Havel. Una vita 6 - "Il potere dei senza potere" - Il carcere
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Il potere dei senza potere.
Da questo fervore spirituale culturale e politico era nato il testo “Il potere dei senza potere”, “espressione dell’amore di Havel per le persone, perché non venissero manipolate dal potere” come leggiamo nell’”Interrogatorio” (pag. 102).
Nelle prime pagine spiega che il sistema post-totalitario si diversifica da quello totalitario per la forza con cui impone subdolamente la sua ideologia:”In esso la vita è percorsa da una rete di ipocrisie di menzogne: il potere della burocrazia si chiama potere del Popolo ... la totale umiliazione dell'uomo viene contrabbandata come la sua liberazione, l'isolamento delle informazioni è chiamato divulgazione, la manipolazione autoritaria è chiamata controllo pubblico del potere, il soffocamento della cultura si chiama suo sviluppo… la mancanza di libertà di espressione come la forma più alta di libertà, la farsa elettorale come la forma più alta di democrazia, l'occupazione viene spacciata per aiuto fraterno...Per noi, invece -afferma- conta che si riesca a vivere, che il sistema serva l'uomo e non viceversa e per questo combattiamo con tutti i mezzi con cui possiamo lottare e con cui ha senso lottare” (Il potere....pagg.17 e 47) e per Havel il lavoro dei movimenti dissidenti è” il servizio per la verità” (Ibidem, pag.78)
“Patocka diceva che quello che è più stimolante nella responsabilità è che la portiamo con noi ovunque. Questo vuol dire che abbiamo e dobbiamo assumerla qui, ora, in questo spazio e in questo tempo in cui il Signore Dio ci ha posto.” (Ibidem, pag.82), e ciò dunque esige da Havel una risposta.
“La prospettiva della rivoluzione esistenziale è soprattutto prospettiva di una ricostituzione morale della società, cioè un rinnovamento radicale del rapporto autentico dell'uomo con quello che ho chiamato ordine umano… una nuova esperienza dell'essere, un rinnovato ancoraggio all'universo, una riassunzione della responsabilità suprema. Ecco evidentemente la direzione in cui procedere” (Ibidem, pag.98)
Carcere
Il 29 aprile 1979 veniva arrestato con altri 15 membri del VONS per attività sovversiva e condannato a 4 anni e mezzo di carcere senza condizionale. Il regime tentò una carta con cui poteva sbarazzarsi di questo avversario politico pericoloso perchè conosciuto e ammirato, l’arresto del quale aveva suscitato un’ondata di sdegno a livello internazionale. Gli fu offerta una borsa di studio teatrale di un anno a New York: libertà contro detenzione. Ma Havel, dopo una lunga riflessione e dopo aver consultato Olga, rifiutò e dichiarò in seguito di non essersene mai pentito: “Darò loro cinque anni della mia vita, ma non un giorno di più” (Havel.Una vita, pag. 274) disse a Olga durante una delle sue visite in prigione.
Quello che sappiamo di questi anni si basa sui successivi racconti di come, detenuto, egli lavorasse come saldatore e venisse spesso messo in isolamento per aver infranto le regole vigenti nella prigione. L'altra fonte è costituita dalle 144 Lettere inoltrate alla moglie quasi settimanalmente, raccolte nel volumetto Lettere a Olga diffuse in un primo tempo attraverso il samizdat e poi pubblicate all’estero e tradotte in molte lingue europee.
Nelle prime Lettere del ‘79 vengono trattati aspetti della sua vita in carcere e problemi concreti: le bollette da pagare, le scadenze da rispettare, l’attesa dei pacchi con le cose che aveva chiesto, lo svolgersi del lavoro allo stabilimento, le piccole feste organizzate fra carcerati, i dolori che lo attanagliano, i libri letti, l’umore alterno, e si intravede anche in alcune di esse la preoccupazione di recuperare con la moglie un rapporto che evidentemente stava attraversando un periodo di crisi, crisi che sembrerebbe essere stata superata da quello che si legge negli ultimi scritti.
Gli scacchi e la Messa
In prigione passava il tempo guardando la televisione, dedicandosi un po' agli studi del Tedesco e del Francese, giocando a scacchi, e “il gruppo scacchistico era in realtà una copertura di facciata per celebrare la messa clandestina celebrata da un sacerdote domenicano oggi primate della chiesa ceca… potrebbe essere considerato come il momento di partecipazione religiosa più importante nella vita di Havel” (Havel.Una vita, pagg 298, 299).
