Eutanasia: chi è il padrone della tua vita? - 3

Come sempre, le opere di questo genere aiutano in qualche modo ad entrare nelle problematiche di attualità.
Fonte:
CulturaCattolica.it
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Il racconto “The Test” di R. Matheson, di cui abbiamo sommariamente indicato le linee principali, risale al 1958. Non tragga in inganno la sua struttura apparentemente didascalica: siamo al culmine del periodo della “social science fiction” (fantascienza sociologica) e nuove tematiche entrano nell’orizzonte degli scrittori, che però le pongono “in situazione”: drammi umani delle novità future. Avrà sicuramente suscitato scalpore, se non scandalo, la trattazione del tema dell’eutanasia negli anni Cinquanta del secolo XX. Del resto, è un’esperienza che molti di noi hanno provato; nel 1974 si diceva: “Il divorzio va bene, ma l’aborto non lo permetteremo mai”; nel 1981 poi: “L’aborto va bene, ma l’eutanasia non la permetteremo mai”; siamo nel 2006 e l’eutanasia è diventata legge in alcuni paesi e sta per essere discussa anche nel nostro. Dal che si capisce quanta strada abbia fatto l’ideologia radicale, solo apparentemente minoritaria.
Nel 1958 il nemico (senza trascurare la deriva culturale per cui tutti o quasi sono in realtà conniventi) è chiaramente identificato: è lo Stato democraticamente totalitario, la dittatura della maggioranza che decide a suo arbitrio della vita e della morte delle persone. Lo diceva anche C. S. Lewis nel suo aureo libretto “L’abolizione dell’uomo”: l’apparente trionfo dell’individualismo (ognuno è libero di fare ciò che vuole) coincide in realtà con la delega allo Stato dei nuovi valori, mercè i quali tu stesso sarai vittima del tuo stesso capriccio (affidando allo Stato la decisione su chi ha il diritto di vivere). “Il cittadino di una democrazia “avanzata”... quando si tratta di vita e di morte appalta tutto allo Stato” (Mark Steyn, Il Foglio, 30/09/06). Ma, come sostiene il filosofo inglese Michael Dummett, “Potremmo trovarci in una società dove si dirà che gli individui hanno un maggior controllo sulla loro vita, per esempio sulla scelta di quando morire, ma difatti questo controllo l’avranno perso, essendosi sottoposti a test per determinare se sono liberi da malattie o disordini genetici e ad operazioni per correggere tali difetti”. E questo è – oltre tutto- neo-malthusianesimo mascherato: aborto, divorzio, famiglie gay, eutanasia conducono tutti nello stesso punto: l’attacco alla nascita di nuovi esseri umani, il “rientro dolce” (Pannella) verso un’umanità di due miliardi di egoistissimi esseri umani, vittime della “dittatura del desiderio” e del nichilismo relativista.
Ma, come ben profetizza “Children of men” del recente festival di Venezia, un’umanità mortalmente egoista potrebbe diventare un’umanità sterile, condannata all’estinzione.
In questa desolazione si erge la Straniera, la Chiesa Presenza di Dio nel mondo, a riaffermare: “Tu non ucciderai”. E a esaltare il valore di qualunque vita, come nel mirabile Discorso di Giovanni Paolo II agli anziani, a Monaco di Baviera nel 1980:
“...Fratelli e sorelle delle generazioni più avanzate, voi siete un tesoro per la Chiesa, voi siete una benedizione per il mondo. Quando spesso dovete aiutare i genitori giovani, come potete ben iniziare i piccoli alla storia della vostra famiglia e della vostra patria, nelle fiabe del vostro popolo e nel mondo della fede! I giovani nei loro problemi trovano più facile ricorrere a voi che ai loro genitori. Siate voi per i vostri figli e figlie l’aiuto più prezioso nelle ore difficili. Col consiglio e l’azione portate la vostra collaborazione nei gruppi, nelle associazioni e iniziative della vita ecclesiale e civile. Voi, complemento necessario di un mondo che ci entusiasma per lo slancio dei giovani e per la forza dei cosiddetti anni migliori, di un mondo in cui vale solo ciò che si può contare. Voi ricordate loro che essi continuano a costruire sulla fatica di coloro che prima furono giovani e pieni di forza e che anch’essi un giorno rimetteranno l’opera in mani più giovani. In voi si vede chiaramente che il senso della vita non può solo consistere nel guadagnare e spendere danaro, che in ogni azione esterna deve maturare qualcosa di interiore e in ogni realtà temporale qualcosa di eterno secondo la parola di san Paolo: “Anche se il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno” (2Cor 4,16). Sì, l’anzianità merita il nostro rispetto, il rispetto che riluce nella Sacra Scrittura quando ci pone davanti agli occhi Abramo e Sara, invita ad andare al tempio Simeone e Anna per incontrare la sacra famiglia, chiama i sacerdoti “anziani” (At 14,23; 15,2; 1Tm 4,14; 5,17.19; Tt 1,5; 1Pt 5,1), sintetizza l’omaggio di tutta la creazione nell’adorazione dei 24 “seniori” e designa infine Dio stesso “il vegliardo” (Dn 7,9.22).
