Giovanni Peretti, Togo Afagnan, VII missione umanitaria
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Quando e perché si prende la decisione di scrivere le proprie esperienze di medico chirurgo, volontario, in un paese sconosciuto del Togo?
L’Autore del libro Togo Afagnan, VII Missione Umanitaria, prof. Giovanni Peretti, già Ordinario in Clinica Ortopedica presso l’Università di Milano risponde così a questa domanda nella Premessa del libro: Quello che mi ha spinto a prendere la penna per scrivere non è la povertà, la miseria, la malattia, la fame, che sono oggetto abituale delle descrizioni dell’Africa, ….sono stato spinto a scrivere ripensando alla gente, al carattere delle persone, alla capacità di sopportare il dolore, alla accettazione delle condizioni di vita, qualunque esse siano, alla lotta per la sopravvivenza, alla rassegnazione.
Tutto ha inizio nel 2006, quando l’aiuto di Peretti, dott. Walter Albisetti, tragicamente mancato nell’estate del 2013, gli fa la proposta di andare ad operare in un ospedale africano dei Fatebenefratelli, dove egli già svolgeva da anni attività di volontariato, per intervenire sulla situazione igienica e sanitaria degli abitanti di Afagnan, un villaggio del Togo nell’Africa Occidentale.
L’adesione all’invito non è stata immediata. L’Autore spiega nelle prime pagine che la particolarità della proposta, l’età (aveva allora 69 anni), la lontananza, il rischio di malattie lo trattenevano, ma l’incontro con Fra Pascal, un giovane africano medico, allora appena laureato ed oggi specialista in chirurgia ortopedica, dell’Ordine dei Fatebenefratelli, che assisteva i pazienti del Togo con generosità ed entusiasmo, lo ha convinto: quella poteva essere per lui l’occasione di mettere a disposizione le proprie competenze e di fare qualcosa di buono e utile per chi è povero e ha bisogno di cure.
Così si è costituita la I^ Missione dell’equipe medica formata da Peretti e dal figlio Giuseppe, accompagnati da giovani allievi della scuola di Ortopedia, partita da Linate con destinazione Africa.
Togo Afagnan è il racconto dei viaggi organizzati anno dopo anno dal 2006 ad oggi, dell’instancabile lavoro medico svolto nell’Ospedale del villaggio, della conoscenza via via acquisita del luogo e dei suoi abitanti, della gratitudine provata da chi scrive e dai suoi collaboratori per gli incontri fatti e le esperienze vissute.
Ogni capitolo del libro è accompagnato da belle fotografie che ritraggono i protagonisti delle spedizioni, i luoghi attraversati, i padiglioni ospedalieri, i pazienti e le patologie su cui l’équipe è intervenuta.
Questo testo è un dono prezioso per chi legge. Si viene a contatto con la realtà sconosciuta e affascinante di questo villaggio, dove il livello di vita è povero, anche se non poverissimo da quando è stato costruito il grande Ospedale voluto dai Fatebenefratelli, dove le abitazioni e le aule scolastiche sono fatte di fango e prive di intonaco, i mercati disordinati appaiono ricchi dei colori della frutta e dei costumi di venditori e clienti, gli animali domestici e le galline razzolano ovunque, i negozi sono costituiti da uno scaffale con tre sole mensole dove esporre i prodotti, le bancarelle improvvisate davanti alle abitazioni offrono gli oggetti più disparati costruiti artigianalmente e in vendita sulla strada principale, e il paesaggio è fatto di strade sterrate e polverose, con qualche striscia di asfalto.
Arrivare all’Ospedale di St. Jean de Dieu in Afagnan è come trovarsi improvvisamente in un’oasi nel deserto, scrive l’Autore, riportando le impressioni ricevute dopo il suo primo arrivo: in un bellissimo territorio circondato da un muretto si trovano le armoniose costruzioni per i pazienti, gli edifici per il personale medico, per le suore, per i frati, la scuola per i piccoli ricoverati, la cappella e una piccola statua della Madonna posta in una grotta in mezzo al giardino, dove i fedeli si raccolgono a pregare nei vari giorni della settimana: tutto appare curato e pulito.
Qui si svolge la vita e il lavoro del personale medico e paramedico.
Solitamente ci si alza al canto del gallo: chi vuole partecipa alla messa, per poi recarsi nei padiglioni centrali e la mattina viene sempre impiegata per le visite ambulatoriali e, tra il mattino e il pomeriggio, l’équipe arriva a visitare 40 e più pazienti da operare nei giorni successivi.
L’ambulatorio di ortopedia è sempre affollato da malati che aspettano pazientemente e talora per ore il loro turno, senza alcun vocio o protesta di sollecito. Gli interventi su bambini con i piedi torti sono attualmente ancora i più frequenti, ma varie e numerose sono le patologie e le gravi deformità agli arti. Le fotografie presenti nella sezione centrale del libro, spesso impressionanti, mostrano bambini e giovani prima e dopo gli interventi chirurgici, e ritraggono anche la soddisfazione degli appartenenti all’équipe e dei pazienti, dopo la buona riuscita delle operazioni. E guardando i pazienti, scrive Peretti, si riflette e si impara dal loro comportamento dignitoso e paziente, dal coraggio con cui affrontano le difficoltà della malattia, senza lamentarsi per la sofferenza fisica e dalla gratitudine che esprimono per chi ha cura di loro.
