Il secondo piano 2 - L'inizio della storia

Le suore sapevano bene che erano ebrei e che dovevano nascondersi. I rastrellamenti dei tedeschi in quel 16 ottobre del 1943 si erano appena conclusi nel Ghetto e avevano portato all’arresto di 1259 persone fra uomini, donne e bambini, e tutta la città era in allarme, attraversata da fuggitivi in cerca di asilo e protezione.
Curatore:
Leonardi, Enrico
Fonte:
CulturaCattolica.it ©
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L’inizio
Il primo capitolo si apre con il suono di un campanello che rompe il silenzio del convento e raggiunge una suora occupata con la biancheria stesa:
”Deciso e prolungato, il suono superò la vetrata che dava sul giardino e arrivò a suor Lina che stava raccogliendo le lenzuola stese ad asciugare... Lo sentì bene ma decise di non precipitarsi al portone. Ci sarebbe andata qualche altra sorella, lei aveva cose più urgenti da fare”.
Subito vediamo messe in campo come protagoniste della storia un pugno di suore francescane della Misericordia che abitavano il convento di Poggio Moiano e svolgevano ognuna, come vedremo, il proprio compito con la propria personalità, carattere, abitudini, problemi.
Quando il campanello era suonato di nuovo, la giovane novizia si era avviata verso il massiccio portone.
“Erano in sette, fermi sul piccolo piazzale: un uomo anziano, una donna non più giovane, una ragazza, una coppia, una ragazzina, un bambino.” Ci mandano le maestre di via Botteghe Oscure. Sono arrivati… volevano prenderci… hanno detto che potete ospitarci… Possiamo entrare?”(pag.13).
Una seconda suora, energica, ”autoritaria e placida al tempo stesso” era scesa dal primo piano per farli entrare, mentre Suor Lina, intenerita dalla presenza e dallo sguardo furbo di Lele, il bimbetto di cinque anni entrato col gruppo, si affrettava a porgergli una fetta di pane con un po’ di marmellata, subito addentata con gran gusto.

Suor Ignazia
Allarmata dal vocio delle suore e dal rumore del portone spalancato, suor Ignazia, la Superiora delle Suore Francescane della Misericordia, si era avvicinata con ”passo lieve e il viso austero” ai nuovi venuti. Viveva da molti anni in Italia, ma era nata in Germania e non aveva perso il tipico accento della patria d’origine con cui si rivolse ai nuovi venuti.
Col tono tranquillo che le era abituale li invitò a farsi avanti, a prendere posto in cucina e a scaldarsi davanti alla stufa.
Lì si erano raccolte intanto le altre suore presenti in convento: suor Elisabetta, Suor Benedetta, Suor Maria, e, la più anziana, sette in tutto.
Le persone entrate non erano spinte dalla fame come gli altri mendicanti e viandanti che arrivavano quotidianamente numerosi al convento in cerca di cibo. Chiedevano di poter essere ospitate, di trovare un rifugio dove fuggire alle razzie naziste.
Le suore sapevano bene che erano ebrei e che dovevano nascondersi. I rastrellamenti dei tedeschi in quel 16 ottobre del 1943 si erano appena conclusi nel Ghetto e avevano portato all’arresto di 1259 persone fra uomini, donne e bambini, e tutta la città era in allarme, attraversata da fuggitivi in cerca di asilo e protezione.