3. Si potrebbe elevare un inno di lode più splendido alla dignità degli anziani? Ma voi resterete certamente delusi cari anziani che mi ascoltate, se il Papa non guardasse anche l’altro aspetto dell’avanzamento in età, se vi avesse portato solo l’omaggio - forse inaspettato - senza dirvi una parola di conforto. Alla stagione autunnale in cui ci troviamo non appartengono solo la raccolta e la festosa magnificenza dei rami, ma anche l’inaridimento dei rami, la caduta e la disintegrazione delle foglie, non solo la piena e splendida luce, ma anche la fosca e desolata nebbia. Analogamente è proprio dell’anzianità non solo il potente accordo conclusivo o la somma riconciliatrice della vita, ma anche un tempo di avvizzimento, un tempo in cui il mondo può divenire estraneo ad una persona, la vita un peso, il corpo un tormento. Il peso dell’età consiste per i più in una certa fragilità del corpo; i sensi non sono più acuti, le membra non più così agili, gli organi diventano vulnerabili (cfr. Qo 12,3ss). Ciò che si sperimenta da giorni di malattia, accompagna spesso gli anziani di giorno e di notte! Essi devono rinunciare definitivamente anche ad attività che stavano loro molto a cuore. Anche la memoria può rifiutare il suo servizio: le nuove informazioni non vengono accolte più così facilmente e molte di quelle antiche si dileguano. Così il mondo perde la sua familiarità: il mondo della propria famiglia con le condizioni di vita e di lavoro degli adulti divenute totalmente diverse, con gli interessi e le forme espressive dei giovani tanto cambiati, con i nuovi intenti e metodi di apprendimento dei fanciulli, col crescente intensificarsi del traffico e il paesaggio molto modificato. Estraneo diviene il mondo dell’economia e della politica, anonimo e impenetrabile il mondo dell’assistenza sociale medica. E persino quell’ambito, che dovrebbe offrire al massimo un rifugio, - la Chiesa con la sua vita e il suo insegnamento - è per molti di voi divenuto in qualche caso estraneo, nell’intento di soddisfare le esigenze dei tempi, le attese e i bisogni delle nuove generazioni. Voi vi sentite mal compresi da questo mondo difficilmente comprensibile, anzi spesso un poco respinti. Voi avete il sentore che non si richiede la vostra opinione, collaborazione e presenza, e ciò talvolta purtroppo è vero.
4. Che può dire allora il Papa? Con che cosa debbo consolarvi? Non voglio sbrigarmela con troppa facilità. Non vorrei svalutare le pene dell’anzianità, le vostre fragilità e malattie, il vostro abbandono e isolamento. Vorrei però vederli con voi in una luce conciliante, alla luce del nostro Salvatore, “che per noi ha sudato sangue, per noi è stato flagellato, per noi è stato coronato di spine”. Nelle prove della vecchiaia sta il vostro itinerario di dolore e voi accompagnate Cristo nel suo cammino, verso la croce. Voi non versate lacrime da soli e non ne versate alcuna invano (cfr. Sal 56,9). Per mezzo del dolore egli ha redento il dolore e per mezzo del dolore voi collaborate alla sua opera redentrice (cfr. Col 1,24). Prendete le vostre sofferenze come un suo abbraccio e trasformatele in benedizione, prendendole con lui dalla mano del Padre, che nella sua imperscrutabile ma indubitabile sapienza e amore, costruisce in tal modo il vostro perfezionamento. L’oro si prova col fuoco (cfr. 1Pt 1,7); nel tino l’uva si fa vino...”
(Giovanni Paolo II, Discorso agli anziani, Monaco di Baviera, 19 novembre 1980) (3 - fine)