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"Il treno dei bambini" 3 - Lo scugnizzo Amerigo e il dialetto napoletano

Curatore:
Leonardi, Enrico
Fonte:
CulturaCattolica.it
Amerigo è contemporaneamente più piccolo e più grande della sua età. Vive per strada, ma non è scolarizzato, ha fatto tante esperienze ma non sa cosa sia il calore di una famiglia. Ma rimane comunque un bambino: per lui il reale si intreccia sempre con un mondo magico, che è il suo mondo interiore.

E’ stato chiesto alla Ardone come sia riuscita a rendere tanto credibile la voce e la parlata del piccolo protagonista della storia degli anni ‘40.

“Nel caso di Amerigo, ho iniziato a sentirlo parlare prima ancora di iniziare a scrivere. Come se fosse un bambino vero, divertente, petulante, saccente, tenerissimo, che mi tirava per la mano e mi portava dove voleva lui. Io lo seguivo con curiosità, docilmente, perché era l’unico modo per conoscere la sua storia.
Dare la voce a un bambino di sette, otto anni nella Napoli del secondo dopoguerra non è stato sempre semplice. Bisognava che in ogni pagina fosse lui a parlare, vedere, camminare, non io... Amerigo è contemporaneamente più piccolo e più grande della sua età. Vive per strada, ma non è scolarizzato, ha fatto tante esperienze ma non sa cosa sia il calore di una famiglia. Ma rimane comunque un bambino: per lui il reale si intreccia sempre con un mondo magico, che è il suo mondo interiore.”
Quanto alla lingua: “La verità è che, come si dice in gergo musicale, sono andata “a orecchio”. Mi spiego: il napoletano che ho avuto in testa, e proprio “nelle orecchie”, scrivendo questa storia è quello che ho sentito dalle mie nonne, che anche quando si esprimevano in italiano avevano una cadenza particolare, una metrica del parlato fatta di accenti, pause, accelerazioni. È un napoletano delle persone “antiche”, molto diverso da quello parlato oggi dai giovani o nelle fiction, che è invece duro, tagliente, provocatorio. Cercando quella cadenza antica mi è parso di dialogare di nuovo con le mie nonne, di ascoltare ancora le loro cantilene piene di ironia e di dolcezza.”(Giuditta, Intervista a V. Ardone. Chiacchierando (per la seconda volta) con V. Ardone 25 settembre 2019)
E la Ardone descriverà e darà spessore e carne ai suoi personaggi, dipingendo caratteri e stati d'animo, servendosi di questo linguaggio particolare misto di italiano e dialetto napoletano molto espressivo: ora ci rievoca parlate antiche, ora spinge al riso, ora ci fa penetrare nella psicologia profonda del piccolo protagonista con i suoi pensieri nascosti, i giudizi schietti, le sue espressioni spontanee e colorite.

Con uno scarabocchio a forma di croce Antonietta sottoscrive l’autorizzazione alla partenza, ma per Amerigo non cambia nulla nella sua vita di scugnizzo per le vie di Napoli, fra piccoli scherzi e burle a chi gli capita a tiro.
Un giorno con l'amico Tommasino inventa una strategia per guadagnare un po' di soldi: siccome al mercato accanto ai pappagalli e ai cardellini ci sono i criceti che ottengono molto successo, decidono di catturare dei topi, di dipingerli di bianco e marrone e venderli spacciandoli per criceti.
Purtroppo durante la vendita si mette a piovere, i colori spariscono e compaiono in tutta la loro bruttezza i topi.
Se non c'era Capa ‘e Fierro a salvarli sarebbero stati ammazzati di botte.

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