Il secondo piano 3 - Accolti nel convento - Don Giacomo

Era stata per loro una notte tragica segnata da sgomento e terrore: non sapevano dove scappare, come nascondersi, fino al momento in cui altre suore di un convento vicino avevano suggerito di provare a rivolgersi al loro monastero.
Curatore:
Leonardi, Enrico
Fonte:
CulturaCattolica.it ©
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Il racconto
Accolti nella grande cucina del pianoterra, il vecchio aveva iniziato a parlare con voce incerta e aveva raccontato ciò che era successo nella notte: l’allarme per i tedeschi che avevano circondato il Ghetto, gli incendi, la fuga precipitosa, l’arresto di quegli sfortunati che erano stati prelevati a forza e convogliati sui treni che portavano direttamente ad Auschwitz.
Era stata per loro una notte tragica segnata da sgomento e terrore: non sapevano dove scappare, come nascondersi, fino al momento in cui altre suore di un convento vicino avevano suggerito di provare a rivolgersi al loro monastero.
Terminato il racconto, ”la cucina del convento fu travolta da un’ondata di angoscia”, ma il mormorio leggero delle preghiere alle quali subito le suore si erano affidate, rasserenò gli animi e i sette ospiti sentirono di trovarsi in un luogo sicuro.
Il convento era di recente costruzione, un po' isolato, con finestre rettangolari, distribuito su due piani con locali per la scuola, un giardino, la cucina e le stanze di servizio a piano terra, mentre al primo piano si trovavano la cappella e le camere delle suore.
I nuovi venuti, rifocillati, furono accompagnati al secondo piano, sgomberato da vecchi mobili, con stanze che furono prontamente attrezzate con letti, materassi, coperte, sedie e qualche tavolino, dove vennero depositati i pochi bagagli che il gruppo aveva salvato durante la fuga. Era per loro la sistemazione migliore: lontano dal piano terra dove poteva arrivare gente sconosciuta e sopra le stanze delle suore, dove i rumori non avrebbero creato problemi e sospetti soprattutto nel giardiniere Remo filonazista, che quotidianamente veniva a curare l’orto e le piante.
Giunta l’ora in cui le suore si ritiravano nelle loro stanze, ognuna aveva ripensato alla giornata trascorsa annotando su un diario gli avvenimenti, le reazioni, lo stupore e le paure provate e confidando nella presenza del Signore che certo non le avrebbe abbandonate.
E il benefico silenzio della notte si era steso infine sul convento e su tutti i suoi abitanti, dopo quella giornata imprevedibile e avventurosa.

Don Giacomo
Nel capitolo successivo leggiamo che in tarda mattinata il cappellano, don Giacomo, benedettino, si era diretto verso il convento per confortare e tranquillizzare le suore spaventate dalla difficile situazione che stavano vivendo.
Aveva camminato a lungo prima di raggiungere l’edificio di via di Poggio Moiano e mentre procedeva aveva osservato i muri di Roma che “parlavano della disperazione della città...e i grandiosi monumenti, vestigia di un passato immortale, avvolti nella tristezza”. Sentiva dentro di sé lottare sentimenti di oppressione e di sconforto, ma era lieto di recarsi dalle suore perché il loro quieto fervore gli riportava la serenità.
Le suore si rassicurarono sentendolo affermare che altri conventi e luoghi di clausura stavano ospitando ebrei in fuga. Dunque non facevano nulla di sbagliato e di non approvato dal Pontefice, che conosceva bene i danni provocati nelle strade dagli scontri fra occupanti e militanti del Comitato di Liberazione e la caccia agli ebrei casa per casa .
Scritti in corsivo, si alternano e si affiancano nel romanzo le vicende che si svolgono nel piccolo convento e gli avvenimenti riguardanti la situazione di Roma in quei tragici giorni del 1943 e con rievocazioni drammatiche scorre nelle pagine del libro il racconto di una città sopraffatta dell’occupazione nazista, lo sbandamento dell’esercito dopo la fuga dei reali e del governo, la difficoltosa avanzata degli alleati, le azioni del Comitato di liberazione clandestino, l’ordine improvviso di Hitler di uccidere ottomila ebrei, i chiodi disseminati sulle strade per bloccare il passaggio delle camionette tedesche, la caccia spietata agli ebrei, irrompendo in case e istituti. E dall’Italia erano già partiti treni che avevano nella lontana terra di Polonia la loro triste destinazione. Si erano spalancati i cancelli di Auschwitz-Birkenau e dopo un viaggio soffrendo la fame, il freddo, la sete e il terrore, ottocento fra uomini donne e bambini ebrei erano giunti là dove li aspettava un tragico destino.

L'immagine: https://www.romatoday.it/attualita/civico-giusto-via-poggio-moiano.html