"Giobbe" 14 - Il disco e il concerto
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Il Disco
Ora Mendel vive ordinando i dischi e preparandoli per la vendita.
Un giorno tutto il quartiere sembra attraversato da una esplosione di gioia: la guerra è finita, tutti festeggiano la pace, musica e canti invadono le strade. Anche Mendel vuole festeggiare: sceglie a caso il primo disco portato da un reduce dall’Europa e appoggia delicatamente il disco sul piatto del fonografo.
La sua nenia lo commuove. Il suono delicato dei violini fa piangere Mendel. Sembrava che il mondo intero fosse racchiuso in quel piccolo disco.
E’ il suo amico a leggergli il titolo della musica ascoltata: si chiama ”La canzone di Menuchim” e Mendel si sente improvvisamente mancare.
Da quel giorno quel canto accompagnava ciascuno dei suoi passi e Mendel si sentiva cambiato.
“Da qui a un anno tornerò a Zuchnow “si ripeteva.
In prossimità della Pasqua la primavera allungava le giornate e il vecchio ebreo aiutava i preparativi in tutte le case: liberava i vini dalle ragnatele, pestava i pani azzimi per farne farina, piallava i ripiani dei tavoli per pulirli e i vicini lo sentivano canterellare.
Gli ricomparivano davanti le immagini della primavera di tanti anni prima, quando i bambini infilavano Menuchim nelle botti per liberarsene e quando rinasceva la speranza, leggiamo, che finalmente, finalmente quell’anno sarebbe venuto il Messia. Ma il Messia non era venuto. Non viene, pensava Mendel, non verrà. Altri lo aspettino pure. Mendel non lo aspettava. (pag. 165)
E forse anche Roth nelle vicende drammatiche della sua vita, aveva atteso a lungo che il volto del Salvatore si manifestasse.
Il concerto
Dalla sua vecchia casa una sera egli vede uscire una coppia di giovani sposi che con lieta furia salutano l’antico padrone. Devono affrettarsi: una grande orchestra terrà un concerto e il suo direttore è anche compositore: si chiama Kossak, di Zuchnow.
E’ sua La canzone di Menuchim ed è la più bella del repertorio.
Gli amici lo invitano a cercare il musicista, a chiedergli notizie del suo paese, dei suoi parenti, e Mendel ricorda che i Kossak erano il ceppo famigliare di Deborah, ma teme di sentire solo cose tristi. Gli mostrano la fotografia dell’artista, e Mendel esita. Volge un’occhiata distratta all’immagine, poi qualcosa lo trattiene. Guarda la foto sbiadita e fissa il bel volto, la fronte ampia e chiara, gli occhi intensi e limpidi che lo guardavano fisso e sembravano vecchi e giovani a un tempo. ”Tutto sapevano e il mondo vi si rispecchiava… Un tempo quando aveva cominciato a imparare la bibbia, erano gli occhi dei profeti. Uomini ai quali Dio stesso ha parlato, hanno questi occhi. Tutto sanno, nulla tradiscono, la luce è in loro.”(pag. 174) pensava.
Prende la fotografia e chiede di tenerla. La sua vista lo rendeva lieto.