La poliomielite è ancora presente nella popolazione, perché il vaccino, a disposizione gratuita, ma non obbligatorio, richiede infatti di recarsi in ambulatori lontani e disagevoli da raggiungere e talora è ancora evitato, per paura o ignoranza. I suoi esiti sono drammatici: l’attività dei muscoli viene paralizzata e la chirurgia può solo correggere o stabilizzare, rendendo necessario un forte impegno del paziente per il recupero motorio. I tutori, in molti casi indispensabili, non sono sempre acquistabili perché costosi.
La povertà nell’Africa Occidentale è ancora ingente e si sa che solo il Ghana può considerarsi un’eccezione dal punto di vista strutturale ed economico. Il problema ad Afagnan oltre alla urgenza delle cure e degli interventi, è anche costituito dal rinvenimento di strumentazioni adeguate, che generalmente si riescono a procurare per i successivi viaggi, dalla necessità di intervenire, là dove sia possibile, sull’istruzione, le norme igienico-sanitarie, le terapie adeguate, la ricerca di farmaci e di strumenti chirurgici, i fondi da trovare. E il libro del prof. Peretti viene venduto a tutti coloro che lo richiedano, sapendo che gli utili ricavati sono destinati alle cure dei bambini di Afagnan.
Nei giorni di soggiorno della missione, dalle 7.30 alle 19 o oltre, l’équipe è costantemente impegnata in sala operatoria e la sera, uscendo dall’Ospedale quando ancora la luce del giorno non si è spenta, medici e paramedici si ritrovano per un rapido consuntivo della giornata, godendo della reciproca compagnia e del meraviglioso spettacolo offerto dai tramonti in terra d’Africa, quando il cielo si colora di rosso e di giallo e si iniziano a vedere la luna e le stelle di una luminosità crescente e sconosciuta a chi abita nelle grandi città dove appaiono sfuocate e lontane.
Molto toccanti sono le pagine dedicate alla descrizione dei famigliari dei pazienti: essi assistono amorevolmente i ricoverati, li aiutano ad alimentarsi, controllano le terapie, conservano pulite le persone e gli ambienti e questo aiuto viene dato con grande generosità e serenità, soprattutto dopo gli interventi in sala operatoria dove il personale medico e paramedico è ben addestrato e formato da lavoratori disponibili, ognuno dei quali si offre di dare il proprio contributo molto più a lungo di quanto sia normalmente prescritto.
Fra’ Pascal e Suor Simona, rispettivamente ortopedico e chirurgo generale, vengono spesso citati dall’Autore quali validi professionisti determinanti nella conduzione dell’Ospedale, perché onnipresenti e instancabili in sala operatoria. Fra’ Pascal, recentemente nominato uno dei quattro consiglieri dei Fatebenefratelli nel mondo, è attualmente responsabile dell’andamento di tutti gli ospedali dell’Ordine in Africa e nelle Americhe.
La bontà e generosità degli abitanti di questa zona dell’Africa si manifesta nell’aiuto reciproco nella vita quotidiana del villaggio, durante le permanenze all’ospedale dei degenti e in particolar modo nei casi in cui una donna che partorisce nei villaggi, senza assistenza medica, può morire di parto (ciò avviene con una percentuale di 1 su 16), lasciando i figli, talvolta numerosi, senza una famiglia, perché spesso abbandonati dai padri. I vicini di casa, con pronta sollecitudine prendono allora con loro i bambini orfani e li allevano come propri figli, accettando di condividere il poco che hanno. Vediamo, scrive l’Autore, la povertà scolpita sui visi dei bambini che giocano per le strade e delle madri che li accudiscono, ma la vediamo soprattutto nelle abitazioni che, non solo sono costruite con mattoni di fango e paglia, coperte con lamiere e frasche, ma molte volte sono costituite da un’unica o poche stanze che servono per dormire, per mangiare, per ripararsi dalla pioggia e nelle quali sovente non esiste una cucina né un bagno.
Non eccezionalmente capita all’équipe di essere invitati a cena a casa di un infermiere che gestisce anche un piccolo bar nei pressi dell’Ospedale e con molto gusto si apprezza il cibo offerto come l’igname, un tubero simile alla patata, molto buono se appena fritto, il riso, gli spiedini fatti con carni di animali non ben identificabili, la manioca condita con salse piccanti, l’ottima frutta fresca e appena colta. Chi ospita lo fa sempre con gioia e i commensali, terminata la cena, raccolgono una piccola offerta da porgere come contributo alle spese e l’ospite generalmente mostra di gradire questo pensiero.
Oltre al mondo del villaggio e dell’ospedale, le pagine di Togo Afagnan richiamano sinteticamente la storia del Togo e le caratteristiche geografiche ed economiche della regione, che è povera per scarsità di risorse comunque mal sfruttate, descrivono le abitudini della gente togolese e le cerimonie più importanti come i funerali che spesso si protraggono per più giorni e variano a seconda che i defunti siano cristiani, musulmani o vuduisti, cui appartiene il 50% della popolazione, e sono accompagnati da riti particolari, feste e danze.
Abbiamo parlato di un libro che offre esperienze preziose non solo per il lettore, ma anche per l’Autore che nella Presentazione scrive: Fin dalla prima missione abbiamo capito che andare ad operare in Togo rappresentava un motivo di grande arricchimento come esperienza clinica e chirurgica, ma soprattutto come esperienza umana ed abbiamo capito che, per quanto ci dessimo da fare per loro in interventi, in aiuti economici e culturali, era molto più quello che noi ricevevamo da loro di quanto fosse quello che noi potevamo dare.