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"Il treno dei bambini" 8 - Molti anni dopo

Curatore:
Leonardi, Enrico
Fonte:
CulturaCattolica.it
Dopo mesi e anni è arrivato il momento sempre aspettato e temuto.
E’ tempo di colmare il vuoto, di ritrovare nel silenzioso dialogo con la madre la sua presenza, il viso, i capelli sciolti, i gesti abituali, la sua voce "conservata nel nocciolo più antico della memoria".

Quarta parte - Molti anni dopo
Il romanzo riprende la narrazione nel 1994, quando il protagonista ha 58 anni.
È stato avvisato la mattina all'alba, ha preso l'aereo ed è arrivato a Napoli: la mamma è morta improvvisamente.
Nulla è cambiato in quella che un tempo lontano era stata la sua casa: nella cucina ogni cosa occupa il suo posto: il tagliere, la padella, il mestolo e la pasta è preparata per il pranzo. Già altre volte era tornato a Napoli, ma solo fuggevolmente, incontrandosi sempre fuori casa come voleva lei.
Dopo mesi e anni è arrivato il momento sempre aspettato e temuto.
E’ tempo di colmare il vuoto, di ritrovare nel silenzioso dialogo con la madre la sua presenza, il viso, i capelli sciolti, i gesti abituali, la sua voce "conservata nel nocciolo più antico della memoria".
Piccoli riti servono a rivivere il tempo passato: nell'osteria si fa servire la pasta con la provola con cui si riempiva la bocca da piccolo, per strada trova e mette in tasca una mela annurca come quella che Antonietta gli aveva dato alla partenza, percorre gli stessi viottoli.
"Ho lasciato che il tempo passasse e adesso è tardi".
Tardi per esprimere tutto l'amore per chi lo aveva allevato e nutrito accettando di staccarsi da lui perché quella era stata la sua volontà.
Nel giorno del funerale, "La luce fuori è così forte che, dentro, il buio sembra ancora più denso. È appena iniziata la pioggia, nonostante il sole, e nella Chiesa l'aria calda e carica di umidità. Tu sei lì davanti, al centro tra le due navate, la cassa di legno marrone appoggiata su una portantina di metallo con le rotelle, un mobile pronto per il trasloco.” In mezzo a tante persone presenti al funerale “Forse quello che ti conosce meno di tutti sono io". E nella vita ognuno sbaglia "quando se ne scappa in un'altra città cercando un destino diverso... Mi fermo nell'angolo opposto al pulpito, tiro fuori il violino dalla custodia incomincio a suonare. Abbasso l'archetto sulle corde, la Chiesa si riempie di un suono dolcissimo, che scende e sale e che in alcuni passaggi somiglia a un inno di gioia e non a un lamento di madre per la mancanza di suo figlio. È un'aria dello Stabat Mater di Pergolesi, ma tu non puoi saperlo. Tu non mi hai mai sentito suonare." (pagg. 190,191)

La funzione finisce.
Preso dai ricordi, Amerigo cerca la casa della Zandragliona per dissotterrare sotto il pavimento la scatola azzurra che sua madre gli aveva regalato, con piccoli tesori indimenticati. Lì incontrerà un vecchio dagli occhi intensi e dalle sopracciglia folte, quel Capa ‘e Fierro che ricordava nelle sue visite alla madre.
Ma il nome vero di Capa ‘e Fierro è scritto sopra la cassetta delle lettere: è Luigi Amerio e in quel nome è nascosta la rivelazione della paternità di Amerigo: da quel nome è derivato il suo.

Non c'è stato tradimento, Antonietta non ha mai cessato di amarlo.
Ora lo capisce.
Come ha scritto Etty Hillesum: ”Lasciar completamente libera una persona che si ama, lasciarla del tutto libera di fare la sua vita, è la cosa più difficile che ci sia.” (Etty Hillesum, Il cielo vive dentro di me) e così è stato.
Un quadro nuovo lentamente si ricompone, spariscono le distanze di tanti anni, i rapporti interrotti, le parole non dette. Le due metà spezzate di cui aveva parlato Tommasino nel viaggio di ritorno ora possono ricongiungersi.
Ma sarà il nipotino Carmine figlio di quel fratello che non ha mai conosciuto a segnare una svolta nel suo peregrinare: Maddalena glielo affida e mentre lo tiene per mano, il piccolo gli racconta della nonna e del suo affetto per lei.
Poi insiste perché tornino nella sua casa perché una sorpresa lo aspetta. Antonietta aveva nascosto un dono per Amerigo, da consegnargli un giorno per mano di Carmine: il piccolo violino che non era mai stato venduto, conservato sotto il letto. "Sei felice" gli ordina il bambino.

Al cimitero l'ultimo saluto per Antonietta è accompagnato da un fiore.
"Il fiore appassirà domani o dopodomani non importa. Il pensiero di te non sfiorirà: tutti gli anni che abbiamo passato distanti sono stati una lunga lettera d'amore, ogni nota che ho suonato l’ho suonata per te... Quello che non ci siamo detti non ce lo diremo più, ma mi è bastato saperti dall'altra parte di quei chilometri di strada ferrata, per tutti questi anni, con le braccia strette a croce sul mio cappottino. Per me è lì che resti. Aspetti, e non vai via" (pagg.228, 229)
Quando si prepara a partire, Carmine lo viene a salutare e Amerigo gli promette che tornerà per lui e che lo deve aspettare.
Gli regala il suo violino di un tempo: un dono ricevuto e dato per un nuovo legame, un affetto che ora lo invade e lo commuove.
Sulla banchina soffia un vento freddo e per l’ultima volta prima di andarsene Amerigo si gira indietro
"Si sta bene nel vagone, il treno procede silenzioso, non fa né caldo né freddo, le voci intorno mi cullano in un lieve brusio. C'è molto tempo davanti a me, ma non ho fretta, il viaggio più lungo l'ho già fatto: ho dovuto percorrere a ritroso tutta la strada fino a te, mamma” (pag.232)
E le sue parole sono di chi ha ritrovato l'amore per la madre e attraverso di lei l'amore e il perdono a se stesso.

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