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"La nuova colonia" di L. Pirandello 1 - L'utopia

Autore:
Fighera, Giovanni
Fonte:
CulturaCattolica.it

Parte prima
L’utopia della costruzione della società perfetta

Lo sguardo ideologico è quella modalità di trattare il reale non partendo dall’osservazione e dal desiderio di conoscenza dello stesso, bensì dall’idea preconcetta che si può già avere. Nelle Riflessioni sulla condotta della vita il premio Nobel per la medicina Alexis Carrell scrive :

Poca osservazione e molto ragionamento conducono all’errore. Molta osservazione e poco ragionamento conducono alla verità.

Nell’opera teatrale La nuova colonia Pirandello ci racconta in modo paradigmatico le conseguenze nefaste dell’utopia socio – politica di costruire ex-novo un mondo «buono e giusto», trascurando del tutto il peccato originale dell’uomo. Il testo teatrale appartiene alla «trilogia del mito» (Lazzaro, La nuova colonia, I giganti della montagna), tre opere in cui il drammaturgo negli ultimi anni della sua vita (dal 1926 al 1936) cerca di individuare alcune verità, di fissare alcuni punti di riferimento nell’ambito sociale, religioso e artistico.
Alcuni diseredati, desiderosi di sfuggire al sistema iniquo della società, in cui prevaricazioni, sfruttamento, subordinazioni, potere ed egoismi dominano i rapporti personali, decidono di trasferirsi su di un’isola vulcanica deserta, sicuri che, in una palingenesi, ripartendo dall’origine, lontani dalla civiltà e dal progresso, in uno stato di natura primigenio, si possa costruire un mondo equo e perfetto. Capo di questi uomini è Currao. Al suo fianco compare La Spera, prostituta che nella maternità ha riscoperto la propria dignità e la propria femminilità. Tutti partono col desiderio di vita nuova e di una fratellanza che non hanno trovato nella città di origine.
Sentiamo il dialogo:

Papìa: … Ci sto anch’io! Ho sete anch’io di vita nuova! ….
Currao: Finiamola con le liti! ….
Quanterba: Si va tutti all’isola!
Fillico e trentuno: All’isola! All’isola! …
Osso di Seppia: O a fondo o resuscitati! …
Il riccio (ironico): Tutti fratelli! – Dai! Dai!....
La Spera: Vado a prendere il mio bambino.
Ciminudù: Ma no, che fai? Non l’hai a balia?
La Spera: Vuoi che lo lasci qua? Lo porto via con me!


È da un desiderio buono che inizia l’avventura di questi uomini disperati, che nella vita hanno conosciuto solo miseria e disperazione. Nel contempo, il germe della distruzione è già presente fin dall’origine, fin dalla partenza in quanto i protagonisti partono da un’idea che hanno in testa e che è dimentica della realtà dei fatti, della vera natura dell’uomo, della sua potenzialità di male, degli abissi di orrore e distruzione di cui l’uomo è capace. Quando l’uomo si dimentica della sua natura, anche i propositi più buoni si tramutano in violenza e abisso di morte per imporre quell’ordine buono di cui l’uomo da solo non è capace. È qui incarnata quell’utopia sociale dimentica che il male non viene dal di fuori, dalla società, ma dal di dentro, cioè dal cuore dell’uomo.
Sono parole che, del resto, già la grande scuola di umanità che è il Vangelo ci ha insegnato:

"Non capite che tutto ciò che entra nell’uomo dal di fuori non può contaminarlo, perché non gli entra nel cuore ma nel ventre e va a finire nella fogna?... Ciò che esce dall’uomo, questo sì contamina l’uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: prostituzioni, furti, omicidi, adulteri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro e contaminano l’uomo”. (Marco, 7, 18-22)

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