Io sono Malala 10 - Dopo l'attentato, una seconda vita “per aiutare gli altri”
“Io so che è stato Dio a impedirmi di finire sottoterra. Ho l’impressione che quella che sto vivendo non sia più la mia vita ma una sorta di seconda vita. La gente ha pregato Dio perché mi risparmiasse, e io sono stata risparmiata per una ragione, perché possa usare questa seconda vita per aiutare gli altri.”- Autore:
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Una seconda vita
A Mingora intanto si era scatenato l’inferno: i genitori si sentivano colpevoli per aver incoraggiato Malala nelle sue battaglie, i giornalisti piovuti da tutto il mondo li inseguivano per avere notizie, una parte della popolazione diceva che tutta la vicenda era frutto di invenzione per farsi pubblicità.
Dell’attentatore si seppe subito il nome ma non venne mai rintracciato.
Malala si risvegliò la sera del 16 ottobre, una settimana dopo la sparatoria, con un tubo in gola per respirare e senza poter parlare.
Passava da uno stato di incoscienza a rari momenti di lucidità e, torturata da dolori atroci, dovette affrontare lo shock di essere lontana dai suoi, la vista del suo volto deformato dalla rasatura di mezza testa, la lunga cicatrice che le attraversava il volto.
Era terrorizzata e gli antidolorifici sedavano solo in parte i dolori.
La dottoressa Fiona non la abbandonava.
Lentamente fu aiutata a ricostruire l’accaduto, ad accettare la sua situazione, ad affrontare giorno per giorno nuove ipotesi di operazioni, un turbinio di stati d’animo, incubi minacciosi che la ossessionavano, non facili da affrontare per una ragazza di 15 anni.
Perché tanto odio? Che cosa l’aspettava? Sarebbe stata in pericolo la sua famiglia e suo padre? Avrebbe rivisto la sua terra e la sua casa? Chi erano gli attentatori? Sarebbe rimasta sfigurata per sempre?
Dopo 10 giorni i genitori la raggiunsero e la ritrovarono con i segni di una sofferenza profonda e le cicatrici deturpanti sul suo bel volto. Un nuovo intervento chirurgico riportò il volto di Malala ad un risultato estetico più accettabile.
Il mondo intero
Ma intanto la vicenda della giovane pakistana colpita a morte per difendere il diritto all’istruzione aveva attraversato il mondo intero. Tutti volevano sapere, volevano vedere la giovane perseguitata a cui avevano sparato alla testa. Giornalisti, ministri, capi di Stato chiedevano di essere ricevuti, di poterle portare regali, di parlarle.
Malala era diventata il simbolo dell’innocente perseguitato in ogni parte del mondo.
L’ideologia continuava ad armare gruppi di uomini che non arretravano dal colpire chiunque non accettasse le proprie regole, che non indietreggiavano neppure davanti ad una ragazzina di 15 anni. Ma l’attentato aveva anche rivelato l’esistenza e il coraggio di chi non si piegava supinamente, non rinunciava ad affermare il diritto alla libertà e all’istruzione.
Leggiamo il calvario delle lunghe sofferenze, delle operazioni, e interventi chirurgici ai quali l’Autrice ha dovuto sottoporsi, rivivendo nel sonno l’incubo dell’agguato, e accettando di vedere l’immagine del suo volto sfigurato.
“Compresi allora, dirà tempo dopo, che in realtà i talebani avevano realizzato il mio obiettivo di rendere globale la mia campagna”.
Una seconda vita
Dopo l’ospedale sono vissuti in un appartamento nel centro di Birmingham e uniti affrontarono nel nuovo paese che li ospitava, con lingua, abitudini, paesaggi e usanze diverse. È così passato il capodanno del 2013. Il 2 febbraio Malala subì l’ultimo intervento chirurgico con esiti positivi.
“Diventavo ogni giorno più forte, ma le operazioni chirurgiche non erano ancora finite. Mi mancava ancora un pezzo di calotta cranica. Inoltre i dottori erano preoccupati per il mio udito e dentro l’orecchio risuonava sempre un tintinnio che solo io potevo sentire. Sabato 2 febbraio ero di nuovo in ospedale per l’ennesima operazione…
Io so che è stato Dio a impedirmi di finire sottoterra. Ho l’impressione che quella che sto vivendo non sia più la mia vita ma una sorta di seconda vita. La gente ha pregato Dio perché mi risparmiasse, e io sono stata risparmiata per una ragione, perché possa usare questa seconda vita per aiutare gli altri.”
(pagg. 260, 262 )
Si trasferirono poi in un’altra villetta messa a loro disposizione. Malala frequentava una scuola senza incontrare particolari difficoltà né con le compagne né con le discipline, mentre il padre era invitato a conferenze per parlare della figlia, della situazione politica e sociale nel Pakistan, della formazione dei giovani e assieme cercavano di rimanere sempre in contatto con i parenti e gli amici.