"Il mio nome è Pietro" - Interviste a Pietro Sarubbi e Giampiero Pizzol
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La grande tradizione teatrale italiana ritrova in questa collaborazione aria nuova nel difficile tempo che stiamo vivendo.
STE (libraio CMC e santuario di S. Riccardo Pampuri)
G. Pizzol,- P. Sarubbi, Il mio nome è Pietro, Mimep Docete, € 9,00

Ste: Pietro, la coincidenza del tuo nome con quello del protagonista del tuo monologo, cosa suscita in te?
Sarubbi: Mi colpisce molto, mi fa anche soffrire pensare a quanto mio padre abbia desiderato questo nome per me, e io per almeno 20 anni l'ho storpiato per motivi artistici; adesso che ho scoperto la bellezza di questo nome, la bellezza di chiamarsi Pietro per un cristiano e quanto questo Pietro sia simile a me nel non capire, non fidarsi, distrarsi fino al rinnegamento, adesso che vorrei dirgli: sono orgoglioso e grato che tu mi abbia chiamato Pietro, il mio papà è tornato alla casa del Padre e non posso più dirglielo, allora ne parlo tanto con mio figlio Rocco, che si chiama come mio padre.
Ste: Lo sguardo di Cristo a Pietro nel momento del rinnegamento, ovvero della distanza dall'amicizia, che contraccolpo ha avuto in te?
Sarubbi: Conoscevo bene la bellezza dello sguardo che cambia, che ti rinnova, che ti chiama ad un amore universale, ma dovendo lavorare su questo testo ho dovuto pensare tanto allo sguardo di Gesù a Pietro dopo il rinnegamento: ho guardato 100 volte la scena del film The Passion e mi è servita come guida, come se dolorosamente avessi vissuto veramente quello sguardo, uno sguardo senza giudizio, senza critica o dolore, uno sguardo comunque di amore, amore di Gesù verso l'umanità.
Ste: La traccia delle tue parole Giampiero, attraverso dei flashback del protagonista, sembrano invitare ad un incontro possibile oggi. Tu che ne pensi?
Pizzol: Noi non sappiamo chi era davvero Simone di Giona detto Pietro, sappiamo però, da quelle scene del Vangelo, che è uno dei caratteri più delineati tra le figure degli apostoli: un uomo concreto, irruento, curioso, generoso, capace di ridere e piangere insieme al Suo Maestro, capace di tradire ma anche di sperare nel perdono. Questi caratteri ne fanno un modello per tutti noi soprattutto in quest'anno della fede. Dio ci incontra anche oggi per cambiarci lasciandoci ciò che davvero siamo. E non pretende da noi nient' altro che la fiducia.
Ste: Alcune istantanee del tuo monologo, più che suggerire spiritualità che possa avvicinare il profilo del santo, suscitano la simpatia per un tipo umano, molto comune, chiamato a un'amicizia inimmaginabile. E' questa la via della santità per arrivare in Cielo?
Pizzol: Il bello di Pietro è che ha uno smisurato desiderio di vivere e non lo nasconde. La camminata sull'acqua è forse il più infantile dei desideri eppure Gesù prende sul serio anche quello. La santità non è per Pietro un ascetismo, ma la semplice amicizia con Cristo. Ogni scena è occasione per parlare con Dio, mangiare insieme a Lui, accompagnarlo per strada, buttare là delle frasi a volte fuori luogo... E' facile raccontare una storia d'amicizia, così come è facile seguire Cristo. Le difficoltà nascono da noi e non da Dio. Dio è semplice e l'uomo complicato. In questo senso la mia vena comica trova in Pietro una occasione per spiegare le vele. Infatti con Pietro è sempre possibile sorridere, sbagliare e ricominciare, imparare a sorprendersi senza perdere nulla della nostra divertente umanità.
Ste: Mentre scrivevi, non ti sei mai sentito guardato da Gesù, come è capitato a Pietro?
Pizzol: Nel racconto non ci sono scene in cui manca lo sguardo di Cristo. Pietro è sempre accompagnato da quello sguardo, uno sguardo vicino come il suo nome, un nome nuovo eppure antico come la terra.
Dal momento in cui veniamo al mondo i nostri atti sono sotto gli occhi di Dio. Per me l'atto della scrittura ha forse più di tutti questa caratteristica. Dio non solo legge ciò che scrivo, ma legge dentro di me e spesso corregge!