Fate questo in memoria di me
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La serie di racconti Morte di Adamo (1956) [Elena Bono, Morte di Adamo, Recco (Genova), 1988] di Elena Bono (1921), una delle più grandi scrittrici del Novecento italiano, è uno sconvolgente ed inedito itinerarium crucis. Come scrive Giovanni Casoli, questi racconti “vivamente, plasticamente espressionistici e realistici attirarono le antenne sensibili di Emilio Cecchi e l’editoria europea, specie anglosassone, con molte traduzioni in varie lingue, e grande successo.”
Lo stesso Gioanola, in una riedizione della sua Storia della letteratura italiana, così si esprime “…(racconti) di argomento biblico, ma non riproponenti variazioni su episodi del Vangelo, quanto piuttosto vere e proprie invenzioni traenti spunto da questi episodi. C’è una straordinaria intensità stilistica, che riesce a far vivere davanti agli occhi le scene come se accadessero al momento.”
Proprio questo ci pare il pregio e lo stigma dei racconti di Morte di Adamo: rendere presente, contemporaneo il crudo tormento del Cristo nei giorni che culminarono con la sua crocefissione, fino allo stemperarsi, non meno drammatico, dei fatti relativi alla sua misteriosa resurrezione.
Il tessuto narrativo si dipana in otto racconti: Morte di Adamo, Piccolo Abi, La figlia di Giairo, La suocera di Pietro, Il centurione, Guardia al sepolcro, La moglie del Procuratore, Una lettera dalla Giudea, in apparenza autonomi, di fatto uno necessario all’altro, per quella concatenazioni di fatti e prospettive che vertono sul Protagonista, per lo più evocato dal ricordo o presente in fugaci e suggestive apparizioni.
La grande, solenne, metastorica ouverture di Morte di Adamo vede il diretto confronto di Dio ed Adamo, il Creatore e la creatura ormai sazia di anni e morente alla presenza dei suoi discendenti. Nel drammatico colloquio, dove viene rievocato l’assassinio del giusto Abele per mano di Caino, Dio conclude con una promessa: “…darò nelle tue mani mio figlio, l’agnello di Dio senza peccato…Egli prenderà sopra di sé i tuoi peccati e in Lui farò giustizia del pianto e del sangue…”.
Così il tempo annunciato giunge e si condensa per rapidi lampi in quei pochi giorni gravitanti attorno alla Pasqua: Giovanni e Tommaso alla ricerca della casa dove il Signore vuole consumare la Pasqua con i suoi, la sua ultima Pasqua (Il piccolo Abi); lo scandalo e lo scompiglio tra i parenti di Giairo per il miracolo della piccola resuscitata, Talita, che vive assorta nell’attesa che Lui ancora ritorni; lo sconcerto delle donne di Cafarnao alla notizia che il Rabbi è stato ucciso e la delusione rabbiosa di Rachele, suocera di Pietro.
Ma il ritmo diventa incalzante e ansimante ne Il centurione: la sete di sangue della soldataglia romana e il rumoreggiare sempre più accanito della plebe di Gerusalemme fanno da contrappunto al silenzio del Cristo, carne martoriata, tanto da essere chiamato per scherno lo Straccio. Tra l’Uomo e la folla impazzita sta il centurione, che non si capacita, lui romano difensore del diritto e della giustizia, di quella palese ingiustizia perpetrata ai danni di un innocente. Eppure il comportamento di quell’uomo ridotto ad un ammasso di carne sanguinante inquieta il centurione, quell’uomo non sta subendo tutti quei terribili colpi, quell’uomo li sta cercando: “…te cosa sei?...ci sei venuto di proposito al macello. Perché? Che scopo c’era?...ma tu non sei matto. Andiamo: perché ti fai ammazzare? Ti vuoi far ammazzare, è chiaro...ordini, amico, o se ne danno o se ne eseguono. Da chi li hai presi tu? Chi è il tuo capo, il tuo re, quello che sia?...per conto di chi sei venuto? Da dove? A far che? Gabbare il mondo. Sentiamo: cos’è che gli racconti alla gente?...t’abbaiano tutti dietro; come si spiega tutti?...”