In seguito egli affermò che quei momenti gli avevano procurato un vero conforto e una grande forza spirituale, aiutandolo a comprendere sempre più profondamente il Cristianesimo, anche se Havel non si mostrò mai un cattolico praticante, pur parlando di Dio come dell’”Orizzonte senza il quale niente avrebbe significato e io stesso non esisterei nemmeno” (Lettera scritta nell’agosto 1980 in La vera fede di Vaclav, Angelo Bonaguro, Il Sussidiario,29-11-2011)
Nella Lettera 41 del 1980 a un anno circa dal suo internamento, leggiamo pensieri e interrogativi che nel tempo diverranno temi costanti della sua riflessione religiosa, dell’impegno del suo io con la vita: il senso dell’esistenza, l'importanza della responsabilità, l’ “orizzonte” e l’esistenza dell'Essere Supremo in cui inscrivere ogni azione, la fede.
Nella riflessione e nella scrittura Havel sentiva salvata la sua dignità di uomo, sia pur privato della libertà.
Ecco alcuni passaggi: ”In questo luogo volenti o nolenti ci si pone spesso la domanda se tutto abbia un senso e quale esso sia.. -e si chiede- verso che cosa un uomo è responsabile? Con che cosa egli si relaziona? Qual è l'orizzonte ultimo della sua condotta: il punto di fuga assoluto di tutto ciò che fa? Qual è la misura, definitiva, lo sfondo oppure lo spazio di ogni sua esperienza esistenziale?...Sin dall'infanzia sento che io non sarei me stesso, un essere umano se non vivessi in continua tensione verso un orizzonte, sorgente di significato e di speranza. La questione della responsabilità personale è per me la chiave del problema dell'identità dell'uomo. Il mistero dell'uomo è il mistero della sua responsabilità.” (Ibidem, pag.44) Responsabilità legata alla ricerca del senso della vita, “dal quale-affermava- discendono tutti gli altri obiettivi, compreso quello politico”.( Lt.41).
E nella Lt. 64 a proposito della fede leggiamo: ”Soltanto l'uomo di Fede, nel senso più profondo del termine è in grado di vedere le cose per come sono veramente e di non distorcerle in un modo o in un altro...”
Havel afferma anche in una sua Lettera successiva n. 96 che ”la tentazione del nulla è enorme onnipresente e l'uomo è da solo ad affrontarla, debole e disarmato eppure sono convinto che non esista niente in questa valle di lacrime che possa togliere all'uomo la speranza, la fede e il senso della vita”.
Nell'ultimo gruppo di Lettere 129-144 scritte a Plzen-ory fra il maggio e il settembre del 1982, le sue riflessioni raggiungono livelli ancora più intensi: la vita come ricerca e ritrovamento della pienezza dell'Essere, la responsabilità del proprio agire come cammino verso di Lui (Lt. 137). “Essere gettati nel mondo ci rivela il nostro stato di separazione... essere gettati nell’origine dell’Essere, al contrario, risveglia in noi la trascendenza di sé,.. la quasi identificazione con l’Essere tout court, principio misterioso ed essenza di tutto ciò che è” (Lt.144, pag.433)
E in ogni uomo la coscienza è quella ”Voce dell'Essere che non può essere zittita, sappiamo che ci chiama, e come persone non possiamo non sapere a cosa ci chiama“( L.142)
Con queste parole si chiude l’ultima Lettera: ”Sì ,l'uomo è inchiodato come Cristo sulla croce... trascinato in basso dalla disperazione di un’esistenza nel mondo da un lato e dall'irraggiungibilità dell'assoluto dall'altro, egli sta in equilibrio tra il tormento di non conoscere la propria missione e la gioia di portarla a compimento, tra il nulla e la pienezza di senso e, come Cristo, è di fatto vittorioso grazie alle sue sconfitte.. Attraverso la morte, la sua ultima sconfitta, trionfa definitivamente sulla propria disgregazione: imprimendo per sempre il proprio profilo nella memoria dell'Essere, ritorna infine nel grembo dell'Essere integrale.”( Lt 142 )
In un'intervista da presidente gli è stato chiesto se in carcere date le sue dichiarazioni si fosse convertito. Così Havel ha risposto: ”Una reale conversione significa collocare al posto di un indefinito “qualcosa”, un Dio inequivocabilmente personale e accettare pienamente Cristo come figlio di Dio. Questo passo non l'ho fatto.”(Intervista, pag.65)