"Domani? Forse!" 6 - L'incontro col padre nel carcere di Gaeta
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Dopo tanto tempo quell’uomo ferito ma non abbattuto stava riprendendo con la sua presenza reale il posto lasciato vuoto per molti anni.
Finalmente riuniti e lasciati soli, potevano parlarsi, manifestare il loro amore e sentire che lo sconforto non aveva vinto. Ognuno di loro aveva attraversato l'oscurità senza lasciarsi sopraffare.

I sogni
Talvolta i suoi sogni di bambino comparivano abitati da grandi macchie che invadevano inaspettatamente il suo vestito pulito, oppure erano provocate da un cameriere sbucato dal nulla che rovesciava improvvisamente su di lui un vassoio con del cibo. Si ritrovava ingiustamente sporcato, macchiato.
La carcerazione di suo padre gli faceva vivere la percezione di essere diverso dagli altri, di essere indelebilmente segnato (questo il significato della macchia ricorrente nei sogni), anche se la sua vita con gli amici non ne risentiva particolarmente.
La prima inattesa straordinaria telefonata a casa avvenne il 20 giugno 1954 grazie al cappellano del carcere don Domenico, e a lui è espressa nel libro una profonda gratitudine.
Come poi raccontò suo padre, il religioso aveva voluto conoscere la storia di Mario, aveva creduto nella sua innocenza, e aveva chiesto e ottenuto di potergli far sentire la voce dei suoi familiari.
Seconda parte
L’incontro
Con questa telefonata da Gaeta possiamo dire che inizia la seconda parte del libro: dove compaiono le prime luci nel buio (come dice il titolo delle nostre letture), i primi bagliori di ripresa e di speranza.
Arrivò, poco tempo dopo, la telefonata del comandante del carcere Pansera: comunicò a Livia che potevano venire tutti e tre a Gaeta e incontrarsi con Mario.
Renzo aveva allora 12 anni e mezzo, e non vedeva più suo padre dal 17 dicembre 1949.
Trepidazione e commozione si alternavano durante il viaggio verso Gaeta. Renzo aveva 12 anni e mezzo. Come sarebbe stato l'incontro dopo cinque anni? Come si sarebbero ritrovati? Che cosa si sarebbero detti?
Né Rosanna, né io lo avevamo però più visto. Ed ecco che ora, lì su quel lato spuntone di roccia a picco su un bellissimo mare azzurro, quasi all'improvviso, il tempo apre le sue porte, anzi le spalanca e il buio durato anni viene squarciato da un lampo accecante. Un turbine, un vero tornado. Insicurezze ansie, timori e paure lottavano dentro di noi, ma in questo turbine faceva capolino la fervida speranza e il forte desiderio di rivederlo. Dunque, era arrivato il tanto desiderato e temuto momento. Io non realizzavo con chiarezza e razionalità ciò a cui stavo andando incontro. C'era di mezzo uno spazio temporale lunghissimo, una cittadina sul mare che non avevo mai visto, Gaeta, un carcere (che parola tremenda… ) in un vecchio attraente castello che dall'alto di un grande promontorio roccioso a picco sul mare dominava incombeva su tutto il golfo.
C'era di mezzo un distacco fisico relazionale che durava da tanti anni e c'era che io, che avevo cinque anni di più, non ero più un bambino gracile spesso ammalato.
Non ero più il bambino nascosto dietro il paracarro. C'erano di mezzo due realtà così diverse che non riuscivo a far coincidere: il carcere e la libertà. (pag. 84)
Il portone del forte appariva enorme nel ricordo, con serrature e rinforzi metallici. C'erano soldati e sentinelle ovunque. Il comandante Pansera li aspettava rassicurante e sorridente. Dopo poco ecco finalmente apparire il prigioniero e le paure si sciolsero.
Mario non sembrava molto cambiato: era pulito nella sua divisa da carcerato, ben pettinato, sereno. Era molto commosso, ma sorridente, e fra le lacrime si abbracciarono e si strinsero gli uni agli altri.
Dopo tanto tempo quell’uomo ferito ma non abbattuto stava riprendendo con la sua presenza reale il posto lasciato vuoto per molti anni.
Finalmente riuniti e lasciati soli, potevano parlarsi, manifestare il loro amore e sentire che lo sconforto non aveva vinto. Ognuno di loro aveva attraversato l'oscurità senza lasciarsi sopraffare.
Il giorno successivo a quel primo incontro un altro inatteso evento, un nuovo dono li aspettava, una festa organizzata apposta per loro: una grande sala da pranzo li aveva accolti: la tavola era apparecchiata con cura e i camerieri, gli amici di Mario, detenuti come lui, servivano in guanti bianchi, contenti di poter condividere la gioia di quella famiglia riunita.
Mentre leggevo queste pagine mi tornava alla mente il romanzo Giobbe di Joseph Roth e mi sembrava che la storia di questi due uomini fosse molto simile: anche Giobbe era stato colpito da un nemico maligno, privato dei figli e di ogni suo bene, proprio come quel padre di cui stavo leggendo la storia, e anche lui ad un certo punto era stato ricompensato dal Signore per la sua fedeltà e accettazione delle prove subite e delle privazioni.