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"Giobbe" 4 - L'esilio e la fine

Fonte:
CulturaCattolica.it

L’esilio
Roth sceglie dopo il 1936 come esilio Parigi, ma non rinuncerà a fare dei viaggi nei Paesi Bassi, in Austria e in Polonia, continuando a pubblicare i suoi ultimi scritti. Ma la salute e la situazione economica di Roth peggiorano rapidamente. Sente avvicinarsi la fine.
Nel 1938 pubblica il romanzo La cripta dei cappuccini, in cui riprendendo temi già presenti nelle opere precedenti viene descritta la definitiva fine di un’epoca coincidente con la disfatta e la scomparsa della monarchia. Infatti, come osserva Magris, la narrativa di questo Autore nel suo complesso costituisce un ciclo epico, all’interno del quale, affidandosi al principio della ripetizione e dell’autocitazione, Roth sembra voler stabilire le coordinate di un universo organico e concluso, di una saga autosufficiente che è, poi, la saga che comporta la guerra perduta, la dissoluzione dell’impero, la disgregazione di una "coralità umana e religiosa, quella dell’ebraismo orientale di cui si sentiva espressione carnale".(C. Magris, op.cit.)
Nei racconti come nei romanzi molti personaggi ricompaiono sia pure con differenti sottolineature e caratteristiche, così come certe tematiche che si affacciano, svaniscono per poi riemergere nei testi successivi e lo stesso si può dire per i luoghi ricorrenti perché simbolici, come la trattoria e l’albergo, zone di passaggio dove regna l’incomunicabilità, il viaggio verso l’occidente e l’America, ecc” (C. Magris, op. cit.).
Nel 1938 l’ultima donna della sua vita, Manga Bell, una donna affascinante di colore che Roth aveva amato appassionatamente lo aveva lasciato dopo qualche anno di convivenza serena e Roth si è trovato di nuovo solo, preda ormai dell’alcool.

La fine
Nel 1939 la notizia del suicidio del suo amico Toller a New York lo annichilisce, ha un collasso. Il 27 maggio, ricoverato urgentemente in un ospedale di Parigi, Roth muore come il suo ultimo personaggio per un attacco di delirium tremens. e una polmonite non diagnosticata.
Il 30 maggio viene sepolto nel Cimitero parigino di Thiais a sud di Parigi con un rito cattolico, anche se,come detto, non si è mai trovata documentazione che attestasse il battesimo dello scrittore. Durante il funerale si giunse quasi a uno scontro fra i gruppi molto eterogenei dei presenti: legittimisti austriaci, comunisti, ebrei ortodossi, amici e preti cattolici, reclamavano il morto come proprio adepto .
Uscirà postuma “La leggenda del santo bevitore”, testamento spirituale, e parabola, in cui l’Autore narra la storia di un poveruomo alcolizzato che alla fine della sua vita fatta di tradimenti e pentimenti si riscatta tenendo fede ad un voto fatto alla piccola Santa Teresa e affidandosi alla misericordia divina. ( Uno sconosciuto offre al protagonista Andreas, un clochard, un prestito chiedendo in cambio solo l’impegno a consegnare la somma alla piccola Santa Teresa nella Chiesa di Santa Maria di Batignolles. Andreas perderà i soldi, li ritroverà miracolosamente e quando la morte sta per raggiungerlo ha come unico pensiero quello di rendere quella somma alla giovane Santa, riscattando la sua vita e la sua dignità di uomo).
E con queste parole Roth aveva concluso il suo ultimo scritto: “Conceda, conceda Dio a tutti noi, noi bevitori, una morte così facile e così bella”.
Oggi a Brody una piccola lapide in ucraino e in tedesco ricorda il grande figlio della città.

Questa lunga introduzione sulla vita dell’Autore ci è sembrata necessaria per comprendere la complessità dell’opera e i riferimenti alla sua vicenda personale.
Giobbe non è un insieme di elementi fantastici come i romanzi di Grisham o Follet..
E le tematiche che incontriamo nel suo romanzo sono le ferite di un uomo che parla di sé: della ricerca del padre, dal quale si è sentito abbandonato, del doloroso esilio, della tragedia della follia, dei continui rimpianti e complessi di colpa per i propri limiti, della speranza ritrovata, e infine del dono della scrittura capace di lenire le sue ferite e di trasformarle in canto dolente.

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