri pensieri, mentre parlavano con gli anziani della mia città. Erano stanchi e malnutriti, ma era evidente che c'era qualcos'altro che li tormentava, qualcosa che ci saremmo rifiutati di credere, se ce ne avessero parlato. A volte pensavo che i profughi esagerassero, nei loro racconti. Le uniche guerre che conoscevo erano quelle dei libri, dei film di Rambo, oppure quella nella confinante Liberia, di cui avevo sentito parlare al radiogiornale della BBC. A dieci anni la mia immaginazione non era in grado di intuire cosa aveva derubato i profughi della felicità. Quando la guerra mi toccò per la prima volta avevo dodici anni. Era il gennaio del 1993. (pag.9)

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