La tensione del racconto vede il suo climax nella scena dell’«Ecce homo»: “«Ecco l’uomo»….stava sulla terrazza, accanto alla toga bianca, l’uomo, una corona di spini calcata sugli occhi, un cencio rosso sulle spalle, una canna fra i polsi legati. Della faccia, solo la bocca gonfia tra i capelli grondanti sangue...”e poi piano trova un doloroso quanto illuminante epilogo nelle ultime frasi “…(il centurione) Fece per alzare la frusta su tutte quelle facce ridenti (ndr. quelle dei soldati che si avventano sull’inerme Gesù). Ma guardò l’uomo e l’uomo lo guardò …”.
La fine di Gesù non è la fine della narrazione; la Bono rivive poi, alternando ai toni epico-tragici dei primi racconti quelli comico-grotteschi di Guardia al sepolcro, i misteriosi momenti della resurrezione del Cristo, un evento più suggerito che raccontato.
Suggella Morte di Adamo il lungo racconto La moglie del Procuratore, in cui l’autrice scava nell’animo di Claudia Procula, moglie di Ponzio Pilato. La donna, in un serrato dialogo con Seneca, rievoca i fatti della Passione di Gesù, in mille dubbi e domande, in un alternarsi di certezze e speranze in cui la saggezza della cultura classica è passata al setaccio della folle stoltezza del Figlio di Dio, morto per amore degli uomini. Tra i tanti brani che si potrebbero citare, pena però smarrire il filo conduttore di tutta la narrazione, ne proponiamo due in cui Claudia, dopo molte ricerche, ha rintracciato il centurione che ha comandato l’esecuzione del Nazareno, e che le racconta altri particolari di quella crocefissione: “…abbassò il viso (ndr. Il centurione) che gli era divenuto di un rossore scuro e disse che lui aveva portato il Galileo a crocifiggere. Non era stato che un eseguire gli ordini, gli osservai (ndr. Il colloquio è con Claudia Procula)..mi rispose che infatti aveva eseguito degli ordini; ma non era soltanto questo che doveva rimproverarsi; era quello che ci aveva messo di suo. Rimasi così stupita e anche spaventata che non seppi cosa dire. Mi raccontò tutto lui spontaneamente, da quando aveva visto l’uomo in aula di giudizio, mentre veniva interrogato. Non mi disse che il Procuratore l’aveva trovato innocente. Glielo dissi io. Egli alzò gli occhi a guardarmi e assentì con la testa. “Mi fu consegnato da flagellare, “disse,”e scendemmo insieme la scalinata. Era un uomo alto e grande, ma non faceva nessuna resistenza. Veniva giù con me, come di sua volontà. Lo consegnai a un decurione e io che non sono fuggito mai in vita mia, quella volta fuggii come un vigliacco per non verderlo flagellare; mentre se c’ero, non lo riducevano a quel modo, che pareva una fontana di sangue…Ho visto morire molti uomini, signora, “mi rispose, “e nessuno ha detto mai quello che ha detto lui. Solo Dio può perdonarci tutti e solo il figlio di Dio poteva domandarglielo.” Gli ribattei che era un controsenso essere figlio di Dio e morire…”Le cose non stanno così, signora”,mi disse, “ io chiamo vinto uno che non ce l’ha fatta ad arrivare dove voleva. Ma lui è arrivato.” “A una croce, centurione?” “Lo hai detto. Signora. E per lui non era solo questione di vincere la paura che abbiamo tutti...Lui la sera prima aveva fatto sbattere i nostri a faccia a terra…Siamo cattivi, signora, lo vedo io nelle caserme: o bestie o poltroni…nessuno al mondo poteva mettersi tutto sulle spalle. Solo lui…ha aspettato di essere al colmo del patire, per fare lo scambio, e il padre riprenderselo come noi glielo avevamo ridotto, tutto sangue, e lui strappargli il suo compenso. E il primo che s’è guadagnato così, è stato un ladro, appeso vicino a lui…pur vero che, con tutto che era un ladro e che lo vedeva morire come lui su un trave, è stato il primo a capire che quello era figlio di un Re e da dove veniva e dove tornava. Quando morirò, signora, voglio dirgli anch’io così che si ricordi di me, del centurione che stava sotto la croce…”
Si ha ora la possibilità di vederne una riduzione teatrale, grazie al lavoro di Fabio Sarti, dal titolo Fate questo in memoria di me.
L’evento, unico nel suo genere, verrà presentato in prima nazionale presso la cappella del Collegio Rotondi (Gorla minore, Varese) il prossimo mercoledì 16 marzo, in serata.
Potrebbe essere, questa, un’occasione diversa e particolare per prepararsi alla Pasqua.