Federigo Tozzi: violenza e desiderio di redenzione 9 - Tre croci 1
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È questo l’unico dei romanzi maggiori che non ha un’origine autobiografica; lo spunto derivò allo scrittore da una vicenda accaduta a Siena tra il 1914 e il ’18. I tre fratelli Gambi, proprietari di una libreria a Siena, sono gravemente indebitati; ricorrono quindi a delle cambiali false per mantenere il loro alto tenore di vita. Il romanzo abolisce ogni antefatto: troviamo subito Giulio, il vero protagonista del romanzo, il più malinconico ma anche il più consapevole dei fratelli, alle prese con una firma falsa, ma veniamo a sapere che l’espediente dura ormai da tre anni. Giulio viene descritto come “il più intelligente e il solo che avesse voglia di lavorare”; gli altri due, Niccolò ed Enrico, accidiosi e golosi, ne rappresentano la versione degradata. Vivono tutti insieme con due giovani nipoti orfane, destinate ad assumere un rilievo crescente nella narrazione. Giulio è il personaggio più felicemente delineato: si tratta di un inetto “esistenziale”, vicino alle più riuscite figure dei grandi narratori europei di quegli anni. Così ce lo presenta l’autore: “gli venivano in mente parecchi progetti, e vi rinunciava a pena li aveva pensati; sebbene, qualche volta, gliene restasse il ricordo nel suo amor proprio”. (1) Come tutti gli inetti, è invecchiato precocemente: “Ho quarant’anni e mi sembra di averne ottanta o cento”. Il VI capitolo offre un’improvvisa apertura di orizzonti, dopo la rappresentazione del clima claustrofobico della libreria: le giovani nipoti compiono una passeggiata in campagna, accompagnate dalla zia Modesta (altra figura positiva del romanzo), moglie di Niccolò. A loro Tozzi affida un elementare, popolaresco senso religioso. Scorgiamo, lungo il sentiero, vari segni: una cappella entro la quale vi sono due statuette di San Bernardino e di Santa Caterina, poi “una croce di legno, con un gallo colorato in cima; in mezzo a due cipressi”.
Tozzi indugia a rappresentare la campagna senese che si intravede dalla finestra della camera delle ragazze: “Il vento frusciava nei giardini e negli orti, a piè delle case, dentro la cinta delle mura di Siena… L’erta delle case, silenziosa, morta, non sentiva le foglie di un gran tiglio, sotto la finestra della camera, staccarsi l’una dopo l’altra; senza che potessero smettere più”. Mentre Lola legge, Chiarina si volge a guardare un crocifisso d’ebano e avorio.
Nel IX capitolo tocca ancora a Giulio offrire ai lettori un dettaglio significativo: mentre conversa con un cliente, apre un libro: si tratta di un famoso trattato ascetico medievale, di autore ignoto, il De imitatione Christi, di cui legge una frase che invita l’uomo ad adeguarsi alla volontà di Dio. Non è privo di significato, tra l’altro, che l’unico dei tre fratelli a rivelare un interesse per la cultura sia Giulio, mentre gli altri, pur lavorando in una libreria (ma forse è più giusto dire che sono mantenuti grazie alla libreria), manifestano un disprezzo per i libri che li avvicina piuttosto a Domenico, il padre di Pietro in Con gli occhi chiusi. Poche pagine dopo, Giulio ammette tutta la sua noluntas: “La mia volontà consiste appunto nel rendermi conto del mio tracollo. È una specie di orgoglio alla rovescia; ma sempre orgoglio”. Risoltosi a chiedere l’ennesimo prestito, utile solo a differire la catastrofe, Giulio diventa sempre più abulico e rassegnato: come Remigio de Il Podere, sembra consegnarsi a un progressivo cupio dissolvi. “Sentì che per lui vivere era diventata una cosa del tutto involontaria. Non gli importava più di niente…non riusciva né meno ad essere triste e a preoccuparsi…Sentiva dissolversi ogni cosa e non riusciva più a prendere una decisione… S’allontanava agevolmente dalla realtà; e gli pareva che avrebbe potuto fare a meno di ravvicinarcisi”.
Aumentano gli spazi, diremmo di impronta pirandelliana, dedicati alla riflessione del protagonista: “ora m’accorgo che posso esser vissuto soltanto provvisoriamente, finché un giorno dovesse sopravvenire un fatto decisivo, come quello della cambiale, che farà diventare debole ciò che prima mi sembrava sicuramente forte e scelto bene”. Ed ancora, poco dopo: “La paura che ho di sbagliare a prendere qualche decisione, l’impossibilità anzi di prenderla, è la causa della mia indifferenza”.
NOTE
1. Si cita da F. Tozzi, Tre croci, BUR, Milano 1979, introduzione di C. Cassola.