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"I quaderni di Serafino Gubbio operatore" - L. Pirandello 1 - La macchina da presa

Autore:
Fighera, Giovanni
Fonte:
CulturaCattolica.it
Una riflessione sulle nuove tecnologie a partire da Luigi Pirandello e dal magistero di Benedetto XVI

Con Pirandello si hanno i primi segnali chiari di un approccio problematico alla tecnologia e alle macchine. Amante del cinema, lo scrittore siciliano percepisce tutta la pericolosità dell’immagine che può diventare un’ulteriore separazione tra noi e la realtà che guardiamo. Per questo Pirandello dedica un’intera opera all’innovazione tecnologica e al mondo della macchina che fa irruzione nella vita degli uomini. Nasce il romanzo Si gira che poi prenderà il nome definitivo di I quaderni di Serafino Gubbio operatore.
Un operatore alla macchina da presa cinematografica registra in una sorta di diario le sue riflessioni e la sua condanna ad essere «una mano che muove la manovella».

L’uomo che prima, poeta, deificava i suoi sentimenti e li adorava, buttati via i sentimenti, ingombro non solo inutile ma anche dannoso, […] s’è messo a fabbricar di ferro, d’acciajo le sue nuove divinità ed è divenuto servo e schiavo di esse. Viva la macchina che meccanizza la vita!

Tutto l’ingegno dell’uomo è stato messo al servizio della creazione di quei «mostri» (nel senso etimologico del termine, cioè «prodigi o cose sorprendenti»), che dovevano essere i nostri strumenti, mentre sono finiti per diventare i nostri padroni. In maniera drammatica, quando viene a mancare l’io, trionfa la stupidità della macchina.

È per forza il trionfo della stupidità, dopo tanto ingegno e tanto studio spesi per la creazione di questi mostri, che dovevano rimanere strumenti e sono divenuti invece, per forza, i nostri padroni. La macchina è fatta per agire, per muoversi, ha bisogno d’ingojarsi la nostra anima, di divorar la nostra vita. E come volete che ce le ridiano, l’anima e la vita, in produzione centuplicata e continua, le macchine?

Ad un certo punto Serafino Gubbio sta filmando una scena all’interno della gabbia di una tigre. Aldo Nuti, innamorato dell’attrice russa Nestoroff, dovrebbe sparare alla belva per difendere la donna. Tutto è previsto dalla sceneggiatura. Ma Nuti rinnega il copione e, per vendicarsi della mancata corrispondenza amorosa, uccide la donna, al posto della tigre che, poi, lo sbranerà. In maniera impassibile, come succube della cinepresa, Serafino riprenderà tutta la scena, senza intervenire e, colpito da afasia, rinuncerà per sempre alla vita, ad amare, a comunicare, a rivelare la propria interiorità. Film e vita finiscono per coincidere. La vita è stata data in pasto alla macchina. Quella scena atroce, strappata alla vita e immortalata nel cinema, susciterà la morbosa curiosità del pubblico e conquisterà incassi straordinari. Una volta ancora, il genio di Pirandello ha profetizzato i futuri scenari del mondo cinematografico e televisivo: quella realtà che diventa fiction oppure reality, in cui solo all’apparenza tutto è naturale, ma in realtà tutto è manovrato secondo una regia. L’uomo divenuto automa mette in scena se stesso, fingendo di non fingere, nel gergo di Machiavelli «dissimulando». Serafino Gubbio concluderà i suoi quaderni scrivendo:

Voglio restare così. Il tempo è questo; la vita è questa; e nel senso che do alla mia professione, voglio seguitare così - solo, muto e impassibile - a far l’operatore. La scena è pronta?
- Attenti, si gira…

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